UE
La ‘punizione esemplare’ alla Grecia sconfiggerebbe la democrazia
Da mesi l’uscita dall’euro della Grecia è segretamente caldeggiata da alcune parti, con in testa la Germania. Secondo i teorici di questa visione, mai ammessa ma talvolta sussurrata, Atene è diventata un fardello ancora più insopportabile dopo la vittoria di Alexis Tsipras, reo di aver disobbedito agli ordini.
Il default potrebbe diventare la soluzione più comoda, riecheggiando pure come una sorta di monito per i Paesi alla ricerca della via d’uscita dalla crisi, che minacciano fughe in avanti sul bilancio. La catastrofe economica greca sarebbe perciò lo strumento per ridimensionare i partiti euroscettici. Le prediche nazionaliste di Marine Le Pen in Francia o di Matteo Salvini e Beppe Grillo in Italia perderebbero vigore di fronte al “sacrificio umano” di Atene.
Lo spettro greco, nel caso in cui diventasse fallimento certificato, farebbe quindi cadere l’impalcatura dei “no euro”, evidenziando i limiti della nostalgia verso il ritorno alla moneta nazionale. Una punizione esemplare che sarebbe però pagata a caro prezzo da una popolazione, già stremati da anni di tagli alla spesa sociale. Ma l’analisi di fondo è fallace, oltre che spietata: questo comportamento darebbe un altro argomento agli euroscettici. Perché l’Ue sarebbe descritta come un mostro di crudeltà comandato da euroburocrati schiavi delle banche strangola-popolo. Una retorica che in tempi di crisi funziona sempre.
Ma non solo. Il costo di questa operazione sarebbe elevatissimo, perché al di là del dramma sociale della Grecia, che già di per sé è un qualcosa di mostruoso (con il rischio aggiuntivo dell’avanzata dei fascismi Made in Alba Dorata e della consegna di Atene a Mosca che brama di avere satelliti in territorio europeo), la sconfitta maturerebbe anche sul piano più alto e nobile. Quello della democrazia. L’Unione Europa, attraverso la ‘sanzione’ del default inflitta alla Grecia, si consegnerebbe definitivamente alla superiorità della tecnica sulla politica.
Qualsiasi eccezione alla visione economica Germanocentrica sarebbe vietata. Ogni Paese ‘dissidente’ dovrebbe perciò convivere con la “pistola alla tempia” del fallimento, cedendo il potere di scelta alla burocrazia. La Bce che assume la decisione ‘politica’ del Quantitative leasing sarebbe quindi destinata a trasformarsi nella norma, non più in eccezione dettata dalla fase emergenziale. Lo svuotamento del senso politico attiene a un aspetto fondante delle democrazie. Il distacco tra cittadini e Istituzioni è una logica conseguenza di questa cessione di potere alla tecnica e alla burocrazia: la scelta elettorale è vista come un fattore ininfluente rispetto alla dinamica generale dell’economia e della società.
Insomma, la caduta della “piccola Grecia” può sortire effetti che vanno ben oltre la contingenza di un default, sancendo – su un livello analitico – la definitiva resa dell’azione politica al potere della tecnica, in questo caso di matrice economica. E, se da un lato i nazionalismi saranno colpiti alla base dei loro ragionamenti, dall’altro troveranno l’humus per crescere, sfruttando un altro tema: il deficit democratico. L’ennesimo paradosso (in verità non proprio il primo della storia) che vedrebbe i fautori dell’autoritarismo agitare la libertà come vessillo elettorale. Anche, se non soprattutto, per questo il default della Grecia va scongiurato.
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