UE
Spagna al voto, il primo test per Podemos con gli occhi dell’Europa addosso
Una piccola prova di cambiamento, che aspira a diventare una rivoluzione politica. Le elezioni comunali e regionali in Spagna di domenica 24 maggio sono un appuntamento cruciale in vista delle elecciones generales, le elezioni politiche, che si svolgeranno tra il 20 novembre e il 20 dicembre per rinnovare il Parlamento e dare al Paese un nuovo governo.
Nonostante le critiche al premier, il leader del centrodestra Mariano Rajoy, l’economia sta fornendo segnali di ripresa: la recessione è terminata nel 2014 con la crescita del Pil pari all’1,4%. Per il futuro le stime della commissione europea indicano un aumento del 2,8% nel 2015 e del 2,6% nel 2016. La disoccupazione resta una piaga, ma le prospettive sono lievemente migliori: nel 2014 è scesa al 24,5% (-1,6% rispetto all’anno precedente). E per il 2016 dovrebbe calare ancora di 4 percentuali, attestandosi al 20,5% . Il rapporto deficit/Pil era al -5,8% nel 2014, ma per il 2016 dovrebbe scendere al -3,5%, vicino alla fatidica soglia del 3%. Insomma sono sintomi di un miglioramento, pagato comunque a caro prezzo con tagli alla spesa sociale e una maggiore flessibilità del mercato del lavoro.
In un tale scenario economico, quindi, la Spagna è attesa dal grande anno elettorale. L’Europa resta un tema ineludibile, uno spauracchio da agitare a seconda delle convenienze, perché le misure drastiche sono state imposte, nel bene e nel male, proprio da Bruxelles. Ma il “modello spagnolo” è assai differente rispetto agli altri: tra le prime quattro forze politiche più influenti nessuno propone l’abbandono dell’euro. Il succulento antipasto del voto per il governo arriva dunque nell’ultima domenica maggio: gli elettori sono chiamati a eleggere le nuove assemblee delle 13 comunità autonome (il corrispettivo delle Regioni in Italia, sebbene con maggiori poteri), praticamente tutte con l’eccezione di Andalusia (si è votato a marzo), Catalogna (voto previsto il 27 settembre), Paesi Baschi e Galizia (le elezioni sono in programma nel 2016) insieme ai sindaci e ai consiglieri comunali delle principali città, tra cui Madrid, Barcellona, Valencia e Siviglia.
Il prequel del voto targato 2015 c’è già stato in Andalusia, lo scorso 22 marzo: il Partido socialista obrero español (Psoe) ha conquistato 47 seggi su 109, la maggioranza, ma senza avere i numeri per governare; il Partido popolar (Pp), Podemos e Ciudadanos sono così interlocutori fondamentali per formare un esecutivo. La presidente socialista della giunta andalusa, Susana Dìaz, considerata l’astro nascente del Psoe e possibile erede/avversaria dell’attuale segretario Pedro Sanchez, sta insistendo per cercare di scardinare il “blocco delle opposizioni”. Ma l’esito è lo stallo in quella che è la comunità autonoma spagnola con il maggior numeri di abitanti.
Quadrilatero spagnolo
La Spagna vantava fino a qualche mese fa un consolidato bipartitismo, come testimoniano anche le mappe sul voto per le comunità autonome (pubblicate qua sotto) del 2011. Ma la crisi economica ha stravolto la tradizione bipartitica, che sembrava un principio intoccabile della democrazia spagnola. Così i popolari del premier Mariano Rajoy e i socialisti di Pedro Sanchez, i due partiti principali, non hanno più la fiducia di gran parte degli spagnoli. I principali motivi di questa disillusione sono due: la crisi economica, che ha duramente colpito il Paese, e gli scandali di corruzione, come il caso Gürtel, con un giro di tangenti e malaffare che ha travolto in particolare il Pp tanto che l’ex tesoriere del partito Barcenas ha ammesso di aver elargito fondi a dirigenti dei popolari.
In un clima di generale insoddisfazione è nato il Movimiento 15-M (gli Indignados), che ha animato le piazze contro l’austerità nel maggio del 2011, rendendo Puerta del Sol a Madrid il simbolo della protesta. Il dissenso è stato il seme per la nascita di un nuovo soggetto politico: Podemos (possiamo), guidato dal carismatico docente Pablo Iglesias, con Iñigo Errejòn nel ruolo di “vice”. L’organizzazione viene spesso paragonata al Movimento 5 Stelle italiano per tre ragioni: il richiamo alla democrazia diretta, praticata attraverso apposite piattaforme web; la presenza di un leader forte (Iglesias); e soprattutto per la polemica “anti-casta” che ha fatto lievitare il consenso. Alle Europee del 2014, tre mesi dopo la fondazione ufficiale, Podemos ha ottenuto l’8% e conquistato 5 eurodeputati. La sua ideologia prevede una ricetta di sinistra tradizionale per l’economia, con l’aumento della spesa pubblica in favore dei servizi sociali, ma con un cambio di mentalità sul piano della comunicazione, meno elitaria rispetto alla sinistra tradizionale di Izquierda Unida. Infine, per ammissione dello stesso Iglesias, c’è la consapevolezza che “non è possibile uscire dall’euro”.
A gennaio 2015 i sondaggi davano il “movimento viola (colore con cui si caratterizza)”, come prima forza politica, addirittura sopra il 25% ora (stando sempre ai rilevamenti degli istituti di ricerca) il fenomeno è lievemente ridimensionato, ma comunque prorompente intorno al 16%. Di certo ha fatto rumore la fuoriuscita di Juan Carlos Monedero, uno dei co-fondatori, che ha denunciato come pericolo una possibile “deriva moderata” di Podemos. Le elezioni del 24 maggio sono quindi fondamentali per comprendere se il movimento riuscirà ad attestarsi – come sembra – su percentuali importanti.
Ma in Spagna si è ormai formato un quadrilatero politico: al fianco della protesta da sinistra di Iglesias, c’è Ciudadanos (cittadini), abbreviato in C’s, un altro movimento di protesta anti-casta, che a differenza di Podemos ha una matrice liberale e una vocazione spiccatamente europeista. Una posizione che costa la definizione di “Podemos di destra”, benché i dirigenti siano attenti a evitare etichette politiche. Anche in questo caso c’è la presenza di un leader molto forte, Albert Rivera, 35 anni, che si propone apertamente come un’alternativa al “partito degli Indignados”: «A differenza di Podemos vogliamo un patto costituzionale per produrre benessere», afferma il giovane leader dei “cittadini”, che come colore identificativo hanno l’arancione.
Ciudadanos è un altro fenomeno singolare della politica spagnola: è stato fondato nel 2006 come un’organizzazione locale in Catalogna per combattere l’avanzata dell’indipendentismo catalano, per trasformarsi dopo un po’ di anni in un soggetto politico nazionale che ha già eletto due eurodeputati alle ultime Europee. Per comprendere il manifesto ideologico, basta menzionare una frase di Rivera trasformatasi in uno slogan: «La Catalogna è la mia terra, la Spagna il mio Paese e l’Europa il nostro futuro». Con queste parole d’ordine, quindi, C’s è balzato al di sopra del 15% nei sondaggi, diventando un competitor del Pp sul piano delle posizioni politiche economiche nonché di Podemos sul territorio della ribellione anti-élite. Ed è comunque restato un fiero avversario degli indipendentisti in Catalogna, capeggiati da Artur Mas, l’uomo che voleva il referendum sulla secessione il 9 novembre 2014.
Il cuore tra Madrid e Valencia
Secondo El Mundo, quotidiano di orientamento conservatore, la partita decisiva alle prossime regionali si giocherà nelle comunità di Madrid e di Valencia «per il peso di entrambi i territori e la proiezione nazionale del voto che travalica il piano meramente regionale». In termini di popolazione e di ricchezza sono tra le più importanti, insieme ad Andalusia e Catalogna, dove – come già accennato – per motivi diversi non si vota. La forza elettorale di Podemos e Ciudadanos pare confermata: i sondaggi e le proiezioni dei seggi pubblicati dal sito del giornale El Pais indicano che i due nuovi partiti sono al di sopra del 15%. Per il Pp si prospetta una vittoria monca, senza la maggioranza assoluta e con un calo di circa 20/30 seggi sia a Madrid che a Valencia.
La mappa (qui sotto) descrive chiaramente la situazione regione per regione: solo in pochi casi il movimento di Iglesias e quello di Rivera sono al di sotto del 10%. Per quanto riguarda le comunali, la sfida più importante per i popolari è nella capitale Madrid. Il sindaco uscente, Ana Botella (moglie dell’ex premier dei popolari José Maria Aznar), non si è ricandidata. Il Pp ha puntato su un pezzo da novanta del partito, Esperanza Aguirre, eterna promessa dei conservatori in Spagna e attuale leader dei popolari a Madrid. Contro di lei è in crescita la coalizione Ahora Madrid, che vede Podemos in primo piano unito ad altre forze di sinistra, con Manuela Carmena candidata e principale sfidante per la carica di primo cittadino. La vittoria senza maggioranza assoluta di Aguirre sarebbe un duro colpo per i popolari. E i sondaggi non sono incoraggianti: assegnano 22-23 consiglieri comunali su 57. Al di sotto del 50%+1 necessario per creare una giunta monocolore.
Dal quadro generale delle elezioni del 24 maggio emergerà quindi un quesito: come si comporteranno Podemos e Ciudadanos? I loro seggi saranno fondamentali per la formazione delle giunte regionali e comunali. Attraverso un sistema di alleanze potrebbero puntare a condizionare i partiti tradizionali, imponendo un rinnovamento. Tuttavia, l’appeal elettorale risiede nella capacità di opporsi alla vecchia politica e la creazione di coalizioni su scala locale con Pp o Psoe potrebbe risultare deleterio visto che le elezioni politiche arriveranno tra 6-7 mesi. La strategia, in particolare di Ciudadanos, è quella di ascoltare le proposte e valutarle di volta in volta per decidere l’eventuale alleanza, ma con un approccio molto severo come insegna il caso dell’Andalusia dove è stato pronunciato il “no” alle proposte di Susana Dìaz.
E l’Europa?
La Spagna viaggia così verso un lido politico sconosciuto: la tradizione fortemente ancorata al bipartitismo rende difficile immaginare la larghe intese in stile italiano o comunque anche al modello della Große Koalition tedesca. Quindi l’alleanza Pp-Psoe è al momento più un’ipotesi che una possibilità concreta alle elezioni politiche di novembre/dicembre. Anche perché in quel caso occorrerà comprendere la distribuzione dei seggi. Di sicuro il livello locale, con le giunte regionali e comunali, sarà un esempio di cosa attende la Spagna nei prossimi anni. L’Europa, ancora una volta, osserva con preoccupazione il responso degli elettori per l’eventuale stallo che potrebbe scaturire dalle urne. Ed è singolare che questa preoccupazioni arrivi per un Paese in cui le prime quattro forze politiche non hanno un approccio aggressivo nei confronti dell’Ue, né tantomeno minacciano fughe dalla moneta unica.
Devi fare login per commentare
Accedi