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La Grecia, i giornali italiani e la favola del migliore dei mondi possibili

12 Luglio 2015

Lunedì 6 luglio 2015, il giorno dopo l’Apocalisse annunciata, il dorso economico del Corriere della Sera apriva così: «Mercati. Il mondo non finisce in Grecia». Poi, nei giorni successivi al voto greco titoli simili si son potuti leggere un po’ su tutti i giornali, giacché tutti, a quanto sembra, iniziavano a dirsi d’accordo quanto meno sulla necessità di una Europa diversa, un’Europa dei popoli, e addirittura una Europa nuova. Bene; ma, insomma, veniva anche da chiedersi se sino al giorno prima del voto greco non si fosse per caso scherzato, ché certo non era quello che s’era letto e sentito sino ad allora.

Sino al giorno prima, infatti, s’era manifestata per ogni dove una folla di untori del panico globale animata da autorevoli giornali e commentatori, per non dire di politici e leadership europee, i quali s’erano agitati lanciando moniti ed avvertimenti di genere millenaristico, seguiti da una multiforme e nutritissima specie di economics flotilla di supporto, obbediente e disciplinatamente impegnata a spiegare con una sola voce che, se avesse vinto il «No», sarebbe stato il caos, l’anarchia, e che guai a chi avesse spalancato le porte all’Apocalisse. Guai.

Si è andati avanti così sino a quando, realisticamente, s’è trattato di fare i conti non tanto con la realtà quanto piuttosto con le proprie convenienze e, insomma, ecco quel titolo – «Mercati. Il mondo non finisce in Grecia. Ecco come guadagnare in sicurezza» – ed ecco anche i titoli che sono venuti dopo. Ma non sono cambiati soltanto i titoli bensì il tono generale del dibattito pubblico è mutato, iniziando a costruire così un contesto molto diverso rispetto a quello precedente il voto greco; quasi una conversione ad U, ma fatta così, come se niente fosse, senza voler dare troppo nell’occhio. Distrattamente.

Ecco dunque Sandro Gozi – esponente del Pd ma soprattutto esponente del governo con delega agli affari europei – indicare ineffabilmente, subito dopo il voto greco, una «terza via» dalle pagine di Giorno, Resto del Carlino e Nazione, e chiedere la fine di «questo dialogo tra sordi» i quali sono da ricercare «tra tecnici e populisti». E non importa se la linea sino al giorno prima era stata per il «Sì» e che si era detto che con il «No» si sarebbe addirittura tornati alla Dracma. E sempre il 6 luglio, ecco l’Unità aprire a tutta pagina con l’invito a costruire la «nuova Europa», con un titolo passato alle cronache per un fastidioso refuso sul quale, peraltro, si sarebbe anche potuto fare a meno di accanirsi. E non è tutto: l’Unità in quella edizione pubblicò anche uno stralcio del «Manifesto di Ventotene» di Altiero Spinelli, salvo dimenticare, sostanzialmente, di dare in prima pagina la notizia del risultato del voto in Grecia del giorno prima!

Nei giorni successivi, naturalmente, con la defenestrazione di Varoufakis e la necessità di un nuovo negoziato tra Atene e l’Europa, è stata la stessa cronaca a incaricarsi, come sempre, di riportare tutti o quasi tutti alla realtà, ché col voto greco s’è dovuto bene o male fare i conti. Lo hanno fatto i governi e lo hanno fatto anche i giornali, rimodulando di conseguenza un po’ tutti le proprie posizioni. Peraltro, ci si sono messi anche un’avvisaglia di crisi Cinese e un ritorno di fiamma per le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi a stemperare il clima che s’era andato costruendo attorno al referendum greco. Così, il 10 luglio i titoli dei giornali sono di tenore molto diverso da quelli di soltanto una settimana prima: il Sole 24 Ore titola l’apertura così: «Borse, torna la fiducia: in rialzo azioni e bond»; lo stesso accade anche dalle parti di Repubblica: «Grecia, piano da 12 miliardi, le borse credono all’accordo». E, insomma, sembra la dimostrazione che l’Apocalisse paventata da quotidiani e commentatori come inevitabile in caso di vittoria di Tsipras era stata quanto meno rinviata a data da destinarsi.

Va comunque menzionata una eccezione non da poco: tra tutte, quella del Sole 24 Ore è stata la lettura di gran lunga più interessante in questi giorni, giacché invece di concentrarsi come altri soltanto sul racconto ben colorito delle file ai bancomat, ha avuto la serietà di dare spazio a punti di vista anche molto diversi da quelli che su altri quotidiani apparivano gli unici possibili e che, per questo, erano blindati. E ci si riferisce a interventi anche molto tagliati come quello andato sotto il titolo di «Grexit, il veleno dei luoghi comuni», nel quale la raccolta dei luoghi comuni pescava materiale da ognuna delle trincee allestite in vista del referendum, e senza troppi riguardi.

Comunque sia, è finita che, in questo strano clima post-referendario, e nell’attesa della prossima Apocalisse annunciata a mezzo stampa, tra chi aveva sostenuto il «Sì» s’è iniziata a fare strada una nuova linea di ripiego secondo la quale, in fondo, il referendum non sarebbe servito a nulla, in quanto il negoziato sta proseguendo e si andrebbe verso una conclusione del tutto simile alle premesse, referendum o non referendum, sempre che la Germania non faccia scherzi e che la Grecia accetti i sacrifici necessari. Forse è così, più probabilmente non è così e, anzi, è esattamente il contrario: se infatti sul futuro della Grecia – vista l’attitudine tedesca di queste ore – rimane difficile fare previsioni e quindi ancora vale tutto, sulla funzione che ha avuto il referendum è invece proprio la prima pagina dell’Unità del 6 luglio che dimostra come l’atto di forza della Grecia non sia stato inutile. E non soltanto perché, come sostiene qualcuno, avendo l’esito del voto rafforzato almeno momentaneamente Atene, ha consentito a Tsipras di trattare da una posizione diversa da quella che aveva prima del referendum, ma soprattutto perché quel voto sembra aver dato una svegliata a molti in Europa sulla necessità che l’Unione volti pagina e inizi a farsi davvero Unione e non sia più soltanto un mercato comune o, peggio, il cortile di casa della Germania.

Se anche fosse soltanto per questo, ecco: quel referendum proprio inutile non è stato. E anche su questo punto, c’è da scommetterci, prima o poi, e una volta posatasi la polvere della propaganda profusa un po’ ovunque in queste ultime settimane, saranno in molti a mettersi in viaggio sulla strada che porta a Canossa, magari senza darlo troppo a vedere. Coraggio, allora: lo ha scritto anche l’Unità renziana che quello nel quale abbiamo vissuto sino al 5 luglio forse non era proprio il migliore dei mondi possibili e che ora si può immaginare una «nuova Eruopa». E ci ha fatto sopra anche un bel titolone, sebbene non esente da un pettegolo refuso.

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