UE

La grande truffa del referendum italiano per l’uscita dall’euro

7 Luglio 2015

E adesso, prevedibilmente, tutti vogliono “anche” in Italia il referendum per uscire dall’euro. Il fronte che si è andato a creare parte dal Movimento 5 Stelle e arriva fino alla Lega Nord, raccogliendo nel mezzo Fratelli d’Italia e ampi settori della “sinistra no-euro” italiana che, a breve, decideranno probabilmente di fare il grande salto schierandosi apertamente contro la moneta unica. Ma se fosse solo una questione di decidere se l’euro sia un bene o un male, non ci sarebbe nessun problema: la questione è complessa e le idee sono diverse.

Il punto è che parlando di referendum “anche” in Italia per decidere se restare o meno nell’euro si riesce nell’incredibile impresa di raccontare due (o forse tre) menzogne in una sola frase. Prima di tutto, sarebbe il caso di togliere da ogni frase che riguarda questo fantomatico referendum la congiunzione “anche”: in Grecia non c’è stato nessun referendum per l’uscita dall’euro.

La cosa era chiarissima fin dall’inizio, gli esponenti del governo Tsipras l’hanno ripetuto fino alla nausea ed è ancora più chiara oggi, visto che i tentativi di Atene sono tutti improntati a far ripartire le trattative. Il referendum era sul rifiuto o meno della proposta dell’Eurogruppo così com’era stata formulata in data 25 giugno. A voler trasformare tutto ciò in un derby euro vs. dracma è stato da una parte chi, come Matteo Renzi, voleva drammatizzare la cosa e sponsorizzare dall’estero un voto in favore del ‘sì’; dall’altra chi, come Grillo o Salvini, voleva galvanizzare le truppe italiane all’urlo che poi si è sentito chiaro e tondo: “Lo vogliamo anche in Italia”. Insomma, la si è buttata in gran caciara con scopi esclusivamente di propaganda interna.

La seconda bugia è forse ancora più grave: si parla di referendum per decidere dell’uscita dall’euro. Come se si potesse davvero decidere una cosa del genere per via referendaria. Invece, non solo (almeno a mio parere) non è auspicabile (per ragioni di democrazia rappresentativa che ho cercato di spiegare qui), ma non è nemmeno possibile: l’art. 75 della Costituzione italiana dice che lo strumento consultivo non può essere utilizzato per alcune questioni, fra cui “leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Noi facciamo parte dell’euro per via di un trattato internazionale.

E in effetti, a furia di sentirsi ripetere che la cosa non si può fare e che sarebbe meglio smetterla di far credere a quanti vogliono crederci che un referendum possa farci uscire dall’euro, dalla bocca dei rappresentanti del Movimento 5 Stelle ha iniziato timidamente a uscire la parola “consultivo”.

Un referendum consultivo, quindi. Che ha solo un valore simbolico. Che serve al governo e al Parlamento per sapere cosa ne pensano gli italiani di un certo argomento e poi valutare, senza alcun vincolo, che decisione prendere. Fosse così semplice, si potrebbe anche fare.

Peccato che il nostro ordinamento non preveda nemmeno il referendum consultivo o di indirizzo. Unica eccezione fu quello del 1989 sulla trasformazione della Comunità europea in Unione, per il quale ci volle una legge costituzionale apposita, che fu di sola rottura e comunque non introdusse il referendum consultivo in Italia.

Si dovrebbe fare, quindi, anche questa volta una legge costituzionale di rottura, che prevederebbe la doppia lettura in entrambi i rami del Parlamento. Inutile dire che al momento manca una maggioranza che abbia la volontà di indire un referendum di questo tipo.

Ma mettiamo pure che il M5S riesca nell’impresa eccezionale e che si vada a un referendum consultivo. Mettiamo pure che vinca l’uscita dall’euro. Mettiamo pure che il governo decida, in seguito al voto, di provare a uscire dall’euro. A quel punto saremmo liberi da queste catene europee e potremmo tornare felicemente a vivere sotto la lira come nei “good old times”?

Ebbene: no. O meglio, non c’è nessuna norma che dica quali sono le strade da seguire per uscire dall’euro. Ci sono invece delle regole per uscire dall’Unione Europea in toto (cosa ancor meno auspicabile); regole che tra l’altro prevedono procedure lunghissime. Poi, ovviamente, se uno stato vuole uscire dall’euro può comunque farlo (attraverso una revisione unilaterale dei trattati, per esempio), ma il fatto che non sia esplicitamente prevista procedura di certo non aiuta.

La semplificazione totale con cui i politici italiani parlano di un referendum per uscire dall’euro si avvicina pericolosamente alla menzogna. O quanto meno a un modo per raccogliere facili consensi senza poi doverne rendere conto (almeno non in tempi brevi).

@signorelli82

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.