Partiti e politici
La candidatura “diretta” del presidente Ue: un sistema già in crisi
Sia durante la campagna per le europee appena trascorsa che durante queste settimane di trattative per la scelta del prossimo Presidente della Commissione Europea abbiamo visto da più parti critiche verso il sistema degli Spitzenkandidaten, ovvero la prassi che vede i partiti europei proporre agli elettori già prima del voto il nome di chi vorrebbero alla Presidenza della Commissione Europea.
Già Guy Verhofstadt, leader dei liberali dell’ALDE e di cui era tra l’altro Spitzenkandidat alle elezioni del 2014, aveva criticato il sistema, a suo dire delegittimato dopo il rifiuto del Parlamento Europeo, nel 2018, di adottare quote transnazionali nelle liste per le elezioni europee. In linea con questa visione, l’ALDE non aveva presentato un solo candidato, ma una rosa di nomi papabili per le trattative post voto. In queste settimane, con un Parlamento Europeo uscito frastagliato a causa dei risultati delle urne, il presidente francese Emmanuel Macron ha sottolineato durante un vertice del Consiglio Europeo come anche per lui quella degli Spitzenkandidaten sia una pratica ormai superata.
Eppure il sistema è giovanissimo: introdotto per la prima volta per le elezioni europee 2014 a seguito di una raccomandazione della Commissione Europea diramata nel 2013, sembra inceppatosi già al suo secondo utilizzo. La prima volta, però, ha funzionato bene: il candidato del partito uscito maggioritario dal voto, Jean-Claude Juncker del Partito Popolare Europeo, è diventato effettivamente Presidente della Commissione per cinque anni, mentre gli altri, ovvero Martin Schulz per i Socialisti e Guy Verhostadt dei liberali, sono stati figure cardine delle dinamiche europee (almeno fino all’abbandono della scena europea di Schulz).
Il problema, però, è che il sistema degli Spitzenkandidaten, pur essendo una novità importante introdotta nello scenario europeo in favore di una maggiore democratizzazione delle istituzione e di un più immediato riconoscimento dell’elettorato nelle famiglie politiche europee, è effettivamente un sistema debole.
Innanzitutto, si tratta di una prassi, come tale non vincolante e non incorporata nelle leggi elettorali europee (e come potrebbe, del resto, se ogni stato membro ha la sua legge elettorale, a patto che sia proporzionale?). Formalmente, anche un partito che ottenesse la maggioranza assoluta, dunque senza impedimenti reali, potrebbe in teoria eleggere un nome diverso da quello detto in precedenza.
Da un punto di vista formale è il Consiglio Europeo a proporre un nome per la guida della Commissione Europea, nome che poi dovrà essere votato dal Parlamento. É chiaro quindi che, se a un Consiglio particolarmente diviso politicamente si somma un Parlamento senza una chiara maggioranza politica, lo stallo è inevitabile, e l’esito potrebbe essere quello di rinunciare a eleggere uno dei candidati.
É più che normale che, di fronte a un Parlamento senza maggioranza, la prima mossa negoziale dei partiti coinvolti nelle trattative sia quella di chiedere agli altri partiti di rinunciare ai loro candidati e a convergere su altri nomi. Bruciare gli Spitzenkandidaten, insomma, diviene il primo passo per trovare un compromesso, tanto più perché tutti potrebbero dire di non aver fatto vincere il candidato “degli altri”.
La prevedibilità di questo meccanismo è dimostrata dal fuoco di sbarramento verso Manfred Weber (il candidato del PPE, che ha la maggioranza relativa e che in base al sistema rivendica il ruolo di presidente). La dinamica è abbastanza simile a quanto vediamo in Italia, dove ha portato alla retorica del “premier non eletto dal popolo”. E del resto, l’ostruzionismo su Weber (o chi per lui) ha una sua legittimità: Weber è il candidato di un partito uscito fortemente ridimensionato dal voto, e che per formare una maggioranza avrà bisogno di altri partiti. Imporre il candidato, oltre che impossibile, sarebbe un atto politicamente infruttuoso.
Ma politicamente è complesso anche delegittimare un sistema che si è avanzato per favorire la democrazia nelle istituzione UE. A ben vedere, il problema è proprio questo: prendersela con il sistema degli Spitzenkandidaten è inutile: la dinamica è inevitabile nell’attuale assetto istituzionale, ed è per questo che il prossimo Parlamento e i prossimi presidenti della Commissione e del Consiglio saranno chiamati a mettere mano all’assetto istituzionale, migliorando la centralità del Parlamento come principale luogo d’espressione della democrazia europea, riconfigurando anche dove necessario i rapporti tra le varie istituzioni UE. Facile a dirsi.
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