UE
La battaglia si sposta in Bce: Berlino tenterà di cacciare la Grecia dall’euro?
La netta vittoria del No nel referendum che si è svolto ieri in Grecia dà un mandato chiaro al governo Tsipras. È un No all’ultimo progetto di accordo di salvataggio presentato dalla Commissione europea, Bce e Fondo monetario internazionale. È un Sì a rimanere dentro l’eurozona, come più volte detto dal premier ellenico Alexis Tsipras e dal suo ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, con buona pace dei tanti, fra cui il nostro presidente del Consiglio Matteo Renzi, che riducevano il voto a una scelta fra euro e dracma.
È anche un No al tentativo dell’Europa a trazione tedesca di ripetere ad Atene l’operazione Monti, ovvero realizzare un cambio di maggioranza con un governo tecnico o di unità nazionale che accettasse fin nei dettagli la ricetta berlinese. Da settimane le “istituzioni europee” avevano avviato contatti con le forze di opposizione in Grecia – le stesse che in questi giorni hanno fatto campagna per il Sì, appoggiate da un enorme dispiegamento di propaganda televisiva e dall’ancora più eloquente messaggio deterrente che ogni greco riceveva ai bancomat. Quando si è accorto di tutto questo, e mentre le posizioni delle controparti si irrigidivano e le scadenze di pagamento incombevano, Tsipras ha convocato il referendum, e costretto tutti a uscire allo scoperto.
L’esito del voto pone quindi la guida tedesca dell’Europa di fronte a un bivio: o fa un salto di qualità oppure si prende la responsabilità di cacciare un paese dall’Eurozona, smentendo anni di solenni dichiarazioni sull’irrevocabilità dell’euro e aprendo scenari imprevedibili. Con conseguenze per tutti, Germania inclusa. Secondo il quotidiano tedesco Handelsblatt, il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha messo in guardia dal calo degli utili che la banca centrale tedesca assegna al governo di Berlino in caso di uscita della Grecia dall’eurozona: la Grexit potrebbe produrre buchi miliardari anche per il bilancio pubblico tedesco.
I colloqui comunque sono già ripartiti. Ieri Tsipras ha chiamato i vari leader europei per chiedere la ripresa dei negoziati; la cancelliera tedesca Angela Merkel ha sollecitato un vertice dell’Eurozona per martedì, e già stasera incontrerà il presidente francese Hollande; il Consiglio europeo si riunisce martedì; l’Eurogruppo dei ministri delle Finanze in settimana. Da domani si apre dunque una finestra di circa due settimane che deciderà il futuro dell’Europa: il 20 luglio scadono 3,5 miliardi di debiti di Atene verso la Bce, ed entro questa data va trovato un accordo. Un’ulteriore insolvenza, dopo quella verso l’Fmi dello scorso 30 giugno, farebbe salire il grado di caos nel continente. Bisognerà discutere la ristrutturazione del debito greco, che dovrebbe passare dall’accesso di Atene al Mes/Esm, il fondo salvastati, le azioni di riforma che Tsipras si impegna a realizzare, i finanziamenti da erogare nell’immediato. L’operazione dovrebbe passare attraverso il consolidamento di tutto il debito in campo al Mes: il fondo salvastati dovrebbe rilevare sia l’esposizione della Bce sia quella dell’Fmi (circa 30 miliardi in scadenza da qui al 2017) e poi procedere alla ristrutturazione del debito, abbuonandone una parte, il tutto condizionato a un piano di riforme sottoscritto dal governo di Atene.
Ancora più urgente è evitare l’implosione del sistema bancario greco. Nonostante le misure di controllo sui capitali, le banche sono vicine all’esaurimento della liquidità. Venerdì scorso rimaneva meno di un miliardo di euro, insufficiente anche solo per stare dietro al ritmo di prelievo imposto dal tetto di 60 euro al giorno. La ripresa dei colloqui potrebbe stemperare le tensioni e rallentare la corsa agli sportelli, ma se Francoforte non concede un po’ di respiro, riaprendo il rubinetto dell’Ela – la liquidità di emergenza erogata dalla Bce alle banche che non possono accedere ai finanziamenti ordinari –, bisognerà prorogare la chiusura delle banche. Il che affosserà ancora di più l’economia greca in un momento cruciale come è la stagione estiva per l’industria turistica. «La Grecia andrà al tavolo negoziale con l’obiettivo di riportare alla normalità il sistema delle banche. Vogliamo continuare le trattative con un programma reale di riforme, ma con giustizia sociale», ha detto Tsipras.
La Banca centrale greca ha già chiesto un aumento dell’Ela alla Bce, che si riunisce questa mattina. Dalle decisioni e dal tono delle comunicazioni che farà l’istituto presieduto da Mario Draghi si capirà che tipo di ragionamenti sono maturati nella notte fra banche centrali e cancellerie. Dopo che il 27 giugno è stato deciso il congelamento delle linee Ela ai livelli di venerdì 26 giugno (89 miliardi di euro), toccherà decidere come e se intervenire. Le carte sul tavolo, in effetti, sono cambiate, e non solo per il voto di ieri. Da un lato, ci sono il No greco al piano, il default dichiarato verso il Fondo monetario internazionale, una sorta di “preavviso di default” annunciato dal fondo salvastati europeo, e la richiesta greca di ristrutturare il debito – tutti argomenti di peso che possono essere spesi da chi vuole che i rubinetti rimangano chiusi. Dall’altro, c’è volontà greca di rimanere nell’eurozona e di concordare un nuovo piano, insieme con le dichiarazioni di disponibilità arrivate da più parti.
Draghi dovrà sciogliere un nodo gordiano: anche volendo, come potrebbe la Bce di propria iniziativa riaprire i rubinetti e dare liquidità avendo a garanzia titoli di un emittente sovrano in default presentati da banche la cui solvibilità è oggi sotto stress? Le regole attuali lo vietano. Di contro, la Bce ha un obiettivo più alto: tutelare l’integrità dell’eurozona. «La promessa di Varoufakis che le banche riapriranno domani e che ci sarà denaro disponibile mi sembra difficile e pericolosa: credo che il popolo greco vivrà in una situazione più difficile», ha detto il presidente dell’Europarlamento il tedesco Martin Schulz, aprendo una sorta di fuoco di sbarramento preventivo che prepara la strada ai banchieri centrali di “osservanza tedesca” in seno alla Bce.
La battaglia, insomma, si gioca anche per interposto banchiere centrale. Per fare passare una decisione in tema di Ela – che si tratti di revoca o di aumento – occorrono i due terzi dei voti del consiglio direttivo. Per forzare le regole (non sarebbe la prima volta), serve qualcosa di concreto su cui far leva. Per lo meno, una esplicita copertura istituzionale che può venire solo dalla Ue e dai governi: un qualche passaggio formale con una indicazione precisa sulla direzione intrapresa che permetta alla Bce di ragionare come se il piano di là da venire fosse in corso. Di base le opzioni sono tre a seconda della lettura degli eventi che prevarrà nel consiglio direttivo.
La prima, quella più rigorosa ed esplosiva, porterebbe a ritirare la liquidità già erogata alle banche greche in virtù del default e della vittoria del No: poco probabile perché sarebbe come far detornare una bomba nell’eurosistema. La seconda ipotesi, attendista, è che la Bce aggiorni a mercoledì la decisione di concedere nuova liquidità, nella speranza che il nuovo giro di valzer di eurogruppi, eurosummit e consultazioni bilaterali produca qualcosa; nel frattempo, al governo greco verrebbe raccomandato di prolungare i controlli sui capitali. La terza ipotesi, la più coraggiosa, sarebbe accogliere le richieste greche, concedendo liquidità aggiuntiva per allentare la tensione ed evitare un avvitamento dell’economia in Grecia: ma forse per questo è un po’ troppo presto.
I “falchi” potrebbero decidere di condurre la battaglia su un altro aspetto: l’haircut del collaterale, ovvero la riduzione di valore che viene applicata al valore dei titoli consegnati a garanzia dei finanziamenti ottenuti dalla banca centrale, una percentuale che dipende dal grado di solvibilità dell’emittente. Per esempio, se l’haircut applicato ai titoli di stato di un certo paese è del 3%, significa che a fronte di 100mila euro di titoli la banca potrà ottenere liquidità per 97mila. Un aumento dell’haircut determina una riduzione della liquidità ottenibile offrendo come collaterale una data quantità di titoli collateralizzati. A differenza degli haircut applicati alle operazioni di rifinanziamento ordinarie, che sono pubblici, quelli applicati ai finanziamenti Ela sono riservati. Secondo una stima di Marcello Minenna, docente di Finanza matematica all’Università Bocconi autore de “La Moneta incompiuta”, sulla base di alcune informazioni pubbliche dei bilanci del sistema bancario greco, sono ipotizzabili haircut pari al 10% per i titoli di stato a breve e del 50% per gli altri titoli di stato collateralizzati in Ela, che sono la gran parte di queste garanzie, mentre i titoli che il sistema bancario greco ha ancora a disposizione per ulteriore erogazioni di liquidità di emergenza si aggirerebbero intorno a 30 miliardi di euro. «Laddove la Bce, a seguito delle dichiarazioni di default di Fmi e Efsf, dovesse rivedere questi haircut il suddetto buffer di 30 miliardi non riuscirebbe neanche a mantenere la Ela al livello corrente di 89 miliardi», osserva Minenna. Mantenere quindi i livelli correnti di Ela e aumentare l’haircut sui titoli governativi greci inasprirebbe la condizione delle banche greche.
C’è anche chi pensa a soluzioni come l’introduzione di un mezzo di pagamento parallelo nella forma di cambiali pagherò emesse dal governo, e stampate in formato banconote dalla Banca centrale greca: da un lato eviterebbero di dare fluidità gli scambi interni e dall’altro permetterebbero ad Atene di rimanere formalmente nell’euro. Ma al punto in cui siamo arrivati, è chiaro che la questione è tutto fuorché un problema da risolvere a livello “tecnico”. E Draghi, che aveva promesso il “whatever it takes” per salvare la moneta unica europea e la sua integrità, non vorrà certo passare alla storia come l’uomo che ha premuto il pulsante per l’espulsione della Grecia dall’eurozona. Se dopo il referendum di ieri, i tedeschi e i loro alleati vogliono mettere la Grecia alle strette e spingerla fuori dall’eurozona dovranno dirlo apertamente e assumersene la responsabilità.
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