Partiti e politici
Islamofobia, in Olanda Wilders non sfonda più
Mentre in Germania, dove le manifestazioni anti islamiche di PEGIDA sembrano ingrossarsi di settimana in settimana, in Francia, dove il Front National di Le Pen rivendica una impennata di iscritti negli ultimi giorni, e in Italia, dove i sondaggi testimoniano una costante crescita di consensi per la Lega Nord di Salvini, solo in Olanda il PVV, il Partito per la Libertà di Geert Wilders, campione anti islam, non sembra godere del momentum favorevole che sta premiando le forze populiste e islamofobe in tutta l’Europa occidentale. E’ di pochi giorni fa la notizia delle dimissioni di un consigliere regionale del Noord Brabaant (Eindhoven), insoddisfatto dalla linea politica adottata del partito. E’ l’ennesimo segnale, forse il minore dopo l’uscita di un parlamentare nel 2013 e di altri due nel 2014, di una crisi ormai consolidata che si manifesta sia nel numero di voti sia nella qualità del lavoro parlamentare sia nella minor agibilità politica concessa al partito e al suo padre-padrone, Geert Wilders. Per quanto riguarda i numeri, è sufficiente dare un’occhiata al calante numero totale di voti raccolti dal partito di anno in anno. Fondata nel 2006 da Geert Wilders, in polemica con le scelte filoeuropeiste del suo partito, questa creatura politica, nuova per l’Olanda e per l’Europa, è riuscita a conquistare visibilità e un diffuso sostegno, diventando, alle elezioni del 2009, il terzo partito del Paese con 24 seggi e il 16% dei voti. Dopo quello straordinario risultato elettorale, che lo ha reso partner di minoranza del nuovo governo, il PVV ha imboccato, però, una china discendente, ottenendo alle elezioni politiche del 2012 mezzo milione di voti in meno e perdendo, alle europee dell’anno passato, altri 300.000 consensi. Il calo dei voti si è riflesso nella qualità del lavoro parlamentare: secondo una ricerca del quotidiano Throw, infatti, nell’anno passato solo 9 mozioni, il 3% di quelle presentate dai parlamentari del partito, hanno raccolto in aula il consenso sufficiente per essere approvate. A giocare un ruolo determinante in questa perdita di influenza e di consenso del partito potrebbe esserci la figura del suo fondatore e unico iscritto, Geert Wilders, il cui stile esuberante e sopra le righe ha smesso di ammaliare gli elettori olandesi. Oltre a aver attirato, per l’ennesima volta, l’attenzione della magistratura olandese. Dopo averla scampata nel 2011, quando aveva dovuto rispondere delle affermazioni in cui eguagliava il Corano al Mein Kampf, infatti, il leader populista è sotto inchiesta per le parole pronunciate in occasione di un comizio elettorale a L’Aia a febbraio dell’anno passato. Il leader populista aveva chiesto alla folla assiepata sotto di lui: “Volete più o meno marocchini?”. “Meno, meno” era stata la risposta univoca e lui aveva concluso con un inquietante “Ci prepariamo”. Questa volta le chances per farla franca sono minori poiché, avendo additato un ben definito gruppo etnico-nazionale, l’accusa di istigazione all’odio razziale assume una maggior concretezza e diventa l’unica risposta adeguata per il pacifico mantenimento dei precari equilibri tra le diverse comunità etniche. In un paese come l’Olanda, dove anche una figura folkloristica come SinterKlaas (San Nicola) è sufficiente per riaprire di anno in anno le non ancora cicatrizzate ferite di un passato coloniale e razzista, non paga la nuova strategia di Wilders di accentuare il profilo razzista del partito e di avvicinarsi alle forze dell’estrema destra europea più tradizionali, come il FN di Le Pen. Il costante calo di voti, l’uscita di vari membri dal partito e il nuovo processo per Wilders sembrano confermarlo.
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