UE
Non è una guerra di civiltà, e per vincere serve una CIA europea da 100 miliardi
Giorno dopo giorno si deposita la polvere rancida della paura e della rabbia, lasciando in bella vista il tema, o meglio l’incubo, di cosa fare con questo terrorismo: moderno, islamico, feroce. Qui occorre essere onesti, almeno intellettualmente.
La ricetta non c’è, esiste solo un difficile percorso di lavoro di durata pluri-decennale. Però esistono alcune certezze, almeno per quelli che non vogliono farsi prendere dalle visioni oniriche e catastrofiste. Lasciamo quindi da parte sciocchezze varie come lo scontro di civiltà o la Guerra Santa. Questa roba va bene per i sermoni o per i talk show della tv. Il terrorismo islamico prospera infatti grazie al sostegno di molti potenti della terra, Stati Nazionali e non.
Esso prospera perché serve molti obiettivi strategici delle guerre moderne, sporche e asimmetriche. Va dato atto a Vladimir Putin di averlo detto con chiarezza nelle giornate di lavoro del G20 in Turchia. Poi, certamente, esiste un terreno fertile per queste organizzazioni criminali, che è fatto di emarginati delle periferie europee, invasati di vario genere, predicatori che qui in Europa tolleriamo e che al loro Paese farebbero una brutta fine alla prima parola fuori posto.
A questa offensiva si risponde con una ricetta complessa e spesso dolorosa, che passa, ad esempio, attraverso limitazioni di quella privacy che tanto amiamo noi occidentali (giustamente). Serve una risposta diplomatica, ma anche culturale e in molti casi economica, stringendo le maglie dei controlli sugli affari dei tagliagole. E serve una risposta militare, governata però da disegni politici di lungo respiro (cioè l’esatto contrario di quanto fatto in Iraq, Siria e Libia).
Ma, soprattutto, serve una risposta di Intelligence, argomento spesso tabù in questa nostra Europa decadente e svagata. Lo si vede benissimo nella recente tragedia di Parigi. Agiscono terroristi con passaporti di mezzo mondo, che hanno soggiornato in Siria, con base logistica in Belgio. Però poi c’è un tizio, cittadino del Montenegro, fermato sulla super strada che porta da Strasburgo a Parigi con un carico di armi.
Le automobili prese in affitto per le stragi erano state prenotate fuori dai confini francesi, mentre l’ordine di attivare le cellule di morte è arrivato dalle zone controllate dall’IS, tra Siria e Iraq. Negli stessi giorni in Italia, Turchia e Gran Bretagna vengono compiuti arresti significativi e sventati attentati dai potenziali effetti devastanti. Insomma è di tutta evidenza la dimensione globale della sfida, che i singoli Paesi europei, Francia compresa ovviamente, giocano con strutture di Intelligence ormai totalmente inadeguate.
Chi ha dei dubbi provi a rispondere a una domanda: quanti agenti “operativi” può schierare la Francia nelle zone dell’IS? Un numero certamente limitato, spesso con effetti gravissimi di duplicazione con il lavoro dei tedeschi, degli inglesi e così via. È dunque tempo, che ci piaccia o no, di far nascere la prima vera agenzia di Intelligence dell’Unione Europea. Nel complesso (dati ufficiali 2014) gli Stati Uniti spendono 50 miliardi di dollari all’anno su questo fronte, con risultati importanti, soprattutto dopo le poderose riforme intervenute dopo l’11 settembre 2001.
L’Europa, che ha un numero doppio di abitanti e comunità islamiche molto più numerose e ben collegate con le “zone calde”, deve attrezzarsi ad investire, pensando a un budget da 100 miliardi di euro l’anno. Solo così potremo giocare la vera sfida del XXIesimo secolo, portando il Vecchio Continente nel futuro, terreno di sconto di super potenze che si fanno la guerra tutti i giorni, senza usare gli arsenali nucleari. India, Cina, Russia e Paesi satelliti, Usa.
E poi la galassia islamica, variegata e quindi difficile da interpretare, ma ricca a dismisura dopo cinquant’anni di dividendi petroliferi. Se pensiamo di stare in campo con azioni di “maggiore coordinamento”, come molti chiedono in queste ore, tra strutture nazionali siamo già morti. Prima o poi passerà il becchino.
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