UE

L’Europa ha risolto i suoi conflitti, perché è muta su quelli degli altri?

20 Novembre 2014

Le recenti crisi internazionali, tra cui la questione della Crimea e l’ultimo conclitto israelo–palestinese, hanno senza dubbio messo in luce la scarsa efficacia dell’Unione europea nel favorire il superamento di tensioni tramite la promozione dell’integrazione regionale. A questo proposito, l’Istituto Affari Internazionali, assieme all’Università di Tubinga ed ad altri partner internazionali, ha presentato al Parlamento europeo, il 14 novembre, i risultati del progetto di ricerca Regioconf, al fine di capire come mai lo stesso modello di integrazione regionale che ha permesso all’Europa di superare le disastrose conseguenze di due grandi guerre non abbia raggiunto un ugual successo in altre regioni del mondo.

 

Al fine di promuovere il superamento di conflitti regionali in Africa, Asia, America Latina e nel Mediterraneo, l’Ue ha da tempo sostenuto lo sviluppo di diverse organizzazioni regionali sia tramite sussidi economici che supporto istituzionale in materia di integrazione. Tuttavia, organizzazioni come l’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (Asean), il Mercosur o l’Unione africana (Ua), non hanno prodotto un architettura istituzionale tale da promuovere un’ effettiva unione politica tra i propri stati membri ed è quindi mancato anche un efficace input locale per risolvere i conflitti regionali.

Nonostante gli sforzi del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), promosso dal trattato di Lisbona, il  mancato successo del modello europeo sembra essere legato a diversi fattori. Gli effetti della crisi economica sugli Stati membri, il diffuso euroscetticismo, le campagne anti-euro e le crisi politiche nazionali, hanno sicuramente delegittimato l’Unione europea agli occhi dei partner internazionali. Asean e Mercosur ad esempio criticano l’efficacia del modello di integrazione europeo che è costato ai suoi stati membri la perdita di sovranità economica nei confronti di Bruxelles.

Se da un lato la perdita di sovranità nazionale viene vista come problematica, dall’altro lo è anche l’assenza di una strategia di politica estera condivisa. Quest’ultimo punto appare chiaro se si considera che nel Mediterraneo, area dove l’Ue ha da sempre goduto una posizione di notevole privilegio, gli interessi di alcuni Stati membri, quali Regno Unito, Francia e Spagna, e i sensi di colpa tedeschi legati all’Olocausto, hanno impedito all’Ue di adottare un approccio coerente nella promozione di integrazione regionale tra Israele e Palestina o  tra Algeria e Marocco sulla questione dei Sarawi.

In conclusione, nonostante l’Unione europea rimanga ancora l’esempio internazionalmente più riconosciuto di integrazione regionale come via di promozione della pace, l’incapacità europea di reagire alla crisi economica, il persistente protagonismo degli Stati membri e la mancanza di una politica estera comune più efficace porterebbero costarle una definitiva perdita di legittimità quale attore di riferimento in materia di integrazione e risoluzione di conflitti. Altri attori internazionali, tra cui gli Stati Uniti e la Cina, sembrano infatti esercitare un maggiore peso sulle regioni in questione, sia per le rilevanti risorse economiche e militari, sia perché in possesso di una politica estera più chiara.

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