UE
Immigrazione: oltre le polemiche, ecco la verità (amara) sulle regole europee
La vexata quaestio Mare Nostrum – Triton è un tema su cui pochi negli ultimi tempi si sono esentati dal produrre le proprie dieci righe di rito (che spesso erano parecchie di più). In Italia in particolare, schiere di giornalisti opinionisti, ministri e relativi portavoce, fino ad arrivare a blogger e attivisti hanno generosamente fornito la loro personale analisi ed esposto la loro opinione sulla questione, fenomeno ripetuto e se possibile amplificato nelle ultime settimane a seguito delle notizie di scottante attualità inerenti nuovi, massicci flussi di immigrazione provenienti soprattutto dall’Eritrea all’Italia. Purtroppo il più delle volte si è trattato della seconda cosa, opinioni e polemiche, che mascherava la prima: di fronte alle tragedie ci si è limitati cioè ad una presa d’atto degli effetti e ad uno sforzo di individuazione dei responsabili stigmatizzando uno specifico comportamento, ma si è accuratamente evitato di affrontare la questione spinosa che vi sta a monte: la regolamentazione.
Negli ultimi anni la sorveglianza delle frontiere europee nel Mediterraneo ha visto una proliferazione senza precedenti delle proprie norme, emanate da autorità eterogenee e non necessariamente in accordo; per districare la matassa è essenziale quindi non solo capire quali di queste autorità siano in gioco nello scacchiere europeo attuale, ma anche se esse stiano agendo al di fuori o all’interno del quadro normativo europeo post-Trattato di Lisbona. Sotto il profilo della regolamentazione il conflitto di autorità è in atto fra due tipologie di attori politici: quelli al servizio dell’Unione Europea e quelli al servizio degli Stati nazionali, e tale contrapposizione ha sostanzialmente determinato finora il tipo di risposta data ai morti nel Mediterraneo (1).
A livello operativo, questo conflitto di autorità si riflette nella proliferazione di differenti sistemi di sorveglianza e tecnologie (già operative oppure ancora in fase di sviluppo) che hanno creato in Europa uno scenario di concorrenza fra attori simili: il sistema europeo di sorveglianza frontaliera EUROSUR, il progetto di sorveglianza marittima MARSUR e lo sviluppo del CISE – Common Intelligence Sharing Environment. Vi sono poi degli elementi trasversali, che mettono in relazione i primi con i secondi, ovvero gli attori con la compagine legislativa europea: il più importante di questi è la cooperazione sui controlli frontalieri basata sugli accordi di Schengen.
Il sistema Schengen attua una distinzione fondamentale fra le attività rubricate sotto la voce “border surveillance” e quelle etichettate come “search and rescue” (SAR). Le prime cadono sotto la competenza dell’Unione Europea, mentre le seconde, avendo scopi umanitari, rimangono formalmente sotto la sovranità delle autorità competenti degli Stati membri. Negli ultimi anni la normativa Schengen è stata assorbita e gradualmente formalizzata all’interno sia della legislazione dell’Unione Europea, sia della giurisdizione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CJEU). Inoltre, all’indomani del Trattato di Lisbona, le alleanze fra attori in scena sono andate sempre di più nella direzione di una cooperazione civile-militare, attraverso sinergie informali che non sempre operano all’interno del quadro normativo dell’UE.
L’esempio più eclatante di tali iniziative trasversali è stata l’istituzione dell’EEAS, una sorta di servizio di legame fra la Commissione e il Consiglio, con il mandato, tra gli altri, di rafforzare la coerenza fra le differenti policies europee in tema di relazioni esterne. Come tutti abbiamo avuto modo di vedere negli ultimi anni, il problema di queste intersezioni di competenze si concretizza nel momento in cui ci si trova faccia a faccia con i diretti interessati (ovvero con i migranti intercettati): trattandosi il più delle volte di richiedenti lo status di rifugiato o comunque di protezione internazionale, la domanda ricorrente e’: “a chi compete la giurisdizione e la conseguenti decisioni in merito”?
La natura non formale della cooperazione fra gli attori in gioco porta ad una zona di opacità circa le responsabilità, il che non solo aumenta il rischio di eventuali violazioni di diritti umani, ma crea incertezze su cosa esattamente sia da fare: operazioni di sorveglianza delle frontiere, oppure ricerca e salvataggio in mare? E da chi e con quali mezzi? Con tanti attori in gioco, l’individuazione di responsabilità diviene incredibilmente difficile e lo scenario intricato. Inoltre il crescente coinvolgimento di attori militari, in particolare le Marine militari degli Stati membri, solleva un interrogativo non da poco: come accettare questo tipo di attori all’interno di approcci non formali senza rischiare di far ricadere nell’area della cooperazione informale e della “experimental governance” anche la sorveglianza delle frontiere (2)?
L’operazione Mare Nostrum e Frontex
Come si ricorderà, l’operazione Mare Nostrum fu lanciata il 18 ottobre 2013 dalla Marina Militare Italiana, a seguito dell’ennesima grave tragedia in mare a largo dell’isola di Lampedusa, in cui persero la vita più di 300 persone. Non si trattava in realtà di una operazione del tutto nuova, quanto piuttosto di un aggiornamento dell’operazione navale già in corso nelle acque italiane denominata “vigilanza costante” (3).
Pochi forse ricordano che in risposta a queste tragedie vi era stata inizialmente da parte dell’ex Commissario Europeo per gli affari interni Cecilia Malmström la proposta di creare “una rete Frontex di operazioni di salvataggio su vasta scala, in grado di coprire il Mediterraneo da Cipro alla Spagna”; si trattava della cosiddetta Frontex Joint Operation (4), alla quale ciascun Stato membro avrebbe dovuto contribuire mettendo a disposizione un proprio contingente aggiuntivo di supporto (5). Fu proprio l’eccessiva lentezza da parte degli Stati membri a venire incontro a una tale richiesta a persuadere il Governo italiano a portare avanti una propria iniziativa unilaterale: Mare Nostrum, appunto.
Come sovente accade, le stime dei costi di gestione complessivi di una operazione simile sono divergenti; secondo alcune fonti dei media esse ammonterebbero a circa 9 milioni di Euro al mese (6), in parte provenienti da finanziamenti dall’ External Borders Fund (EBF) concessi all’ Italia dalla Commissione Europea nel novembre 2013, quale fondo di emergenza post-Lampedusa. Tuttavia, dopo i 1.800.000 € sufficienti a coprire circa un mese di spese di funzionamento dell’attività, la Commissione non concesse ulteriori finanziamenti specifici, limitandosi ad un sostegno finanziario all’Italia con altre finalità (7).
L’area operativa di Mare Nostrum si estendeva ben oltre le acque territoriali italiane e le zone contigue, sovrapponendosi con aree di pertinenza dell’autorità maltese e libica (8). A guida dell’operazione, che ha visto impegnati aerei, navi, droni ed elicotteri (9) c’era la Marina Militare Italiana, con più di 900 persone operative (10) e soprattutto con l’impiego di navi militari, l’unica tipologia di imbarcazione (come spiegato dall’ex direttore esecutivo ad interim di Frontex Gil Arias) in grado di trasportare un numero così ingente di persone (11). Anche la Slovenia fu coinvolta nell’operazione e fornì una motovedetta con un equipaggio di circa 40 membri per alcune settimane (12).
Stando a quanto riferito dalla Marina Militare Italiana, fino alla fine di ottobre 2014 sono state tratte in salvo da Mare Nostrum 150.810 persone; ciò significa che nel 2014 le migrazioni dal Mediterraneo verso l’Europa hanno superato quelle successive alle primavere arabe nel 2011, quando si i migranti registrati furono 141.000 (13). Stando sempre a quanto riferito da Arias, i Paesi di provenienza dei migranti erano prevalentemente la Libia (86%), l’Eritrea e la Siria; la maggior parte degli incidenti in mare (qui intesi come salvataggi e intercettazioni) si sono verificati nei pressi della costa libica all’interno della zona operativa di Mare Nostrum. e non nell’area operativa di Hermes ed Enea, le due operazioni congiunte di Frontex (di cui si parlerà più avanti).
“Sia il numero dei viaggi, sia quello dei migranti – ha concluso Arias – è drasticamente aumentato dopo l’introduzione di Mare Nostrum. Mi rincresce dire che questa operazione abbia rappresentato un fattore di attrazione, ma i contrabbandieri hanno abusato della vicinanza delle navi italiane con la costa libica per immettere un maggior numero di persone in mare, presupponendo che sarebbero stati salvati molto presto. Ciò ovviamente consentiva loro di rifornire le imbarcazioni di meno carburante, meno viveri e meno acqua, mettendo maggiormente a repentaglio la vita dei migranti” (14).
Le finalità di Mare Nostrum sono sempre state presentate sotto la duplice veste sia umanitaria che di sicurezza, includendovi sia le attività di sorveglianza e SAR, sia l’eventuale arresto di trafficanti e scafisti (15). Ciò ha alimentato una certa incertezza circa la sua natura: il fatto che si trattasse di una operazione esplicitamente SAR-oriented ma condotta con mezzi militari, per di più portata avanti per iniziativa unilaterale di uno Stato membro, ha fatto sì che essa non ricadesse sotto il quadro normativo UE che disciplina il settore, come il nuovo regolamento Frontex 656/2014 di sorveglianza dei confini marittimi.
Inoltre, vari rapporti (16) rilevarono quasi da subito come i sistemi di controllo italiani non fossero dotati né di sufficienti strumenti per attuare efficacemente la Carta di Dublino (17) (ad esempio un rilevamento sistematico delle impronte digitali), né di un’adeguata rete di strutture di accoglienza, come confermato dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (18).
Il futuro di Mare Nostrum è stato oggetto di molte discussioni in seno al Parlamento italiano e in sede UE nel corso del 2014. In Italia la Lega Nord ne chiese a gran voce la sospensione e vi fu addirittura chi, come il vice presidente del Senato Gasparri, arrivò ad etichettare l’operazione come un indesiderabile “servizio taxi” per migranti. Alcuni politici europei si sono mantenuti sul medesimo registro, evidenziando come Mare Nostrum fosse diventato un “fattore di attrazione” per l’immigrazione in Europa (19).
In tale dibattito il ruolo di Frontex, l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa nelle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, è stato fondamentale. Frontex fu fondata nel 2004 come una ex Agenzia del primo pilastro (20) e il suo mandato legale venne notevolmente ampliato nel 2011 (21). La sua Direzione Generale di riferimento alla Commissione Europea è la DG Affari Interni (22) il che significa che si tratta di un’Agenzia UE guidata da esigenze di intelligence e di emergenza, responsabile del supporto e della cooperazione operativa tra i servizi nazionali degli Stati membri aderenti a Schengen (e associati a Schengen) (23) e uno dei suoi ruoli chiave è l’attuazione di tale accordo nelle frontiere esterne europee .
Il Regolamento di Frontex è stato significativamente modificato nel 2011: oltre a concedere all’Agenzia un certo numero di nuove competenze , esso ha integrato il suo apparato normativo in vari modi, in particolare attribuendo al direttore esecutivo dell’Agenzia la facoltà di sospendere un’operazione congiunta (Joint Operation, JO) con uno Stato membro laddove dovessero verificarsi violazioni dei diritti umani (25).
I nuovi emendamenti hanno introdotto però anche delle limitazioni del margine di manovra dell’Agenzia; ad esempio la cooperazione con i Paesi terzi (extra EU) è stata circoscritta, rendendo oramai di fatto impossibile per Frontex svolgere alcune delle sue operazioni congiunte “innovative” in cooperazione con Stati terzi, come ad esempio le JO HERA, basate sul coinvolgimento attivo di funzionari mauritani e senegalesi nell’intercettazione e nel respingimento di migranti (26).
In termini di presenza operativa nel Mediterraneo, l’operazione congiunta Hermes con la sua rete europea di pattuglie (EPN) era stata lanciata nel 2011 come risposta all’aumento dei flussi in seguito alle primavere arabe, e anche questa dopo una richiesta formale da parte dell’Italia (27). Da allora, Hermes è stata prorogata più volte e ha continuato la sua attività fino al 2014 (28). In totale, 22 Stati membri hanno partecipato alle operazioni congiunte Hermes ed Enea. L’area geografica italiana interessata da Hermes è il sud della Sicilia e le isole del Mar Egeo (29), e a partire dal 2011, per diversi mesi all’anno, anche la coste della Puglia e della Calabria, concentrandosi maggiormente sul Mar Ionio. Il numero delle persone intercettate è stato ridotto in modo significativo nel corso del 2014; il che, secondo alcuni, è stato principalmente dovuto proprio all’azione dell’operazione Mare Nostrum che interveniva più a sud, intercettando le persone prima che raggiungessero le aree interessate da Hermes. L’autorità di Frontex nella zona era quindi notevolmente diminuita, messa in qualche modo in ombra dall’iniziativa Mare Nostrum. La Task Force per il Mediterraneo della Commissione Europea ribadì il ruolo centrale di Frontex, affermando che occorreva garantire “la piena coordinazione fra le operazioni di sorveglianza rafforzata alle frontiere degli Stati membri con le operazioni congiunte di Frontex” (30).
Questa serie di eventi è esemplare di come le sfere di competenza giuridica possano sovrapporsi e guidare il corso dei dibattiti in seno all’UE in materia di politiche di controllo e sorveglianza delle frontiere mediterranee. Sullo sfondo degli sviluppi appena descritti, vi fu un lungo e travagliato processo di negoziazione sulle regole da applicare alle operazioni Frontex di sorveglianza dei confini costieri. Tutte le operazioni congiunte Frontex ricadono ora sotto il regolamento 656/2014, adottato nel maggio 2014, che delinea le norme comuni sull’intercettazione di navi in alto mare, sulla SAR e sugli sbarchi (31).
Queste regole sostituiscono una Decisione del Consiglio adottata nel 2010 ed in seguito rimpiazzata dalla CJEU nel 2012, dopo essere stata contestata dal Parlamento europeo. (32). Il nuovo regolamento contiene un quadro giuridico che regola e, quindi, circoscrive il modo in cui la sorveglianza delle frontiere, la SAR e gli sbarchi devono essere effettuati nel contesto delle operazioni Frontex. Inoltre, esso stabilisce che il Parlamento debba ricevere un report annuale dove siano descritti “tutti gli eventi che abbiano avuto luogo” nel corso dell’anno (33).
La Strategia di Sicurezza Marittima dell’UE
Alla luce della sempre maggiore preponderanza delle questioni di sicurezza marittima va vista l’adozione da parte dell’UE di strategie come la MSS (Maritime Security Strategy). Questa fu negoziata all’interno del Gruppo FoP del Consiglio e successivamente adottata il 16 dicembre 2014 dal Consiglio Affari Generali (34), ma è il risultato di un processo molto più lungo. Dall’ Integrated Maritime Policy (IMP) adottata nel 2007 (35), passando per la comunicazione della DG Maritime Affairs della Commissione Europea circa la sorveglianza marittima e una Wise Pen dell’EDA (36), fino alle conclusioni del Consiglio dell’aprile 2010, che chiamavano in causa l’Alto rappresentante, “insieme alla Commissione e gli Stati membri, per elaborare una strategia di sicurezza per il demanio marittimo globale” (37) le politiche comunitarie relative alla difesa, agli affari esteri e agli affari marittimi hanno svolto tutte un ruolo rilevante.
Tra i compiti principali dell’ MSS c’è la “protezione delle frontiere esterne marittime dell’Unione “ (38), e la prima cosa da evidenziare dell’MSS è come questa identifichi esplicitamente nei flussi migratori dei “fattori di rischio e minaccia” , e come questi ultimi siano individuati nel traffico di esseri umani e nelle reti criminali organizzate volte a facilitare l’immigrazione illegale” (39). Ciò che ne consegue è un approccio dominante “intersettoriale” che promuova “forme di intervento sia civile che militare” (40), che tradotto in termini operativi significa una maggiore cooperazione tra le Marine e la Guardie Costiere. L’ex Commissario europeo per gli Affari marittimi e la Pesca ha recentemente affermato in un discorso sulla MSS: “E quando mi riferisco alle capacità “nazionali”, intendo sia militari che civili. Questo è un punto essenziale. Tutte queste funzionalità, civili e militari, costituiscono parte integrante del setup generale di sicurezza e non vedo alcun motivo di rivalità o antagonismo. Mi auguro che tutti siano d’accordo su questa premessa.” (41).
Sebbene necessiti ancora di implementazione, la MMS promuove quindi una narrativa in cui flussi migratori sono percepiti come una fonte di rischio che necessita di una risposta parzialmente militare. Tuttavia, anche qui si può scorgere il conflitto di competenze che dominano il campo: la MSS indica esplicitamente che essa “non influisce sulle rispettive competenze dell’Unione e degli Stati membri ” e che sono assolutamente da evitare “nuove strutture, legislazione supplementare, oneri amministrativi ulteriori” (42). Questo è anche il motivo per cui la MSS e il suo piano d’azione sono formalmente documenti non vincolanti: la loro adozione può essere vista come una strategia per guidare il dibattito europeo verso l’utilizzo delle marine militari nazionali nella sorveglianza delle migrazioni nelle frontiere, ma non come una forma di regolamentazione tout-court.
Per capire meglio i conflitti di autorità in gioco, può essere utile esaminare brevemente le dinamiche istituzionali dietro la MSS e il suo piano d’azione. Il FoP, l’organismo scelto per portare avanti questo negoziato, va visto come un gruppo intersettoriale e costituito ad hoc, che non rientra in nessuna delle formazioni specifiche del Consiglio (come ad esempio lo sono quelle relative a Giustizia e Affari Interni o agli Affari Esteri). Il FoP è strettamente, ma non esclusivamente, legato allo specifico insieme di attori del settore marittimo; in precedenza era stato utilizzato per l’adozione della Integrated Maritime Policy nel 2007, e per la preparazione di un atto legislativo, la Maritime Spatial Planning Directive (43). La sua composizione interna vede la DG MARE in rappresentanza della Commissione, ma anche rappresentanti di DG MOVE (Mobilità e Trasporti), DG Enterprise (Impresa e industria), DG ECHO (Aiuti umanitari e protezione civile) e DG HOME (Affari Interni). Inoltre, l’Agenzia Europea di Difesa (EDA) è rappresentata direttamente nel gruppo, mentre la maggior parte degli Stati membri sono rappresentati attraverso i loro ministri della Difesa (Marina) o degli Affari Esteri.
Con la Grecia e subito dopo l’Italia che detenevano la Presidenza del Consiglio nel 2014, è stato piuttosto naturale che sia la MSS che il suo Piano d’azione ricevessero la dovuta considerazione. In particolare è stato il Governo italiano a vedere in questo piano d’azione una delle priorità della sua Presidenza, indirizzando le discussioni verso una maggiore attenzione per la sorveglianza, e includendo in essa anche la SAR. Sebbene non siano previsti finanziamenti diretti a sostegno della MSS, è proprio questa sua natura intersettoriale che le consente di sostentarsi attingendo ad una ampia e variegata serie di canali: da Horizon2020 a i fondi di ricerca dell’EDA, fino ai Fondi Strutturali di Investimento (44) .
Se tali risorse venissero in effetti mobilitate, si creerebbe di certo un notevole scompiglio nel quadro giuridico che disciplina i fondi UE, dal momento che le operazioni prevedono anche l’impiego di mezzi militari. Se in fase di attuazione la MSS fosse davvero in grado di riunire di tutti gli attori coinvolti, compresi i militari, allora questo potrebbe potenzialmente significare un ribaltamento dell’approccio alla sorveglianza della mobilità costiera, finora legato solo agli affari interni.
Vi sono quindi attori paralleli che propongono approcci concorrenti in questo settore: da un lato, gli Affari interni UE e Schengen che presuppongono una cooperazione tra attori principalmente civili (guardie di confine) e sempre sulla base di leggi, competenze e regole stabilite a livello europeo; dall’altro, Difesa, Esteri e Affari marittimi che incoraggiano la cooperazione intersettoriale civile-militare, presentando strategie inedite e al di fuori del quadro giuridico attuale. Questo dimostra che la lotta per la conquista di sfere di autorità non riguarda soltanto gli Stati membri che si oppongono all’UE in iniziative come l’operazione Mare Nostrum, ma anche gli stessi attori interni all’UE che perseguono iniziative al di fuori del sempre più formalizzato e istituzionalizzato quadro normativo di Schengen e del trattato di Lisbona.
La gara per il “sistema dei sistemi”: EUROSUR, MARSUR e CISE
C’è un ulteriore elemento che se analizzato può rivelarsi molto utile per comprendere in quale tipo di conflitto di autorità ci si trovi: la competizione in corso per l’autorità nel campo della sorveglianza della mobilità marittima europea. Vale a dire, quale fra vari sistemi di sorveglianza riuscirà a diventare il “sistema dei sistemi” definitivo. Vi sono infatti vari organismi all’interno della compagine UE che stanno elaborando in parallelo, e per proprio conto, dei sistemi di sorveglianza delle frontiere marittime: sembra addirittura che i progetti pilota e di ricerca in questo settore e lo scambio di informazioni tecnologiche abbiano registrato una crescita esponenziale negli ultimi anni.
I tre principali sistemi in competizione tra di loro sono l’European Border Surveillance System (EUROSUR), il Maritime Surveillance System (MARSUR) e il Common Information Sharing Environment (CISE).
Nell’ottobre 2013, con la tragedia di Lampedusa fresca nella memoria, il Parlamento e il Consiglio adottarono il regolamento EUROSUR dopo un lungo processo di negoziazione (45). Il regolamento entrò in vigore nel mese di dicembre 2013 per i 19 Stati membri le cui frontiere esterne sono ad est e a sud, mentre i per rimanenti Stati membri l’adesione si ebbe nel dicembre dell’anno successivo. EUROSUR, solitamente presentato come il “sistema dei sistemi”, mira ad “individuare, prevenire e combattere l’immigrazione illegale e la criminalità transfrontaliera e contribuire a garantire la protezione e salvare vite umane dei migranti” (46). Si tratta di una rete di raccolta informazioni per fornire un quadro situazionale in “tempo quasi reale” delle frontiere terrestri e marittime esterne dell’UE e di aree “pre-frontiera”, agevolando la “capacità di reazione” (47).
L’informazione viene immessa nel sistema attraverso una rete di hubs, il più importante dei quali è proprio l’Agenzia Frontex, alla quale spetta di riunire le informazioni in un “quadro situazionale europeo di intelligence comune” (48). I suoi interlocutori più importanti nell’immettere informazioni nel sistema sono i Centri di Coordinamento Nazionale (NCC), istituiti dagli Stati membri. Inoltre, convergono nel sistema le informazioni provenienti da varie agenzie dell’UE (ad esempio da Europol, dal Centro satellitare dell’Unione europea, dall’ Agenzia Europea per la Sicurezza Marittima e dall’European Asylum Support Office), dall’EEAS e da alcuni Paesi terzi. Finora, i Centri di Coordinamento Nazionale sono rappresentati da soggetti diversi a seconda dello Stato membro in questione: le guardie di confine, la polizia, le guardie nazionali, l’ufficio del Primo Ministro, il Ministero degli Interni, le forze armate e ovviamente la guardia costiera.
E’ importante notare che sebbene la SAR sia formalmente esclusa dal regolamento e l’ex Direttore Esecutivo ad interim di Frontex Gil Arias abbia minimizzato il potenziale di EUROSUR per scopi SAR, un utilizzo delle informazioni EUROSUR da parte delle autorità competenti SAR non è da escludere: un recente rapporto ha indicato almeno un caso in cui un utilizzo di tal tipo si è avuto (49). In linea con la sua ambizione di “sistema dei sistemi”, EUROSUR viene quindi presentato dai principali attori che vi sono a supporto – DG Home della Commissione e Frontex – come il metodo di sorveglianza e di scambio da preferire. Questo è ovviamente un modo per accrescere la propria autorità nei confronti di tutti gli attori nazionali impegnati nella sorveglianza marittima (50).
Nel mentre che la rete EUROSUR diventava operativa sotto la guida di Frontex, l’Agenzia Europea di Difesa (EDA) annunciò che il proprio sistema MARSUR aveva raggiunto lo “stato operativo” (51) . E’ questo il progetto più importante messo in opera dall’EDA fin dai tempi della sua istituzione nel 2005 (52). L’obiettivo di questa rete navy-built è “evitare la duplicazione degli sforzi nell’uso delle tecnologie disponibili, dei dati e delle informazioni e sviluppare la cooperazione civile-militare in maniera semplice, efficace e a basso costo per sostenere la sicurezza” (53).
In sostanza, si tratta di un sistema di scambio di informazioni su base navale. I dati combinati dovrebbero portare ad una “mappatura riconosciuta dei mari europei”. La partecipazione degli Stati membri è volontaria, con attualmente 17 Stati membri più la Norvegia, ed è aperta a “input da parte di terze parti quali Regioni o organismi militari partner” (54). L’enfasi in questo caso viene posta sulla base volontaria di tale networking, nonché sul rapporto di fiducia costruito, approccio per il quale è stato anche coniato l’appellativo di “approccio Facebook”. Il sistema ha un carattere militare chiaro; anch’esso è stato presentato come un “sistema dei sistemi” (ma a sé stante), e come tale è stato consegnato alla fine di ottobre 2014 al personale militare dell’UE nell’ambito delle strutture di EEAS (55).
Terza e ultima rete è il CISE, al quale la MSS fa riferimento più volte quale elemento centrale per la piena realizzazione della sorveglianza europea nel settore marittimo. CISE si propone di: “Creare un ambiente politico, organizzativo e giuridico che consenta la condivisione delle informazioni attraverso il controllo di sette settori chiave (trasporti, protezione dell’ambiente, pesca, controllo delle frontiere, applicazione generale della legge, costumi e difesa) sulla base di attuali e futuri sistemi o reti di sorveglianza” (56). Nella sua comunicazione del luglio 2014, la Commissione sottolineava che la disponibilità di più “informazioni rilevanti […] “porterebbe potenzialmente alla riduzione delle minacce di un 30%. Esempi ne sono la condivisione tra le autorità civili e militari dei dati sull’afflusso di informazioni riguardanti i migranti verso lo spazio Schengen attraverso il mare Mediterraneo … ” (57).
Quindi, mentre EUROSUR e MARSUR sono limitate ai settori di pertinenza rispettivamente civile e militare, CISE mira a divenire il vero “metaprogetto” nel campo della “sorveglianza e la condivisione delle informazioni” (58): EUROSUR e MARSUR forniranno infatti entrambi informazioni in CISE quando esso diverrà operativo entro il 2020. Anche se CISE non creerebbe una nuova fonte di informazioni in quanto tale, ma lavorerebbe solo sulla “interoperabilità” dei sistemi esistenti, le lotte già in atto sul formato in cui l’informazione dovrebbe essere immessa nel sistema rende l’idea di quanto alto sia l’interesse a controllare il flusso di informazioni in questo settore (59). Dal canto suo, la Commissione “continuerà a rivedere la legislazione settoriale esistente a livello europeo al fine di eliminare eventuali ostacoli giuridici ostanti alla condivisione di informazioni a livello intersettoriale garantendo nel mentre il rispetto dei requisiti di protezione dei dati rilevanti” (60).
Al tempo stesso, la Commissione “non vede la necessità” di avviare qualsiasi processo legislativo intersettoriale per lo sviluppo del CISE, ma invita piuttosto il Parlamento e il Consiglio a dare “una guida politica e confermare la loro disponibilità a sostenere la proposta ” (61). Ancora una volta quindi emerge con forza un tratto comune: gli attori cercano autorità in questo campo al di fuori dell’UE e delle procedure legali e di controllo sovranazionali. In conclusione, lo scenario europeo che emerge sotto il profilo legislativo e decisionale è estremamente più complesso di quanto un esame di primo acchito lascerebbe supporre. E’ vero che l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009 ha reso l’approccio alla cooperazione per la sicurezza europea sempre più orientato verso forme di intersettorialita’ : tuttavia una delle conseguenze è che le sinergie tra ex pilastri europei (62) tendono a scavalcare l’approccio su base trattatistica che si è avuto dalla costituzione dell’UE a questa parte.
Da questo punto di vista, non appaiono cosi infondati i timori di chi sostiene che la “cross-pillarisation” (l’intersezione fra gli ex-tre pilastri dell’UE) non agisca solamente in positivo favorendo il coordinamento degli attori e delle politiche, ma presenti anche il serio rischio di rendere le strategie UE ostaggio dei molti, troppi, campanilismi istituzionali (63). La conseguenza più grave non è difficile da immaginare, dal momento che la cronaca recente ne ha fornito purtroppo vari esempi: la tendenza ad eludere il dibattito democratico circa la gestione della mobilità umana nel Mediterraneo, unita ad un allentamento del controllo sui diritti fondamentali dei cittadini europei come dei migranti. Le nuove sfide sulla sicurezza comune europea, sia dal punto di vista decisionale che operativo, dipendono quindi in grande misura da quale forma intendera’ assumere l’Europa stessa. Ancora una volta, i compiti a casa per l’UE consistono nel rimettere le cose nel giusto ordine: i “come, dove e quando” non possono essere anteposti al “chi fa cosa”.
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NOTE
(1) Il punto cruciale di questo conflitto di autorità si può avvisare in un episodio che, data la sua natura tecnica, non ha riscosso certo una grande eco mediatica: la negoziazione dietro al regolamento Frontex 656/2014, volto a stabilire regole comuni UE sulla sorveglianza marittima della mobilità umana e nel salvataggio delle persone. E’ stato solo nella seconda metà del 2014, quando una concomitanza di calendario ha fatto sì che l’adozione dell’ EU Maritime Security Strategy e del suo conseguente Action Plan ricadesse sotto il semestre di Presidenza italiana dell’UE, che ci si è accorti della moltitudine di attori compresenti in questa grande fotografia del Mediterraneo.
(2) J. Pollack and P. Slominski (2009), “Experimentalist but not Accountable Governance? The Role of Frontex in Managing the EU’s External Borders”, West European Politics, Vol. 32, No. 5;
(3) Ministero della Difesa, “Operazione Mare Nostrum” (www.marina.difesa.it/EN/operations/Pagine/MareNostrum.aspx).
(4) European Commission (2013), Commissioner Malmström’s intervention on Lampedusa during the Home Affairs Council press conference, MEMO, Luxembourg, 8 October.
(5) Times of Malta (2013), “Malmström proposes Med-wide search and rescue mission for migrant boats”, 8 October.
(6) Agence Europe (2014), “JHA: Triton introduced and Mare Nostrum withdrawn”, Brussels, 31 October.
(7) European Commission (2014), Staff working document – Implementation of the Commission on the work of the Task Force Mediterranean, Part 2/2, SWD(2014) 173 final, Brussels, 22 May, p. 40.
(8) Amnesty International (2014), “Lives Adrift: Refugees and Migrants in Peril in the Central Mediterranean”, London
(9) Ibid., nota n. 54: “The Italian Navy assets available to OMN include: one amphibious ship LPD, which has the overall command of the operation, and has on board medical facilities and (mezzi da sbarco e gommoni a chiglia rigida); two Maestrale frigates, each with a AB-212 helicopter on board; two patrol vessels Costellazioni/Comandanti and Minerva type, which can have on board a AB-212 helicopter; two EH-101 (MPH) heavy helicopters, on board the amphibious ship, or stationed in Lampedusa/Pantelleria/Catania as required; one P180 aircraft, with ForwardLookingInfraRed – FLIR technology, at Pratica di Mare; one LRMP Breguet Atlantic in Sigonella; the radar network of the navy which can receive commercial vessels signals (through AutomaticIdentification System – AIS technology”.
(10) Ministero della Difesa (2013), op. cit.
(11) Hearing before the European Parliament’s LIBE Committee on 4 September 2014.
(12) Ministero della Difesa, Comunicato stampa, Nr. 18, 17 gennaio 2014, “Il Ministro della Difesa Mario Mauro incontra il Primo Ministro Sloveno – la Slovenia partecipa all’emergenza immigrazione con una nave in Mare Nostrum”. (www.marina.difesa.it/documentazione/comunicati/Pagine/2014_018.aspx).
(13) The Guardian, “Italy: end of ongoing sea rescue mission ‘puts thousands at risk’”, Brussels, 31 October 2014.
(14) Presentazione del Direttore Esecutivo ad interim di Frontex Gil Arias al LIBE Committee del Parlamento il 4 settembre 2014.
(15) Ministero della Difesa (2013), op. cit.
(16) http://it.wikipedia.org/wiki/Regolamento_Dublino_II
(17) P. Fargues and S. Bonfanti (2014), “When the best option is a leaky boat: why migrants risk their lives crossing the Mediterranean and what Europe is doing about it”, Migration Policy Centre Policy Brief, No. 5, European University Institute, Florence, October, p. 13.
(18) Cf. ECtHR (2014), Grand Chamber Judgment, Application No 29217/12, Tarakhel v. Switzerland, 4 November 2014; Frankfurt Administrative Court (2012), Az. 1 L 1994/12.F.A.
(19) The Guardian, “UK axes support for Mediterranean migrant rescue operation”, 27 ottobre 2014.
(20) Il Primo Pilastro dell’UE riguardava le Comunità europee ovvero un mercato comune europeo, l’unione economica e monetaria, una serie di altre competenze aggiunte nel tempo, oltre alla politica del carbone e dell’acciaio e quella atomica. http://it.wikipedia.org/wiki/Tre_pilastri_dell%27Unione_europea
(21) Council (2004), Regulation (EC) 2007/2004 of 26 October 2004 establishing a European Agency for the Management of Operational Cooperation at the External Borders of the Member States of the European Union (Frontex Regulation), OJ L349/1, 25 November; Parliament and Council (2011), Regulation (EU) 1168/2011 of 25 October 2011 amending Council Regulation (EC) No 2007/2004 establishing a European Agency for the Management of Operational Cooperation at the External Borders of the Member States of the EU (Amended Frontex Regulation), OJ L 304/1, 22 November.
(22) Sotto la commissione Juncker queste DG sono state in parte riorganizzate. Il nuovo Commissario per gli Affari Interni Dimitris Avramopoulos ha ora il portfolio per i “Migration and Home Affairs”.
(23) S. Leonard (2009), “The creation of FRONTEX and the politics of institutionalisation in the EU External Border Policy”, Journal of Contemporary European Research, Volume 5, Issue 3, pp. 371-388. E anche A.W. Neal (2009), “Securitization and risk at the EU Border: the origins of Frontex”, Journal of Common Market Studies, Vol. 47, No. 2, pp. 333-356.
(24) Art. 11c,Parliament and Council (2014), Regulation on Frontex sea border surveillance operations.
(25) Ibid., Artt. 3(1a) e 3ª.
(26) S. Carrera, “The EU border management strategy – Frontex and the challenges of irregular immigration in the Canary Islands”, CEPS Working Document, No. 261, Brussels, Marzo 2007.
(27) Frontex (2011), “Hermes 2011 starts tomorrow in Lampedusa”, Warsaw (http://frontex.europa.eu/news/hermes-2011-starts-tomorrow-in-lampedusa-X4XZcr).
(28) Frontex (2014), Programme of Work 2014, Warsaw, p. 134.
(29) Frontex (2014), General Report 2013, Warsaw, pp. 59 e 64.
(30) European Commission (2014), op. cit., p. 35.
(31) Council (2010), Decision 2010/252/EU of 26 April 2010 supplementing the Schengen Borders Code as regards the surveillance of the sea external borders in the context of operational cooperation coordinated by Frontex at the external borders of the Member States of the EU, OJ L 111/20, 4 Maggio 2010.
(32) CJEU (2012), Case C-355/10, Parliament v Council.
(33) Art. 13(2), Parliament and Council (2014), Regulation on Frontex sea border surveillance operations, op. cit.
(34) Council (2014), European Union Maritime Security Strategy (MSS) – Action Plan, Doc. 17002/14, Brussels, 16 Dicembre 2014.
(35) Commission (2007), Communication – An integrated maritime policy for the European Union, COM(2007) 575 final, Brussels, 10 October 2007, adottato l’anno seguente dall’ European Council.
(36) F. Del Pozo, A. Dymock, L. Feldt, P. Hebrard and F. Sanfelice di Monteforte, “Maritime surveillance in support of CSDP”, The Wise Pen Team final report to EDA Steering Board, 26 April.
(37) Council (2010), Conclusions on the Maritime Security Strategy, op. cit.)
(38) Art. III(2). ), Council (2014), European Union Maritime Security Strategy (MSS), Doc. 11205/14, Brussels, 24 June.
(39) Art. V(c), Ibid.
(40) Ibid., Artt. VI(3), VI(5.b).
(41) Commission (2014), Speech at the ESRT conference on “the implementation of the European Maritime Security Strategy”, 14 Maggio 2014.
(42) Art. III(b), Council (2014), MSS, op. cit.
(43) Parliament and Council (2014), Directive 2014/89/EU of 23 July 2014 establishing a framework for maritime spatial planning, OJ L 257/135, 28 August.
(44) Council (2014), EUMSS Action Plan, op. cit., pp. 12, 17-19.
(45) Parliament and Council (2013), Regulation (EU) 1052/2013 of 22 October 2013 establishing the European Border Surveillance System (EUROSUR Regulation), OJ L 295/11.
(46) Art. 1, Parliament and Council (2013), EUROSUR Regulation, op. cit.
(47) Artt. 1 and 3(d), Parliament and Council (2013), EUROSUR Regulation, op. cit.
(48) Ibid., Art. 6(a-c).
(49) Commission (2014), Report – Sixth bi-annual report on the functioning of the Schengen Area, 1 May – 31 October 2014, COM(2014) 711 final, Brussels, 27 November.
(50) Ad esempio la DG Home della Commissione ha recentemente tentato di farlo nel contesto mediterraneo affermando che “gli sforzi nazionali [di sorveglianza delle frontiere] dovrebbero essere condivisi attraverso la rete EUROSUR ” . Commission (2013), Communication on the work of the Task Force Mediterranean, COM(2013) 869 final, Brussels, 4 Dicembre 2013, p. 16.
(51) EDA (2014), “European maritime surveillance network reaches operational status”, Paris, 27 October 2014.
(52) MARSUR website, “History” (http://marsur.info/page2.php.
(53) EDA (2012), “Together for a stronger Europe”, Brussels.
(54) EDA (2013), “MARSUR networking”, 13 August (www.eda.europa.eu/our-work/projects-search/marsurnetworking).
(55) MARSUR website, op. cit.
(56) DG MARE website (http://ec.europa.eu/dgs/maritimeaffairs_fisheries/consultations/cise/index_en.htm).
(57) Commission (2014), COM(2014) 451 final, op. cit., p. 3.
(58) Council (2014), MSS Action Plan, op. cit., pp. 7-8.)
(59) Commission (2014), COM(2014) 451 final, op. cit., p. 3.
(60) Ibid., p. 7.
(61) Ibid., p. 8.
(62) http://it.wikipedia.org/wiki/Tre_pilastri_dell%27Unione_europea
(63) P. Pawlak (2009), “The external dimension of the Area of Freedom, Security and Justice: Hijacker or Hostage of Cross – Pillarization?”, Journal of European Integration, Vol. 31, No. 1, pp. 25-44.
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