UE
C’è l’accordo sulla Grecia: Tsipras ottiene 4 mesi di tempo (invece di 6)
«Il lavoro sull’estensione del programma greco può continuare. È importante che la Grecia onori i suoi impegni e presenti una lista completa di riforme»: lo ha appena scritto in un tweet il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis appena dopo la fine dell’Eurogruppo. I lavori sono terminati alle 20.40. Il governo greco guidato da Alexis Tsipras si è impegnato a “non ritirare” misure già concordate con i creditori e «onorare tutti i debiti in maniera tempestiva», ha dichiarato poi in conferenza stampa il presidente dell’Eurogruppo Joeroen Dijsselbloem, a proposito dell’accordo sull’estensione del piano di aiuti alla Grecia. La Grecia aveva chiesto 6 mesi di dilazione, ne avrà invece quattro. La proroga servirà per verificare un «possibile nuovo accordo», che dovrebbe essere pronto prima dell’estate. Lunedì, tuttavia, Atene dovrà presentare una prima lista di riforme economiche, che sarà successivamente valutata in sede europea per capire se è «sufficientemente comprensiva da essere un punto di partenza valido per la conclusione positiva della revisione del programma».
Ma la vittoria più significativa del governo Tsipras è sul fronte dell’avanzo primario (la differenza fra entrate e uscite al netto della spesa per interessi). Sulla base delle nuove intese, la Grecia dovrà assicurare un «avanzo primario adeguato per garantire la sostenibilità del debito», ma sul 2015 «le istituzioni prenderanno in considerazione le circostanze economiche», il che, sembra di capire, che la richiesta di avanzo sarà corretta per tenere conto del ciclo economico, e dovrebbe perciò essere inferiore a quella attualmente prevista (4,5%). Il testo dell’accordo trovato, ha commentato il direttore del Fmi Christine Lagarde, «è molto profondo, denso e dice cose importanti per ognuno, quindi è pienamente onnicomprensivo, siamo molto lieti che il lavoro possa ora realmente cominciare». e[aggiornato alle 21.15 di venerdì 20]
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Già da questa mattina, comunque, era parso chiaro che l’accordo tra la Grecia e i creditori si sarebbe raggiunto, dopo che ieri pomeriggio, in sede tecnica all’Euro Working Group – l’unità di lavoro che prepara l’Eurogruppo, in calendario oggi alle 15 –, è andata meglio del previsto. Eppure la durissima battaglia di questi giorni, con l’ultima impuntatura di giovedì da parte del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, lascia un sapore sempre più “politico” alla vicenda. Non nel senso inteso dal premier ellenico Alexis Tsipras – «la questione non può essere decisa da tecnocrati, ci vuole una soluzione politica», diceva giorni fa. Ma di battaglia ideologica e partitica. Soprattutto, anche se nessuno ha mai osato dirlo ad alta voce, un fattore cruciale per molti politici europei soprattutto (ma non solo) di centro-destra è la provenienza del nuovo governo: la nuova sinistra anti-austerity di Syriza. Colpirne uno per colpirne cento, era un vecchio slogan. E personalità come Schäuble – ma ci potremmo mettere anche i popolari spagnoli di Mariano Rajoy ossessionato dal montare di Podemos, o il premier centrista finlandese Alexander Stubb – tutto vogliono salvo che semplificare la vita a quelli di Syriza. Se già Berlino aveva complicato la vita a personalità dell’establishment ben conosciute come Giorgos Papandreou, o, soprattutto, il popolare Antoni Samaras, figuriamoci con Alexis Tsipras.
Certo è che fin qui il muro compatto dell’Eurogruppo è riuscito a ottenere un progressivo cedimento – molto pericoloso per Tsipras da un punto di vista di politica interna – sulle richieste dai creditori. Un cedimento simboleggiato dalla lettera inviata questo giovedì dal ministro delle Finanze ellenico Yanis Varoufakis in cui sostanzialmente si accetta il programma di aiuti fin qui rigettato con virulenza da Syriza e dal suo leader Tsipras. Unica cosa, l’accettazione era mascherata dai tecnicismi, si parla di estendere il Master Financial Assistance Facility Agreement (Mfaf) che altro non è che il cuore dell’attuale programma. Si parla anche di «portarlo a termine con successo», frase respinta solo lunedì scorso da Varoufakis dicendo che «non si può concludere con successo un programma fallito». Perché l’artificio tecnico? Semplice: siccome il Mfaf parla di “financial assistance” (anche se le condizioni allegate includono anche aspetti molto politici, a cominciare delle riforme), Tsipras e Varoufakis potevano salvarsi la faccia in casa dicendo che non il programma ma il prestito era oggetto di estensione.
La durissima reazione di Schäuble a giro di posta – «Non è una proposta di soluzione, non risponde ai criteri dell’Eurogruppo» è apparsa inspiegabile a molti. Anche al vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel – guardacaso un socialdemocratico – sebbene anche lui giudicasse «insufficiente» la lettera. Anche se poi nel corso della lunga riunione a Bruxelles protrattasi fino a tarda sera dicono i toni si siano un po’ attenuati, il ministero guidato da Schäuble ha fatto girare un documento in cui si intima ad Atene di dire esplicitamente e senza giri di parole, senza mascherature insomma, che la Grecia accetta il programma e il Memorandum d’intesa, entrambe parole tabù per i greci e il nuovo governo. Via la foglia di fico, via la possibilità di indorare la pillola in casa. Perché?
La ragione, sono in molti a Bruxelles a pensarlo, è ormai non più tecnica ma politica. Il calcolo è piuttosto cinico: «la Germania – commenta Bernadette Ségol, segretario generale della Confederazione dei sindacati europei (Etuc) – sta chiedendo una resa incondizionata a un popolo fiero che ha eletto un nuovo governo sulla chiarissima piattaforma di attenuare l’austerità». «Nessuno ha fatto aggiustamenti di bilancio maggiori dei nostri – avvertiva il ministro delle finanze Varoufakis – non c’è alcun argomento macroeconomico per ulteriori strette. L’unica ragione per farlo è ideologia o motivi punitivi».
Costringere a una capitolazione completa, raccontano i greci, porterebbe con tutta probabilità alla fine del governo Tsipras. Magari con nuovo elezioni, magari con il ritorno del vecchio establishment. E se Tsipras dicesse no? Tanto peggio, allora la Grecia non avrà i soldi, uscirà dall’euro, il paese sarà nella tempesta e allora Tsipras cadrà lo stesso visto che la situazione dei greci si aggraverebbe ancora anziché migliorare. Ipotesi peraltro non ancora da escludere, «qualsiasi cosa accada – dicevano fonti del governo greco – non accetteremo l’umiliazione, né diverremo una colonia di debito dell’Eurogruppo. Sosterremo la nostra sovranità».
Insomma, il segnale deve essere chiaro: nessuna pietà per i partiti che di punto in bianco mettono in discussione con forza le politiche di austerity recessive imposte da Ue e Fmi, o osano discutere le dure regole Ue di disciplina di bilancio. Punizione esemplare per i “ribelli”. Della serie: capito Podemos? Capito Movimento Cinque Stelle? Non è un caso se, dicono, l’Italia non sia stata tra i più “teneri” nei confronti di Atene in questa partita. Gli elettori, insomma, sappiano che votando quei movimenti perdono tempo, perché tanto anche in caso di vittoria non otterrebbero niente e anzi peggiorerebbero la situazione. E non dimentichiamo, sul fronte opposto, il montare in Germania del partito euroscettico e antieuro Alternative für Deutschland, che pochi giorni fa ad Amburgo ha ottenuto l’8 per cento. No, darla vinta ai greci, sembra essere il ragionamento, provocherebbe uno tsunami politico più pericoloso di un eventuale Grexit.
Nella foto di copertina, il cancelliere Angela Merkel con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker
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