UE

Il sovranismo di ritorno degli economisti contro la mutualizzazione del debito

7 Luglio 2018

La polemica su una recente proposta di assicurazione e mutualizzazione del debito, che come molte proposte precedenti (Eurobond e simili) sarebbe altrimenti passata inosservata, ha messo in luce un dibattito acceso e divisivo  tra gli economisti italiani. In particolare, è particolarmente virulenta la polemica da parte della corrente di pensiero contraria alla mutualizzazione del debito pubblico europeo, mentre l’altra ha fatto capolino su un articolo del Corriere della Sera da parte di economisti più legati alla politica: gli estensori accademici della proposta (accostati al Movimento 5 Stelle) e gli economisti che hanno ispirato la politica economica renziana.

Per richiamare l’oggetto del contendere, la proposta prevede che al momento del rinnovo di un titolo pubblico in scadenza, il paese possa emettere nuovo debito e depositare una garanzia reale presso un fondo comune europeo contro il default del paese. La garanzia reale, cioè i soldi che dovrebbero essere depositati in questo fondo, verrebbero determinati in proporzione al rischio di default di ciascun paese. Quindi l’Italia sarebbe tra i paesi che pagherebbe di più e la Germania non pagherebbe quasi niente. Nella proposta sono dunque presenti due concetti diversi: quello di assicurazione (garanzia reale) e quello di mutualizzazione (il carattere di “fondo comune”) della garanzia. Il dibattito tra gli economisti non distingue i due concetti e infuria su quello di “mutualizzazione”.

Oggi è quindi diventata quasi una moda aggiungere la parola “mutualizzazione” alla lista delle proposte del programma populista, e attaccarla e biasimarla insieme a tutto il resto. E invece il populismo di oggi è sovranista e antieuropeista proprio come è sovranista e antieuropeista attaccare la mutualizzazione del debito.  Qui esporrò i miei argomenti contro questa corrente di pensiero, senza fare esplicito riferimento agli esponenti, perché pare che in questo dibattito ogni confutazione di argomento associata al nome di chi l’ha sollevato corrisponda a un attacco personale. Invece pare che si possano stravolgere e travolgere impunemente i concetti di ogni disciplina diversa dall’economia, come quella che studia il concetto di rischio e le tecniche di assicurazione, mitigazione e trasferimento dello stesso. Nello specifico, è lecito calpestare la disciplina che insegno da venti anni (dopo aver fatto il mestiere dell’economista, peraltro).

L’attacco alla mutualizzazione si è sviluppato intorno a un concetto che ricorda molto la definizione del calcio secondo Gary Lineker, indimenticato centravanti dell’Inghilterra: “22 uomini rincorrono un pallone, e alla fine la Germania vince”.  Nello stesso modo, la mutualizzazione è uno schema di assicurazione del debito pubblico, e alla fine la Germania paga. La differenza è che Gary Lineker scherzava.

 

Fuori di metafora. Il centro del dibattito è che la mutualizzazione dell’assicurazione sul default sarebbe un trasferimento di ricchezza da chi è assicurato a chi assicura, e nello specifico chi assicura è la Germania. In realtà il nocciolo della teoria delle assicurazioni è la definizione di un “premio equo di assicurazione”, e il termine “equo” significa che questo trasferimento di ricchezza all’assicurato o all’assicuratore non ci debba essere. Insomma, non è necessariamente vero che “alla fine la Germania paga”. Faccio anche notare che affrontare il tema dell’assicurazione del default così da parte degli economisti è come affrontare il tema dei vaccini da parte dei no-vax. Hanno le stesse basi scientifiche.

Si deve quindi partire dalla domanda se il rischio di cui stiamo parlando sia “assicurabile”. In altri termini, nello specifico ci dobbiamo chiedere se qualunque premio uno paghi per il default di uno stato europeo, ci sia sempre un costo in più, per cui “alla fine la Germania paga”. Qui, chi è contro la mutualizzazione dell’assicurazione del default di uno stato sovrano europeo potrebbe avere delle frecce al suo arco sviluppando il dibattito nel confronto con l’attività di assicurazione di eventi catastrofici. Chi si occupa di assicurazioni sa che esiste da lungo tempo un nutrito dibattito sulla possibilità di assicurare eventi catastrofici. I due temi principali sono che la perdita da assicurare è spesso di dimensioni troppo elevate per il capitale degli assicuratori, e il tema che la riassicurazione non consente di diversificare il rischio. Le alternative che restano sono il trasferimento del rischio al mercato (con le cartolarizzazioni, e i cat-bond) oppure che il costo resti alla fine sui contribuenti, e quindi i costi divengano necessariamente pubblici.

A fronte delle legittime perplessità che si possono osservare nel dibattito sull’assicurazione delle catastrofi, e del riconoscimento che anche in questo dibattito esistono posizioni secondo le quali si possa solo affrontare l’evento catastrofico quando arriverà, si contrappone il fatto che il ramo delle assicurazioni contro le catastrofi esiste, e che nello specifico esiste un mercato per l’assicurazione del debito, anche del debito sovrano. E’ il mercato dei CDS. Per essere chiari, un prezzo c’è. Oggi assicurare 100 euro di debito pubblico italiano per cinque anni costa 2,18 euro l’anno. Chi vende l’assicurazione si rende disponibile a rilevare il titolo a 100 euro, prendendosi la perdita. Nella pratica di mercato, per calcolare la probabilità di default si assume che la perdita nella quale incorre l’assicuratore sia di 60 euro per ogni 100 euro assicurati. La probabilità di default annua che viene estratta dai dati è quindi 2,18%/60% = 3,63%. Deve essere ricordato che, per fortuna, questa probabilità è superiore alla probabilità oggettiva, perché incorpora anche l’avversione al rischio dell’assicuratore.

Chi oggi assicura contro questi rischi sono tipicamente le banche, e questo lega il loro destino a quello degli stati ancora di più della naturale esposizione per il fatto che ne sottoscrivono direttamente il debito. Questo porta alla seconda domanda sulla questione, e cioè se questo rischio catastrofale possa essere assicurato dalla comunità esposta a questo rischio, ripartendo il premio di assicurazione in proporzione al contributo che ciascuno apporta al rischio dell’evento catastrofico. Io ritengo che questa assicurazione comune, in cui chi provoca più rischio debba pagare un premio più alto, sia possibile. In un lavoro di ricerca con Angelo Baglioni abbiamo calcolato il premio da contribuire a un’emissione di Eurobond (assistita da garanzie reali) in proporzione alla “distanza dal default” dei diversi paesi e ovviamente abbiamo ottenuto che la Germania dovrebbe contribuire una quota molto ridotta. Faccio anche notare che alla fine la questione della mutualizzazione è una risposta alla prima domanda. Chi ritiene che alla fine il rischio della catastrofe ricada sul contribuente, tedesco e non solo, deve necessariamente giungere alla conclusione che debbano essere le entità pubbliche a accantonare capitale contro questi eventi futuri, e che lo debbano fare in proporzione alla loro rischiosità.

L’obiezione naturale a queste argomentazioni è che il default di uno stato non è una sciagura naturale come un’alluvione o un terremoto. Come questi eventi, è una catastrofe, ma non è un atto di Dio, ma il risultato di condotte dell’uomo. E siamo alla questione dell’azzardo morale. Se tu sai che per i rischi che prendi tu alla fine “paga la Germania”, non hai incentivo a contenere i rischi. In realtà, chi è a favore di forme di garanzia e mutualizzazione lo fa proprio perché l’azzardo morale è già qui. E’ stato di fronte ai nostri occhi nella crisi dell’eurozona, quando la BCE si è opposta in maniera ferma all’ipotesi di disgregazione dell’Euro (con la dichiarazione di Draghi del luglio 2012 e l’istituzione dell’OMT nel settembre), ed è apparso chiaro che la difesa dell’Euro implicava la difesa del debito pubblico italiano. L’assicurazione implicita quindi c’è già, e c’è sempre stata, e l’azzardo morale che essa ha generato l’abbiamo visto nel destino delle proposte di “spending review” che si sono susseguite in questi anni.

In un dibattito serio sulla questione della mutualizzazione e dell’assicurazione contro il default, agli stati dovrebbe essere riconosciuto lo stesso rango di rischio sistemico e catastrofale che attribuiamo alle banche. E’ per l’azzardo morale cui sono esposte le banche che si impone loro di accantonare capitale in proporzione al loro livello di rischio. Tra l’altro, l’esempio delle banche fornisce anche un caso classico di mutualizzazione del rischio  con l’assicurazione sui depositi, per ora solo a livello nazionale perché in Europa la proposta è bloccata dalla Germania con le stesse argomentazioni che gli economisti contrari alla mutualizzazione usano contro l’assicurazione del default sovrano: “e alla fine la Germania paga”.  Non è dato sapere se gli economisti che sono contrari alla mutualizzazione dell’assicurazione contro i default sovrani siano anche contro il completamento dell’unione bancaria europea (e cioè l’assicurazione europea dei depositi). Se non lo sono, sarei veramente curioso di sentire l’argomentazione sulla differenza nelle due posizioni.

Se non vogliamo nessuna condivisione del rischio sovrano né del rischio bancario, che fare allora in questa Europa autarchica? Le banche accantonano capitale, per garantire il mercato contro il loro azzardo morale, e contro i rischi estremi e sistemici si arrangiano da sole istituendo desk per l’acquisto di forme di assicurazione (“tail hedging” o “overhead hedging”).  I governi invece non fanno nulla, non accantonano risorse per la riduzione del debito e invocano la crescita dal cielo. Perché se gli stati sono fonte di rischi sistemici ed estremi come le banche non accantonano anch’essi qualche forma di garanzia reale? E così, nella lite sulla mutualizzazione è sparito anche questo concetto di garanzia, che nella proposta in discussione era un punto importante. Se i mercati non credono all’aggiustamento, l’unico modo di convincerli è la garanzia reale: creare un fondo di ammortamento del debito, alimentato da risorse dedicate. La storia fornisce l’esempio della stabilizzazione della Francia di Poincaré, nel primo dopoguerra. E’ forse il caso di rileggere saggi che Sargent e alcuni economisti italiani scrissero sull’argomento nel secolo scorso. Quella lezione, sulla credibilità che un fondo di ammortamento del debito (cioè una garanzia reala) fece recuperare al programma di stabilizzazione, era di attualità negli anni 90, prima dell’euro, come è oggi. La garanzia personale, infatti, da parte della nostra politica, e non solo, non basta più.

Nota. Gli argomenti esposti in questo post sono stati censurati dalla redazione lavoce.info in quanto considerati attacchi personali a Gary Lineker.  

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