UE
Orbán sta ricostruendo la Cortina di ferro, nel cuore dell’Unione Europea
“Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi stati dell’Europa Centrale ed Orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia”. E’ il passaggio più famoso del discorso di Winston Churchill al Westminster College di Fulton (Missouri), alla presenza del presidente degli Stati Uniti Truman il 5 marzo 1946.
Avevamo pensato che quella cortina fosse definitivamente caduta nell’autunno 1989.Venticinque anni dopo, in forma diversa e con una geografia interessante quella divisione si sta riproponendo, almeno sul piano del visuuto politico. Non significa che si ipeterà la stessa stoia di allora, ma che la spaccatura ideologica e di “sentimenti politici” è profonda.
A differenza di allora, non c’è nessuno che sta trattenendo una parte consistente dell’Est Europa dal congiungersi con l’Europa. Alla rovescia, sono le maggioranze delle opinioni pubbliche dei paesi dell’Est Europa che non hanno alcuna intenzione di stare con la parte occidentale dell’Europa. O, almeno, di condividere dei principi.
Non è banale chiedersi perché. Per comprenderlo si tratta di guardare la situazione più radicale, non perché irrecuperabile, ma perché esprime in forma più dispiegata il complesso dei temi che stanno al centro di quel contrasto. Il contesto da osservare è quello ungherese e la cultura di Fidesz, il partito di Viktor Orbán.
Sono almeno cinque i tratti costituenti non solo di quell’esperienza, ma della macchina culturale espressa da Fidesz.
Provo a sintetizzarli:
(1) Fidesz ha una cultura di governo fondata sulla definizione di una comunità politica omogenea. (una linea che per certi aspetti è molto simile a quella seguita negli ultimi mesi da Erdoğan in Turchia). E’ una linea che i numeri di voti espressi premiano, ma che, contemporanemente, ha visto salire l’astensione. Significa che l’elettorato va in cerca di altre ipottesi, ma he chiede siano forti, forse altrettanto a “vocazione maggioritaria”.
(2) Unificazione nazionale, e dunque visione di equivalenza tra nazione storica e territorio; e politica economica fondata su un mix di nazionalismo, statalismo, protezionismo e neoliberismo. In sintesi il rifiuto di una qualsiasi forma di democrazia liberale;
(3) controllo rigido delle strutture di governo e di apparato da parte del partito al potere;
(4) Rifiuto di qualsiasi compromesso e di confronto con altre forze politiche. In questo senso l’identità politica di Fidesz non è quella di un conservatorismo democratico, ma quella propria dei movimenti nazionalistici e populistici. Il principio è la preferenza di una dinamica di confronto che esclude il compromesso o la mediazione o la condivisione di elementi generali. La visione dello scontro politico che discende da questa idea di politica è lo scontro a somma zero. Un’idea dela competizione politica dove chi vince non media, impone non solo le sue politiche ma i suoi principi. Gli altri, i perdenti, subiscono;
(5) una visione “rivoluzionaria” e d eccezionale del potere per cui l’aspirazione è a ottenere la maggioranza assoluta.
L’insieme di visione della società e di criteri di governo produce una cultura politica xenofoba, che valuta la politica degli altri paesi “invasiva” (dunque illegittima) dela propria libertà ogni qualvolta si vogliano condividere politiche che legiferano in termini di criteri sovranazionali. Il che porta a concludere che quella che abbiamo di fronte è una crisi vera della UE.
L’attuale spaccatura è una crisi politica, vera, Non è la resistenza a qualcosa.
E’ molto di più: è la divisione dell’Europa.
A venti anni dall’avvio concreto del processo di costruzione della UE, soprattutto a Est, quella adesione allora non fu un su un progetto ma come protezione a garanzia di un “passato che non doveva tornare”.
Quel passato nella storia dell’Est Europa si presentava sotto la veste del comunismo, ma in realtà voleva dire legittimazione di una visione nazionalistica esclusiva della propria cultura nazionale.
Nel processo di espansione dell’UE sta oggi il fondamento della sua crisi, perché avvenuto allora senza una visione europeista e ora senza che quella cultura o quel codice culturale abbiano significativamente segnato il processo di crescita dell’UE in questi ultini quindici anni.
La cortina di ferro è tornata. Non nella forma in cui è sorta e non nella funzione che l’ha caratterizzata lungo la seconda metà del Novecento, ma con molti meccanismi mentali che la connotavano: il timore dell’invasione, il rifiuto di “contaminarsi”; una visione vittimaria della propria condizione.
A differenza di allora, tuttavia, non c’è un’alternativa di schieramento.
Questo rende ancora più profonda la condizione di crisi, ma anche indica che una condizione di compromesso andrà trovata.
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