Partiti e politici
Il Manifesto buttadentro
Calenda ha lanciato il suo Manifesto, la sua proposta di listone in vista delle europee. Il cartello elettorale ha già raccolto approvazioni entusiastiche da buona parte del PD, ma anche da nomi illustri della cultura e dell’imprenditoria (insomma, la tanto vituperata élite). Il vezzo di firmare appelli è tipico di un certo apparat, quasi una mania da collezionisti. Brillante, in tal senso, un articolo apparso qualche giorno fa sul Corriere della Sera di Pierluigi Battista. Davvero una firma può orientare il mondo? Una moltitudine di firme, seppur di prestigio, può sovvertire il destino dell’Europa?
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A quattro mesi dalle elezioni europee inizia la conta. Questa volta, però, non per escludere e differenziare. Qui si sale tutti in carrozza. L’unico requisito per l’ammissione è l’attestazione di “europeista democratico” (a suo modo una endiadi). Basta ideologie, basta destra e sinistra, basta filosofie e dogmi. Il testo del Manifesto, sul punto, è lampante. “Non si chiede ai movimenti che vorranno partecipare di scomparire, ma di partecipare a uno sforzo più ampio. Non si chiede di nascondere identità o simboli che sono stati costruiti con fatica e impegno, ma di schierarli dietro una bandiera che possa rappresentare chi ha perso fiducia nei confronti delle singole sigle politiche ma non nel progetto europeo.
All’indomani delle elezioni, la scelta degli eletti di aderire, a seconda della provenienza politica e culturale, a gruppi parlamentari europei diversi, lungi dal costituire un problema, rappresenterà l’anticipazione di una rifondazione delle grandi famiglie politiche europee che dovrà necessariamente avvenire lungo una nuova linea di frattura: quella che separa i sovranisti illiberali dagli europeisti democratici.”
Noi contro di loro. Buoni contro cattivi. Fascisti contro partigiani. Poco conta se il giorno della chiusura dei seggi gli eletti al Parlamento europeo si divideranno tra i differenti gruppi, magari scornandosi per tutta la legislatura (dando così nuovo propellente alla fiamma dell’antipolitica). Perché quello di “europeista democratico” è un macro insieme che racchiude al proprio interno svariati sottoinsiemi. Il mondo è fatto di sfumature e complessità. Non a caso, forse, il Manifesto è molto generico sul programma politico. Vengono richiamati pochi punti, di buon senso, senza alcun approfondimento. Nessun argomento divisivo. L’amore prevarrà sull’odio (semicit.). Un unico riferimento agli Stati Uniti d’Europa, probabilmente un inciampo. Su tutti la spunta il tema delle migrazioni, concepito in modo tale da non turbare né l’anima dell’accoglienza, né a far sentire a disagio quelli del “aiutiamoli a casa loro”. Se fosse all’ordine del giorno di un Consiglio dei Ministri, o magari clausola di un contratto di governo, l’esito non sarebbe affatto scontato. Leggere per credere. “Insieme più forti nel mondo. Difesa, sicurezza, controllo delle frontiere e immigrazione devono diventare politiche comuni. Dobbiamo iniziare il percorso per costruire un esercito europeo e unificare i bilanci della difesa degli stati membri. Prioritario è implementare per intero il “Migration Compact”: il piano presentato dall’Italia per aiutare i paesi di origine e transito dei migranti nella gestione dei flussi, nell’assistenza umanitaria e nei rimpatri. Il controllo dei confini comuni, marittimi e terrestri, deve diventare un compito delle agenzie comunitarie. La gestione ordinata e condivisa dei flussi migratori è la premessa per superare il Trattato di Dublino e organizzare un sistema di accoglienza e integrazione comune.”
Chissà. Tante volte Calenda ha minacciato di strappare la sua tessere da iscritto del PD. Forse questa è l’occasione propizia, nella trasmigrazione verso la sua lista europeista. A quasi un anno dalle ultime elezioni nazionali ancora nessuno dalle parti di Largo del Nazareno ha compiuto il gesto politico decisivo. Chiedere scusa per il fallimento e rimboccarsi le maniche. Per ora, invece, son tutte correnti e pop corn.
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