Finanza
La bad bank non ci salverà: alle banche italiane serve un vero governatore
“Italian banks need recap, I say no, no, no”, continua a cantare Ignazio Visco, governatore di Banca d’Italia, dopo la missione del nostro ministro dell’economia Padoan, partito per Bruxelles per portare a casa l’operazione “bad bank” e tornato a casa con mezzo accordo: la parte “bad”. Ma è difficile che il mercato creda al ritornello del governatore, perché conosce la favola della volpe e l’uva. Se le banche hanno abbastanza capitale per risolvere il problema delle sofferenze, perché non l’hanno risolto? E perché un anno di manfrina alla ricerca di un accordo con l’Europa se non ce n’era bisogno? La verità è che, fallito l’intervento della politica nella risoluzione del problema, il sistema bancario recita a soggetto, nell’attesa che si sviluppi un copione, e alla ricerca disperata di un autore.
Riassunto delle puntate precedenti. L’intervento del nostro ministero dell’economia nella vicenda delle sofferenze bancarie avrebbe avuto un senso se avesse raggiunto almeno uno di due obiettivi. Il primo, manifestamente impossibile da raggiungere, era spuntare l’aiuto di stato per rendere meno dolorosa la ripulitura dei bilanci delle banche italiane. Il secondo, senz’altro alla portata di un buon negoziatore e difficile da contraddire da parte delle autorità europee, era rendere possibile la risoluzione del problema a livello aggregato, costituendo una “bad bank” di sistema.
Il ministro Padoan è tornato da Bruxelles senza né questo né quello, e senza avere coscienza della gravità del secondo insuccesso, quello inatteso. Ricordiamo che l’abbandono della “bad bank” di sistema penalizza le banche italiane in per due motivi. Il primo è quello che i trader del rischio di credito chiamano “effetto banana”. Se i prestiti che si cartolarizzano non sono abbastanza diversificati, il rischio (e gli spread) dei titoli senior sale, e quello di titoli junior scende. La decisione del commissario UE e del nostro ministro di rinunciare a una “bad bank” di sistema ha aumentato la correlazione delle operazioni di cartolarizzazione e così ha fornito un aiuto di stato ai fondi speculativi che trattano i titoli “junior”, penalizzando i titoli senior che dovranno essere piazzati alla clientela e garantiti con fondi pubblici: quindi, in questo caso l’”effetto banana” si arricchisce di un gustoso doppio senso. Questo effetto tecnico, poco noto, è poi rafforzato da quello che anche un mediocre economista dei mercati conosce: emissioni di piccole dimensioni, e segmentate, vengono penalizzate per la scarsa liquidità, oltre che per problemi di tipo istituzionale.
Se quindi Padoan fosse tornato con un progetto di “bad bank” di sistema, a prezzi di mercato, con lo schema di garanzia sulla tranche senior, sarebbe tornato con un successo. Avrebbe assolto il suo ruolo di coordinatore della ripulitura del sistema bancario, e con lo schema di garanzia avrebbe costruito un mercato di attività liquide. Invece il ministero esce di scena, ed è patetico leggere dell’attivismo dedicato alla costruzione di indici di credito per valutare queste garanzie che, se calcolate bene, non interesseranno a nessuno.
Già leggendo il primo comunicato del ministero, dove si legge che per i primi tre anni verranno utilizzati i CDS a tre anni, chi ha una minima conoscenza di questo mercato ha osservato che questa non è certo la scadenza sulla quale si concentra il mercato del trasferimento del rischio di credito. Anche i neofiti sanno che le quotazioni più significative si concentrano sulla scadenza a cinque anni. In un secondo comunicato poi leggiamo che il ministero sfida addirittura il mercato dettando i termini della costruzione di indici di credito, come quelli che sono già a disposizione del mercato da anni, e che si chiamano iTraxx, CDX, o ABX. Pare che il ministero non solo non si renda conto dell’errore fatto nelle negoziazioni, ma neppure delle difficoltà tecniche della costruzione di indici di credito significativi. Che vuol fare il ministero? Vuole sfidare Markit o altri operatori che di mestiere costruiscono indici di credito? E soprattutto: non penserà il ministero di costruirsi in casa gli indici sui quali valuta la garanzia offerta da lui stesso!
Comunque sia, la mano pubblica è uscita di scena come forma di organizzazione di una “soluzione di sistema”. Chi altro potrà sostituirla? Ignazio Visco si è dichiarato a favore di forme private di organizzazione del sistema bancario, e su questo è parso più intonato che sul tema della patrimonializzazione. Costruire fondi privati per i salvataggi bancari e, vogliamo qui estendere il concetto, una “bad bank” privata di sistema, sono buone idee. Ma chi sarà il regista? Un banchiere con cui ho parlato in settimana mi ha detto che nessuno porterebbe in consiglio di amministrazione una proposta simile. Potrà farlo l’organo di categoria, l’ABI? Ne dubitiamo. L’ultima volta che l’ABI, dopo gli scandali Cirio e Parmalat, si è lanciata in un’operazione di sistema, costruendo il consorzio di banche Pattichiari, è finita attaccata nei tribunali di mezza Italia. Su questo dichiaro il mio conflitto di interessi, perché ho ritenuto di prestare la mia consulenza a difesa di questa iniziativa, fino allo scorso anno, quando il mio sistema nervoso mi hanno costretto a desistere. Ne leggerete tra qualche anno, se i tempi della giustizia non saranno più lunghi di quelli della vita di un uomo.
Tornando a noi, se non esiste un regista per una soluzione di sistema, le banche sono lasciate a se stesse. Quale canovaccio seguiranno per risolvere il problema dei crediti in sofferenza? La risposta viene da ipotesi sul loro comportamento strategico. Raccogliendo i pareri di diversi colleghi emergono diversi scenari ragionevoli, che significa che il sistema potrà evolversi verso diversi equilibri, con diverse ricadute sulla nostra economia. Uno scenario possibile è che i crediti restino nella pancia delle banche, e i bilanci vengano ripuliti con il passare del tempo. L’impatto di questa ipotesi per il resto dell’economia è che il sistema bancario non potrà partecipare alla pur debole ripresa, e anzi potrà rappresentare un elemento di freno. Le risorse di capitale e la redditività delle imprese vive dovranno competere anche con quelle morte, a alla fine l’aumento del costo del capitale potrà contagiarle portando anche loro alla tomba. Di fronte a questo scenario ossianico ci sono altri esiti possibili, e li abbiamo letti tra le righe dei commenti dei banchieri all’intervento di Visco. Qualche banca più grande e più efficiente, con maggiori possibilità di accesso al mercato, potrà ripulire i bilanci prima delle altre, e dopo le potrà attaccare, portando via la clientela migliore o acquisendole direttamente. Di fronte a questa strategia, la migliore risposta da parte degli altri giocatori è cercare di ricostituire il proprio capitale prima possibile, a costo di procedere ad aggregazioni che li rendano indigesti da attaccare.
In conclusione, una brutta gatta da pelare per la mano invisibile. Senza un autore, sembra che il sistema bancario porterà in scena la sua immondizia ancora per molti anni. L’alternativa sarà data da acquisizioni e matrimoni. Ma anche su questo scenario, marcato dalla competizione, non c’è da aspettarsi niente di buono. Le aggregazioni vanno fatte a mente fredda e sulla base di piani industriali e non per mettere insieme incagli e sofferenze. Da che mondo e mondo, si sono visti matrimoni per amore e per soldi, ma per portare giù l’immondizia non ne sono visti mai.
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