UE
Il deserto europeo: la crisi greca e il trionfo dell’impotenza tedesca
La crisi greca e le vicende delle ultime settimane gettano un’ombra sul futuro dell’Unione Europea. Per provare a ragionare su questi problemi vale la pena partire da un interrogativo basilare:
Cosa cosa tiene insieme una comunità politica?
Ci sono molte risposte a questa domanda e, come sempre, variano a seconda di dove si sceglie di mettere l’accento.
1. Per coloro più inclini a prediligere la sfera razionale la risposta è che una comunità politica è tenuta insieme da un contratto. Dunque da un atto deliberato di vari soggetti, i quali liberamente scelgono di unirsi e si dotano di conseguenza di un sistema di norme che governi tale unione: un testo costituente che definisca in modo chiaro le regole, i rapporti di forza, dia forma alle istituzioni e disciplini la dialettica interna.
2. Un’altra risposta, di tutt’altro tenore, è che le comunità politiche hanno primariamente bisogno di un nemico comune. Le identità collettive si declinerebbero infatti in opposizione e per contrasto con un ‘altro’, un avversario nella lotta per l’accaparramento di risorse e per la difesa del proprio benessere, il rappresentante di una cultura o di una civiltà ritenute incompatibili con le proprie.
3. Un’altra ancora è che una comunità politica sarebbe tenuta insieme dall’idea di un destino comune. Cioè sarebbero una visione mitica del passato e una raffigurazione idealizzata del futuro a consentire di superare differenze e divisioni interne, creando un legame funzionale al perseguimento del sogno condiviso e dell’interesse collettivo.
Ovviamente le varie risposte non necessariamente si escludono tra loro.
L’unione Europea su quali di questi elementi può far leva?
1. L’insieme dei trattati costitutivi dell’Unione e della zona euro hanno alcune delle caratteristiche del contratto sopra menzionato. Alcune ma non tutte, o non tutte perfettamente funzionanti. Sul piano istituzionale risulta particolarmente debole. Il tentativo di fare un salto di qualità, spingendo verso una vera unione politica è stato abortito ormai dieci anni fa, con le sonore bocciature del piano di Costituzione Europea. I sistemi di governo dell’Unione sono, come è apparso chiaro ieri, farraginosi e poco trasparenti. Il Parlamento è un organo che non ha la titolarità per intervenire in tutte le questioni più delicate, che sono demandate agli accordi tra governi. Manca, come è stato ripetuto ormai all’infinito, un’unione politica che faccia da contrappeso e da bilanciamento all’unione monetaria.
2. Forse aveva, in origine, un nemico comune. La germinazione del progetto europeo risale agli anni della Guerra Fredda. I primi timidi passi dell’alleanza Franco-Tedesca nacquero per rianimare un continente che era uscito martoriato dal conflitto mondiale e che cercava prosperità, stabilità e sicurezza. Tutto ciò maturò in opposizione al blocco sovietico e anche in opposizione ai drammi del passato recente (uno dei nemici dell’Europa, uno dei nemici che hanno consentito di superare tante differenze era il ricordo della tragedia consumatasi negli anni Trenta e Quaranta). In qualche misura, si pensava ad unirsi anche per rendersi più forti e più autonomi rispetto all’ingombrante alleato americano.
Oggi la coscienza di un nemico comune – sia questo un vicino minaccioso o lo spettro angoscioso del passato – sembra svanita. Non che non manchino minacce, di varia natura, a Sud, a Est o dall’interno dell’Unione stessa, ma queste non sembrano oggi capaci di generare significativa coesione.
Anzi, gli europei risultano straordinariamente divisi, distanti e diffidenti gli uni verso gli altri. Non si capiscono, forse non si conoscono, di certo nutrono sfiducia e risentimento verso i propri vicini. A dominare l’immaginario continentale – bastava leggere i grandi giornali europei negli ultimi mesi – sono pregiudizi, stereotipi etnici e nazionali di varia natura. Da una parte si affermava che i popoli mediterranei, levantini, fanfaroni e inaffidabili dovevano essere disciplinati. Dall’altro si ribatteva contestando il cieco rigore teutonico, la rigidità nordica, quando non lo spirito imperialistico della Germania. Non son mancati ripetuti riferimenti, tutti fuori luogo, al nazismo e alle lotte di liberazione dall’oppressione.
Quel che ha plasmato le opinioni pubbliche europee rispetto alla crisi greca non erano gli elementi concreti che riguardavano il rapporto economico intrattenuto dallo stato greco coi suoi partner, nell’Unione e fuori di essa. Ciò che ha dominato la scena, ciò che ha orientato le coscienze collettive e anche le scelte dei leader politici, era un rivoltante impasto di pregiudizi, materiali mitologici di origine remota ma ancora dotati di straordinaria forza performativa.
Tutti materiali dotati altresì di grande forza disgregatrice. Si tratta di mitologie che dividono e spingono al conflitto, postulando un’insanabile diversità – antropologica e/o culturale – tra i vari popoli d’Europa.
3. Rimane solo l’idea del destino comune. L’Europa è stata anche dotata di una grande energia in quanto era un’idea di futuro: un sogno entusiasmante.
Credere nel progetto europeo significava partecipare insieme ad altri ad una straordinaria avventura: il continente segnato da secoli di conflitti e rivalità si sarebbe finalmente unito. Si trattava di realizzare il più ambizioso progetto di intreccio culturale e cooperazione politico-economica mai sperimentato.
Pace, stabilità e benessere.
Questi erano gli ingredienti essenziali del sogno europeo, questo il destino cui i cittadini, dell’Est come dell’Ovest, dell’Europa nordica e di quella mediterranea, potevano aspirare insieme.
La crisi economica e le difficoltà istituzionali del progetto europeo hanno però fatto sbiadire quel sogno. Oggi della prospettiva di un radioso futuro in comune mi pare rimanga ben poco.
Cosa è accaduto ieri e che effetto può avere?
Per ragioni legate a dinamiche di politica interna (il bisogno di consensi da parte di governi fragili che non si sentivano la forza di spiegare ai propri elettorati perché accollarsi nuovi oneri finanziari per sostenere i partner greci) e per ragioni ideologiche (la volontà di affermare con chiarezza che le politiche dell’austerità e il ‘sistema delle regole’ sono non negoziabili) la Germania e i suoi alleati hanno deciso di dare un lezione al Governo Tsipras, umiliando una forza politica che aveva contestato il senso delle politiche economiche adottate dall’Unione negli ultimi anni.
Il Governo greco da parte sua aveva sviluppato la trattativa fino al parossismo, alimentando tensioni senza però esser in grado di costruire un’efficace strategia diplomatica.
È probabile che uno degli effetti quello scontro e poi di quell’accordo sarà che cresceranno i vari movimenti antiausterità, gli euroscettici, i partiti populisti (di destra o di sinistra) che sfidano l’ordine costituito all’interno di ciascun contesto nazionale.
La fiducia nella prospettiva europea – la fiducia nel sogno Europeo – è destinata a calare.
I cittadini e le classi dirigenti del continente hanno imparato qualcosa di nuovo sull’Europa. Sanno che tutti coloro che oseranno alzare la testa e sfidare quest’ordine rischiano il trattamento greco. Sanno altresì che – a differenza di quanto si era ribadito più volte in passato – dall’Euro si può uscire, ma che si può anche essere cacciati. Possono anche desumere che l’Europa unita può tollerare governi di destra estrema – nazionalisti, intolleranti e dichiaratamente illiberali come quello di Orban in Ungheria – ma non proposte politiche di sinistra come quella di Syriza.
Il trionfo dell’impotenza
Nella trattativa degli ultimi giorni i capi di stato europei si son dimostrati deboli e incerti, fino all’ultimo l’esito è apparso imprevedibile. Quello a cui abbiamo assistito è un trionfo dell’impotenza, non un’affermazione della prepotenza germanica come tanti suggeriscono. Dopo il colpo di teatro del referendum Tsipras è andato a negoziare, ma è stato subito chiaro che sarebbe stato pronto ad accettare misure severe, anche più severe di quelle che aveva rifiutato poche settimane prima. Che bisogno c’era di umiliarlo? Nessuno, a meno che lo spettacolo fosse a beneficio del pubblico interno.
A dominare il fronte degli intransigenti è stata una Germania con un governo debole, un maggioranza parlamentare minacciata dai falchi tra i falchi su possibili aperture alla Grecia, con un gruppo dirigente conflittuale e un leader che sembra preoccupato dai sondaggi della settimana prossima sopra ogni altra cosa. Una grande Germania che però non si sente la forza o la vocazione per esser davvero stato guida di tutta l’Unione.
Il risultato – non per colpa della Germania, bensì per effetto delle impotenze combinate di tutti i partner, giacché nessuna strategia o proposta alternativa ha mai preso veramente forma – è che dall’accordo di ieri è uscito un incubo: si è decretata la capitolazione di uno stato sovrano di fronte a delle pretese vessatorie. Cosa seguirà non è chiaro, non è affatto scontato che il parlamento greco accetti queste misure.
Comunque sia, se l’obiettivo era fare una prova di forza per mantenere l’acquiescenza e la sottomissione al ‘sistema delle regole’ (buone o cattive che siano poco importa), il risultato è che forse i difensori dell’ortodossia hanno vinto una battaglia, crocifiggendo Tsipras, ma con tutta probabilità hanno creato le condizioni per perdere e perdersi nel medio termine. E ciò che andrà perso non sarà solo o tanto l’ortodossia del ‘sistema delle regole’, ma forse proprio l’idea stessa dell’Unione.
Forse senza rendersene conto, hanno distrutto quel che restava del sogno europeo. Lo dimostra il successo dell’hashtag #ThisIsACoup, che da ieri notte ha dominato twitter come trend mondiale. E senza il sogno, del progetto europeo resta ben poco.
Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato Europa.
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