Sanità
Il braccio di ferro AstraZeneca-EU
Il gelo cala sulle ferite ancora aperte nella linea dura della Brexit. Un mese di passione tra reintroduzione di frontiere e nuove tasse commerciali, che hanno anche toccato il mondo universitario.
Il colpo di grazia la questione dei vaccini Covid, cui fa capolino l’ultimo tra quelli approvati dall’EU, l’AstraZeneca di Oxford. Un vaccino controverso, che si è affacciato nell’Unione Europea a due mesi circa dall’approvazione in Gran Bretagna a causa di alcune importanti criticità. Proprio una scarsità d’informazioni ne hanno consigliato la somministrazione in Italia a persone dai 18 ai 55 anni senza gravi patologie, a differenza degli altri due autorizzati. In Svizzera invece è stato bocciato poiché i dati sono ritenuti mancati. E c’è già chi oltremanica grida a una punizione. In ultimo i tempi nella distribuzione, i quali sembrano essere troppo lenti rispetto alle aspettative.
La domanda si attesta a 300 milioni di dosi, cui se ne possono aggiungere 100 milioni come opzione. A far scattare la baruffa è stato il taglio delle forniture del 60%. Carenza che ha portato l’Europa a sospettare, dai movimenti doganali, di una compravendita al migliore offerente. Da qui la replica secca di Pascal Soriot, amministratore delegato della multinazionale anglo-svedese, che si rifa all’intenzionalità migliore nell’erogazione dei servizi nel contratto, quindi senza garanzie sulla consegna. La commissione non ha gradito lo slancio, pubblicando di contro risposta il contratto siglato il 27 agosto 2020 e finanziato dalla Emergency Support Instrument. Una mossa intransigente data l’attuale gravosità della situazione pandemica in corso. AstraZeneca dovrà quindi soddisfare la domanda di 9 milioni di dosi nel primo quarto dell’anno. Il disgelo arriva da Ursula von der Leyen, che su Twitter condivide questa vittoria con il mondo del web e annuncia l’ampliamento della capacità di fabbricazione in Europa da parte della compagnia, aprendo le porte di casa all’azienda biofarmaceutica.
L’Eurozona conta di arrivare all’immunità di gregge vaccinando il 70% della popolazione entro la fine dell’estate 2021, un impegno che dipende dalle forniture mediche. Fino a quella data la normalità sarà a singhiozzi, tra zone a rischio e navigando a vista.
La Brexit sta sortendo i suoi effetti, ben lungi dallo splendido isolamento della Gran Bretagna nella metà del XIX secolo, quando era una potenza mondiale e poteva permettersi di stare da sola. I tratti sono quelli di un divorzio a bandierine con croci sovrapposte e mezzi pesanti incolonnati a Dover e Calais, un deciso ritorno al passato. Si riaprono questioni come quella irlandese del nord e del sud, le cui frontiere ancora sono avvolte nella nebbia. Dai primi negoziati, sotto il nome di “The Good Friday agreement” non ci saranno controlli rigidi. Per non parlare di Gibilterra. Sull’onda di nazionalismi dilaganti che hanno preceduto anche la presidenza americana della scorsa legislatura al grido di “America first”, ci ritroviamo agli inizi di una nuova era glaciale tra la potenza britannica e quella europea. L’imperativo è rientrare dal naufragio di supremazie che storicamente non dovrebbero appartenerci, in tempi di pandemie, democrazie e burocrazie.
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