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L’Imp€ro contrattacca: il lato oscuro della forza dell’Unione

4 Luglio 2015

[*]The Empire strikes back, malamente tradotto in Italia in L’Impero colpisce ancora,  è il secondo episodio della saga a sfondo zoroastriano di Guerre Stellari. La Repubblica Galattica degenera in Impero Galattico e conquista al lato oscuro della forza il monaco-guerriero Anakin Skywalker, che si trasforma nel tenebroso Darth Vader. Se l’Impero è Babilonia, Darth Vader è Lucifero, l’angelo che cade e si trasforma in agente del Male mettendosi alla guida della lotta alla resistenza antimperiale. Nel primo episodio gli imperiali subiscono l’offensiva dei ribelli, ma nel secondo Darth Vader contrattacca e fa prigionieri i capi della resistenza.

La storia di alleanze, federazioni e unioni tra pari che degenerano e si trasformano in imperi in cui il primus inter pares diventa dominus non inizia con l’Europa, che nasce come unione tra pari a illuminata guida franco-tedesca e degenera in un impero morbido a esclusiva trazione tedesca. Né la Grecia è la prima provincia ribelle che l’impero deve normalizzare, pena la perdita fatale della sua credibilità.

Curiosamente il primo drammatico esempio storico che si ricorda è proprio greco. La Lega di Delo, costituita nel 478 a.C., è un’alleanza tra città e isole in funzione antipersiana. Atene ne fa parte fin dall’inizio, ma è solo gradualmente che ne diventa egemone. Quando la Lega entra in guerra con Sparta l’isola di Melo, per non pagare i tributi per le spese militari, si defila dall’alleanza. Ne seguono, tra Atene e l’isola ribelle, lunghe trattative in cui si mescolano con grande ricchezza di dottrina argomentazioni teologiche, giuridiche e politiche. A un certo punto, però, Atene si stanca di trattare, spiega ai Meli il concetto di Realpolitik e dà loro un ultimatum militare. Al rifiuto dei Meli la democratica Atene procede allora allo sterminio di tutta la popolazione maschile dell’isola e alla riduzione in schiavitù delle donne.

Dai Romani con la Giudea, a Barbarossa coi Lombardi, agli Stati Uniti con i Confederati fino all’Unione Sovietica che normalizza i paesi fratelli con i carri armati a Budapest e Praga l’ultima parola nelle dispute tra imperiali e ribelli è sempre spettata alle armi. Anche la Cina avrebbe invaso da anni quella che chiama ufficialmente la provincia ribelle di Taiwan se questa non fosse protetta dalle portaerei americane. L’esempio dei Confederati nella Guerra di Secessione (o quello della Rhodesia bianca e ribelle che dichiara unilateralmente l’indipendenza dall’Impero Britannico per potere continuare le sue politiche razziali suprematiste) mostra con chiarezza che l’idea romantica per cui chi si ribella ha sempre ragione e l’impero ha sempre torto è profondamente sbagliata. Quello che si vuole qui sostenere è semplicemente che gli imperi hanno una certa logica e che questa logica è dettata da ragioni di sopravvivenza.

L’Europa odierna rappresenta da questo punto di vista un grande passo avanti. Dopo avere subito da Tsipras e Varoufakis i colpi bassi di trattative scortesi e sconclusionate, ripudio di fatto del debito e referendum a sorpresa, Bruxelles non manda ad Atene la Guardia Nazionale (come succederebbe probabilmente in America se il Texas si dichiarasse indipendente) ma delega a Francoforte il compito di fare mancare ai greci nuove banconote. La Bce, si noti, non toglie il tappo dal lavandino e vi lascia dentro tutta la liquidità già versata (e ampiamente prelevata dai greci con gli assalti ai bancomat delle ultime settimane). Si limita semplicemente a riportare il rubinetto nella sua posizione normale, cioè a chiuderlo (il rubinetto, dice il manuale, va aperto solo quando c’è da accomodare con nuova moneta la crescita del Pil, che in Grecia non cresce).

Con questo semplice accorgimento il contrattacco imperiale costringe il governo greco a soluzioni da socialismo reale come il razionamento della liquidità ai pensionati che voleva tanto difendere (se da lunedì il governo passerà alla dracma, la moneta scorrerà di nuovo abbondante, ma ad essere razionate saranno prima o poi le merci, come a Cuba).

Il grave errore tattico di Tsipras è quello di avere tirato troppo in lungo le trattative, rotto con i creditori e indetto un referendum senza avere dato un’occhiata alle casse del Tesoro, svuotatesi prima del previsto per il crollo delle entrate fiscali. Con lo stato che si vanta di non pagare più nessuno dei suoi creditori i contribuenti si guardano bene dal pagare le tasse allo stato, che d’altra parte non fa nulla (se non qualche condono) per tentare di recuperare l’evasione. A pochi giorni dal voto, quando qualsiasi governo cercherebbe di fare regali agli elettori, Tsipras si trova costretto a togliere i soldi ai pensionati.

Questo mostra per inciso che il governo greco non ha mai voluto alzare davvero le tasse nemmeno ai ricchi (così come non ha mai pensato di tagliare le spese militari) ma ha sempre e solo contato, per finanziare le maggiori spese che ha in programma, sui soldi europei o, per il futuro, sulle rotative che stamperanno le nuove dracme.

Questo errore tattico farà sì che lunedì, invece di una possibile vittoria, Tsipras si troverà in mano una sconfitta (con dimissioni) o una vittoria di stretta misura. In questo secondo caso, avrà lo stomaco di avviarsi su una strada cubana? Castro, sceso in armi dalla Sierra Maestra, ripudiò immediatamente il debito, ma dovette poi arrangiarsi da solo, fatti salvi i pochi soldi che gli fece avere negli anni l’Unione Sovietica (mai gratis, sempre in cambio di zucchero). Senza il petrolio che ha il Venezuela e con l’unica entrata del turismo, la Grecia si finanzierà diventando il divertimentificio d’Europa e aprendo casinò? Diventerà cioè, paradossalmente, come la Cuba di Meyer Lansky e di Fulgencio Batista, quella che Castro spazzò via?

Lunedì, in caso di vittoria di misura, Tsipras tornerà a Bruxelles rinfrancato, ma non particolarmente forte. Se vorrà davvero rimanere nell’euro si troverà comunque con le casse vuote, i negozi e le pompe di benzina senza scorte e un malcontento crescente. Le borse europee perderanno parecchio, ma se ci sarà una ripresa delle trattative si stabilizzeranno e aspetteranno la scadenza del 20 luglio, il giorno in cui la Grecia dovrà restituire soldi ai creditori europei. Prima o poi i mercati rifletteranno sul fatto che Cuba, che per mezzo secolo è stata una dolorosa spina nel fianco degli Stati Uniti, non ha impedito la grande espansione dell’economia americana e tre lunghi cicli di rialzo azionario.

All’inverso, in caso di sconfitta e dimissioni di Tsipras, i creditori avranno l’intelligenza, verosimilmente, di non volere stravincere e inonderanno la Grecia di soldi. I mercati, rincuorati dal buon dato sull’occupazione americana, saranno in festa. Sull’eventuale rialzo saremo quest’estate, gradualmente, venditori di Europa. Dopo le vacanze dovremo infatti confrontarci con la fragilità del quadro politico italiano, con Marine Le Pen che si prepara a conquistare la sua prima regione e, soprattutto, con una Spagna che si prepara a diventare una nuova provincia ribelle, più accorta e meno sprovveduta della Grecia.

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[*]Questo articolo è stato ripreso dall’edizione del 2 luglio de Il Rosso e il Nero, settimanale di strategie del Gruppo Kairos

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