UE
Hollande vattene! Tu e tutta l’allegra brigata
Questi leader europei, pro tempore guide dei nostri destini, ci stanno portando al disastro, loro non se ne rendono conto ma noi anche solo istintivamente sì. Un esempio per tutti, Hollande e la sua politica estera: ha indicato nell’IS il “Male” del mondo dichiarando che per sconfiggerlo va bene pure allearsi con Assad il Massacratore del suo popolo, compiendo due errori pazzeschi, il tradimento degli ideali propri della V Repubblica erede dell’Illuminismo e della Rivoluzione e, più pragmaticamente, non volendo vedere che l’IS sunnita è la conseguenza delle repressioni del sanguinario alawita. Come dire, i popoli arabi si meritano le dittature e l’Europa deve appoggiarle per propria tranquillità. Complimenti. Se volevamo perdere la guerra al terrorismo abbiamo fatto un significativo passo avanti, considerato che l’80% dei siriani sui barconi scappano da Assad, non dall’IS, e vorrebbero tornare a casa con salva la vita. Soprattutto abbiamo dimostrato di non credere più in noi stessi e nei nostri ideali, mettendo definitivamente in luce la sconfortante pochezza dell’album di famiglia dei leader europei di fronte a sfide di portata storica. Non è il terrorismo a minare i nostri diritti e a cambiare con la paura i nostri stili di vita, è invece la nostra incapacità a costruire il futuro che ci sta portando al disastro.
Il Financial Times ci mette il carico da undici e in un articolo esamina l’ipotesi che tra non molto Trump entri alla Casa Bianca, Marine Le Pen in Francia insieme a Viktor Orban, Beata Szidło, e ai leader nazionalisti in una ondata che potrebbe cancellare la tradizione liberal-democratica occidentale post 1945. Considera l’ipotesi, anzi l’incubo, improbabile ma tutt’altro che impossibile dato che lo stesso Trump opposto nei sondaggi a Hillary Clinton sta cinque punti avanti.
Se gli Stati Uniti quest’anno cresceranno con percentuali da boom economico (ma pare non basti perché il sogno americano si sta infrangendo sui differenziali salariali e sulla scarsa partecipazione ai benefici della crescita), l’Europa fa a gara sugli zero virgola tra un paese e l’altro in un fallimento dei “compiti a casa” intesi solo come programma politico di risanamento. Ma mentre i ceti medi europei, o quel che ne resta, tirano la cinghia, i gruppi dirigenti politici e finanziari danzano come nell’ancien régime lanciandosi l’un l’altro la ciambella di salvataggio, seduti su poltrone di banche e grandi complessi industriali dalle quali si staccano non per i loro fallimenti ma solo se coperti con liquidazioni da satrapia orientale.
Sottolinearlo sembrerebbe demagogia spicciola se non fosse vero e se perlomeno a fronte di questa danza macabra ci fosse una capacità di governo a un livello indiscutibile. Al contrario queste élite si sono omologate su una politica di risanamento concentrata sul presente, ottusa nei modi, insopportabile nei toni (molto meglio quella di Mario Draghi) che farà anche bene ai conti degli Stati ma che sta generando nei cittadini europei paure individuali, sensazioni di insicurezze e precarietà forse anche più gravi rispetto alla realtà. Elite selezionate e cresciute negli anni di vacche grasse, convinte che il presente europeo fosse più forte di una storia rimossa dalla propria esperienza politica e che il mostro del nazionalismo fosse morto e sepolto. Invece il loro fallimento nella gestione della crisi ha fatto scivolare lugubri dissennatori nei cieli e negli animi europei con la più classica delle nemesi storiche.
Non può essere il presente a battere il passato: è solo il futuro col suo carico di sogni, aspettative e di crescita che può tacitare animi agitati, lo insegnano ancora gli americani che con il loro ottimismo e la propensione al debito privato cercano di anticipare i benefici di un futuro che “sanno” verrà. Da noi no, il privato non deve indebitarsi, non deve pensare al futuro ma prestare i suoi risparmi a Stati pericolanti attraverso banche dai conti inquietanti: e non è con un milione di immigrati che la Germania e noi tutti possiamo pensare di salvare le nostre pensioni.
Al contrario, pur apprezzando il lato umanitario, quello “interessato” è una resa di fronte alla scarsa natalità del paese più ricco e più tutelato d’Europa perché sostituendo figli mancanti con immigrati in un asettico pragmatismo, non risolviamo le paure sul futuro (quindi non facciamo figli ma al massimo investiamo su quelli che ci sono) e accresciamo i conflitti nel presente. Gli immigrati vanno aiutati ed integrati, ed è una cosa; le paure vanno sconfitte, ed è tutt’altra minestra.
Non meravigliamoci quindi troppo su Putin diviene un modello apprezzato. La liberaldemocrazia è un sistema culturale e politico difficile e delicato, può sopravvivere se mette i suoi cittadini nelle condizioni di giocarsi un “di più” di futuro rispetto al nazionalismo barbaro dell’Uomo forte. Se fallisce, nei cittadini scatterà il riflesso condizionato dello scambio tra meno libertà e più sicurezza, meno integrazione europea e un più di rassicurante identità nazionale sia essa etnica o religiosa. Governare male è un danno per le nostre vite ma governare senza ricordarsi la storia è il più grave dei delitti commessi dall’album di famiglia. Prima si cambiano uomini, donne e politiche e meglio sarà, sperando non sia già troppo tardi.
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