UE
Grexit, Brexit, Ucraina, migranti: siamo vicini alla fine dell’Europa unita?
Mai come in questi mesi l’intero progetto europeo è apparso profondamente in crisi. Una crisi evidenziata in queste settimane dalla paralisi dell’Ue su Grecia e immigrazione, con i leader europei incapaci di trovare soluzioni credibili e di presentare l’Unione come la soluzione, anziché l’origine dei problemi. Non stupisce se i movimenti anti-Ue dilagano in tutta Europa, dalla Spagna alla Finlandia, dalla Francia all’Ungheria, mentre sembra ormai smarrito lo spirito europeo dei padri fondatori, memori della doppia catastrofe di due guerre mondiali in trent’anni.
Grecia, migranti, crisi ucraino-russa e la prospettiva di un Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa, al più tardi nel 2017. Rem Korteweg del Centre for European Reform di Londra parla dei «quattro cavalieri», l’allusione è a quelli dell’Apocalisse, che accerchiano l’Europa. «Il rischio del default greco – scrive Korteweg – e la possibile uscita pone il rischio più acuto», in quanto «metterebbe in dubbio la direzione dell’eurozona verso una sempre maggiore integrazione, con possibili effetti devastanti su altri membri deboli dell’euro». Un rischio di cui i leader europei sono coscienti – «la fine dell’euro sarebbe la fine dell’Ue», avverte la cancelliera Angela Merkel. Eppure, non negli ultimi quattro mesi, ma negli ultimi cinque anni l’Europa non è stata in grado di far ripartire la Grecia, un paese di 10 milioni di abitanti per il 2% del pil dell’Unione.
Lo spettacolo di insulti e minacce cui abbiamo assistito in queste settimane ha rivelato piuttosto un’Europa ormai incapace di compromessi, e di visione. E invece, ha avvertito il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker questo lunedì, l’Europa può solo funzionare come «convergenza tra volontà politica anziché uno scontro di interessi nazionali particolari». «Appare sempre più probabile – scriveva giorni fa l’ex ministro degli Esteri di Berlino e star dei Verdi tedeschi, Joschka Fischer – una prospettiva molto pericolosa per l’Ue: prima il “Grexit”, poi un risultato elettorale in Spagna che va nella direzione greca (l’allusione è a Podemos, ndr), e alla fine il Brexit. Sessant’anni di successi nell’integrazione europea sarebbero messi in discussione, l’intero progetto europeo potrebbe sprofondare».
A voler allargare il discorso, la gestione della crisi che dal 2008 ha squassato in genere soprattutto il Sud Europa, Italia inclusa, è stata catastrofica: per anni si è parlato solo di debiti e deficit, pochissimo di occupazione e investimenti. Un fantasmagorico piano da 150 miliardi di euro (in realtà soldi già da tempo stanziati e comunque pochissimi per l’intera Ue) del giugno 2012 si è rivelato subito risibile, quest’anno è arrivato Juncker con un piano da 315 miliardi di euro, che è in realtà parte da un microscopico fondo di investimenti da 21 miliardi, oltretutto ricavati dal bilancio già esistente.
Soprattutto, sta venendo meno il concetto di solidarietà, senza il quale l’Ue non tiene. Non solo sul fronte finanziario, ma anche sull’altro grande tema, quello delle migrazioni. Lo spettacolo cui si è assistito al Consiglio Europeo del 25 e 26 giugno è stato devastante, con liti, accuse, e il rifiuto di vari stati membri di impegnarsi concretamente per prendersi una parte di richiedenti asilo da Italia e Grecia. E dire che si parla di 40.000 in due anni, una goccia nel mare. «Sono problemi vostri, a me che importa», avrebbe detto – secondo alcuni diplomatici – il presidente lituano Dalia Grybauskaite a Matteo Renzi. «Bello proclamare: salviamo i migranti, salvo poi dire a Italia e Grecia, ora teneteveli, affari vostri», ha detto il primo vicepresidente della Commissione Frans Timmermans. «Molti leader – si sfoga un diplomatico Ue – pensano che gli stati decidano tutto, se ne fregano delle istituzioni comunitarie e del funzionamento dell’Unione, ragionano solo in termini nazionali». In tema di immigrazione «un’Europa piccola piccola resta la chiara percezione che i primi nemici dell’Ue sono gli stessi governi europei», inveisce Alessandro Bechini, direttore per l’Italia di Oxfam.
La splendida invenzione dell’Europa senza frontiere di Schengen scricchiola paurosamente. La Danimarca, dopo la svolta a destra delle elezioni di poche settimane fa, già ha annunciato una quasi-reintroduzione dei controlli di frontiera, l’Ungheria si trincera contro i flussi di migranti via Serbia, l’Austria minaccia di reintrodurre i controlli di confine con il vicino orientale, Francia e Italia litigano a Ventimiglia. Persino la sbandierata missione navale per fermare i trafficanti di uomini nel Mediterraneo si è miseramente arenata, limitandosi a una pura «raccolta di informazioni».
Sulla Russia e l’Ucraina lo spettacolo non è molto migliore. La politica estera comune è inesistente, con l’Alto rappresentante Federica Mogherini costretta ai margini dal protagonismo di Francia e Germania. Certo, c’è il manto unificante delle sanzioni a Mosca, ma in verità gli stati litigano, tra gli hardliner dell’Est, convinti che la Russia sia pronta nientemeno che a invadere le repubbliche baltiche o la Polonia – membri Nato – e chi, come l’Italia ma anche la Germania è sempre più preoccupato per il devastante impatto economico. Tradotto: sanzioni a parte, l’Europa non sa più come parlare con Vladimir Putin, quale messaggio dargli. Rimane il “Brexit”. La temperatura salirà nei prossimi mesi con l’avvicinarsi del referendum. David Cameron vuole una rinegoziazione dei trattati, impresa ardua, visto che ci vuole l’unanimità. Solo che così facendo, sta tirando la volata al drappello sempre più nutrito di movimenti, partiti, in alcuni casi stati, che vogliono «meno Europa», ogni piccola concessione a Londra trascinerà con sé analoghe richiesta di altri. Peggio, il 2017 è anche l’anno in cui la Francia vota per le presidenziali, la campagna referendaria britannica potrebbe aiutare la sempre più forte leader del Front National Marine Le Pen. «Sarò “Madame Frexit” se l’Ue non ci ridarà la nostra sovranità monetaria, legislativa, territoriale e di bilancio», ha detto a Bloomberg. Se vincerà, la fine dell’Ue potrebbe davvero essere imminente. Poi, terra incognita.
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In copertina, Albrecht Dürer, I quattro cavalieri dell’Apocalisse (1498)
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