UE

Grexit: il futuro dell’Ue in bilico

3 Luglio 2015

di Eleonora Poli, Maximilian Stern e Chiara Rosselli

Questi sono tempi turbolenti per la Grecia, paese che ha peraltro vissuto giorni bui sin all’inizio della crisi del debito in Europa. Dopo l’abbandono del tavolo negoziale, l’annuncio del referendum da parte del governo di Syriza, su un piano che tra l’altro non è ancora stato ben definito, ha suscitato dure reazioni da parte del Consiglio dei ministri delle Finanze dell’eurozona, a cui hanno fatto seguito dichiarazioni e dibattici pubblici tutti contraddistinti da un senso di emergenza e irritazione.

Il carattere emozionale di una materia fatta passare per tecnica, come la questione del debito sovrano, è il chiaro segno che ad essere in pericolo non è solo la Grecia o l’eurozona, ma anche alcuni dei principi fondamentali caratterizzanti la stessa Unione europea. Il centro del dibattito non si limita infatti al debito greco, ma al significato stesso di Unione europea. Ha ancora senso parlare di Unione politica? O si tratta forse di un mero club di paesi uniti da necessità economiche?

Stranamente, è stato proprio il referendum, simbolo stesso della democrazia in Europa, ad alimentare l’insoddisfazione dei leader dell’eurozona nei confronti del governo di Tsipras. Sebbene il referendum possa vantare una legittimità difficilmente conseguibile da qualsiasi altro processo politico, quello greco, caratterizzato da uno scarso preavviso e dai contenuti poco chiari, non sembra essere un modello di espressione della volontà del “demos”.

Tuttavia, l’Ue è passata in pochi giorni da un netto rifiuto, ad una accettazione tacita del referendum che si sta via via trasformando in una vera e propria campagna per il Sì. Non riuscendo a convincere il popolo greco della necessità delle politiche di austerità, l’Ue spera quindi di legittimarle democraticamente tramite questo referendum. Tuttavia, a pochi giorni dal voto, gli scenari che si prospettano sembrano avere poche note positive.

Il No
La vittoria del No – esito favorito dal governo greco – porrebbe fine al sostegno dell’Ue e della Bce, dopo che l’assistenza finanziaria del Fmi si è già interrotta il 30 giugno. La Grecia sarebbe costretta ad uscire rapidamente dall’euro oppure ad introdurre inizialmente una moneta parallela. Sebbene i trattati non prevedano l’uscita dall’euro, ciò potrebbe essere realizzato lasciando la possibilità alla Grecia di uscire dall’Ue per poi forse rientrarvi in un secondo momento, abbandonando però definitivamente l’eurozona.

In questo scenario, il governo ellenico potrebbe ricorrere alla politica monetaria per ristrutturare l’economia e alimentare la crescita. Tuttavia, nel breve termine, gli standard di vita dei greci subirebbero un deterioramento significativo. Al contrario, la zona euro potrebbe uscirne rafforzata, almeno fino a quando i mercati manterranno la fiducia nei confronti degli altri stati “periferici”.

In ogni caso una Grexit creerebbe un pericoloso precedente, che potrebbe essere usato da altri paesi per abbandonare la moneta unica, riguadagnare la sovranità economica nazionale ed implementare politiche monetarie di tipo inflazionistico.

Considerando invece il quadro geopolitico, l’Europa e gli Stati Uniti potrebbero perdere un partner strategico nell’est del Mediterraneo. Mentre il supporto finanziario di Russia e Cina verso Atene diventerebbe più realistico, i conflitti in Medio Oriente, il continuo afflusso di nuovi rifugiati, le problematiche energetiche e l’imprevedibilità del governo turco, farebbero divenire le relazioni con la Grecia una questione prioritaria di sicurezza per l’Alleanza Atlantica.

Il Sì
Secondo le previsioni, il supporto verso il Sì sta crescendo, lasciando aperta l’ipotesi di ulteriori negoziazioni con l’Eurogruppo. In questo caso, il governo Syriza dovrebbe ritirarsi e convocare nuove elezioni nel giro di pochi mesi.

Anche questo scenario non è però privo di ostacoli. Infatti, chi guiderebbe il negoziato con l’Ue? Difficilmente potrebbe essere un esponente di Syriza. D’altro canto, l’Ue si troverebbe in una posizione più solida e potrebbe portare avanti le politiche di austerità negoziate con Syriza o forse delle misure più stringenti. Molto dipenderà anche dalle dinamiche interne europee. Un’economia tedesca sempre più forte, un’eventuale ripresa francese, e gli accordi tra Ue e Regno Unito potrebbero giocare infatti un ruolo cruciale nel mantenimento di misure di austerità in Grecia. Anche nel caso di vittoria, l’esperienza sofferta del referendum dovrebbe tuttavia spingere l’Ue a riflettere sulla necessità di adottare politiche di conciliazione volte ad attutire le crescenti critiche e scetticismo nei confronti del progetto di integrazione.

Un accordo last-minute: Si potrebbe forse evitare il referendum? 
Sebbene sia un’opzione molto poco probabile, il referendum potrebbe essere evitato se l’Eurogruppo trovasse un accordo “last minute” con Tsipras. La cancellazione del referendum potrebbe rappresentare un duro colpo alla democraticità dell’Ue. Mostrerebbe infatti la chiara preponderanza del carattere economico su quello politico, comportando una minore fiducia nelle istituzioni europee ed alimentando i movimenti euroscettici. D’altra parte, con l’accordo, i leader europei mostrerebbero che le istituzioni Ue sono ancora capaci di operare nel rispetto del principio disolidarietà, senza dovere delegittimare un governo insediatosi da poco e che vanta un’ampia maggioranza.

In conclusione, con due scenari su tre che si prospettano essere catastrofici per la Grecia, a prescindere dai risultati del referendum e anche nel caso di vittoria del fantomatico Sì, l’Unione europea dovrebbe trovare risposta a due domande: quale futuro politico offre agli europei – e in particolari agli stati “periferici” – a parte i principi dell’austerity? E come potrebbe acquisire maggiorelegittimità? Ci si auspica che le risposte a queste domande vengano trovate prima della prossima crisi referendaria.

 

SU http://www.euractiv.it/it/opinioni/11354-grexit-il-futuro-dell-ue-in-bilico.html

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