UE
Fmi e crisi greca, chi dice che l’azione di Tsipras non è stata utile?
Tre o quattro inviati, firme di punta dei principali quotidiani, hanno condotto parte della propria carriera seduti al tavolo della colazione con i giornali internazionali, scegliendo articoli e poi traducendoli alla bell’e meglio. Questo avveniva quando per comperare questo o quel quotidiano esotico dovevi andare all’edicola della stazione centrale a Milano e fumandoti la paghetta fare la fila per portarti via un International Herald Tribune della settimana addietro.
Essi pensano sia ancora così. Infatti quotidianamente se sfogli parallelamente i due quotidiani nazionali: di qui la paginata su Cuba, di là pure; di qui la paginata sulla crisi cinese; di là pure; in ritardo di due giorni però (un giorno più mezzo di jetlag). Sulla ragazzina offesa dalla Merkel, addirittura, citavano tra virgolette le sue dichiarazioni come l’avessero intervistata di prima mano. Ma che vergogna.
Sulla questione inchiesta Amazon un filo di dignità, perchè proprio hanno riprodotto l’articolo. Essi, i ricopiatori, non sanno una cosache ora svelo: l’abbonamento al New York Times, tutto sommato costa meno di un euro al dì e lo trovi in casella ogni mattina o sempre sull’Ipad, se non ti piace la carta con il caffelatte. Fai i conti, spendi meno.
L’altro giorno, per esempio, è uscito un articolo di prima pagina tutt’altro che scemo sul ruolo avuto dal Fondo monetario internazionale (Fmi) negli utlimi cinque anni, in particolare in relazione alla situazione greca (A major hole in the Greek debt deal: the IMF, NYT, 17 agosto 2015). Un articolo che sia per la ricostruzione, basata su indicazioni di funzionari interni all’organizzazione, sia per il tempismo, per la posizione degli Usa, segna una svolta nella storia dell’austerità: del “delirio dell’austerità”, come ci piace passi agli annali. Siccome non accumulo marchette della pensione grazie ai contributi degli “StatiGenerali”, che peraltro non si fanno pagare dai lettori, non mi sembra deontologicamente imbarazzante, e anzi mi pare utile, richiamare in sintesi quell’articolo.
Il terzo salvataggio in cinque anni della Grecia, votato dal loro parlamento e ora in approvazione in Germania, notoriamente, si è basato sempre sulle stesse fondamenta dei precedenti; la Grecia ha ottenuto 86 miliardi di euro, in cambio di innalzamento di tasse, tagli alla spesa pubblica e riforme di struttura per rendere l’economia più efficiente. Che l’economia di quel paese non esista più è un particolare trascurato damolti, troppo impegnati a discettare di “babypensioni”. Di questi 86 miliardi, peraltro, i greci non vedranno quasi una lira perché sono andati e tornati nelle tasche dei paesi creditori e delle loro banche, senza scalo e come una partita di giro, e là tra le isole hanno lasciato solamente nuovi debiti.
Oggi i giornali si stupiscono di questo, e ci si stupisce dello stupore, dato che il meccanismo è uguale alle tre volte precedenti. Einstein diceva che rifare sempre la stessa azione e aspettarsi effetti diversi e’ il primo segno della pazzia. E noi siamo a un passo dal baratro, ma pure dal manicomio, dato quel che stiamo combinando nelle economie europee da cinque anni, per puro masochismo. O perchè ci fidiamo di Alesina, che è forse sintomo più evidente.
La posizione del Fmi nel corso di questi anni di sadici interventi in Grecia, il vero “laboratorio dell’austerità”, è stata descritta come grossomodo assimilata con quella europea. L’articolo la ripercorre sulla base di posizioni interne, in un articolo evidentemente informato, che confermano peraltro quanto dall’esterno osservatori attenti potevano pure avere interpretato della traiettoria del Fmi.
Parte da una riunione a porte chiuse di fine giugno tra esponenti dell’Ue e del Fmi, in cui i primi, anche deformando e sminuendo le ultime prese di posizione del Fondo, insistevano nell’imporre misure austere alla Grecia e nel trascurare – nella propria “sanguigna visione” – il suo effettivo punto di vista.
In questa occasione, si verificava il “breaking point” per il Fondo monetario, che faceva emergere la frustrazione dei funzionari, e anche la loro preoccupazione che gli azionisti non europei, alcuni dei quali critici su quel che avveniva in Grecia e in Europa in generale in questi anni, avessero ben chiare le responsabilità di quel che sta avvenendo. Su queste basi, la settimana successiva, con una mossa considerata “altamente non ortodossa”, sempre i “funzionari” del Fmi decidevano di rendere pubblico il loro disappunto, diffondendo il documento di 23 pagine che conteneva parola per parola le analisi effettuate.
Da quel momento la linea del Fondo è che l’Ue deve prevedere un significativo alleggerimento del debito perché il Fmi accetti di inserirsi nel nuovo salvataggio. Un po’ diverso da quel che la Merkel sta sostenendo pubblicamente in questi giorni (“Ho ricevuto esplicite rassicurazioni dalla Lagarde che il Fondo rientrerà in partita in ottobre”).
Il punto è che una visione alternativa su questi fatti, forse tutt’altro che minoritaria, esisteva all’interno dell’organizzazione non da ieri né dall’anno scorso, bensì, dall’inizio, dal 2010. Allora, in occasione del primo bailout di maggio (l’austerità non era ancora legge e anzi eravamo ancora mezzi keynesiani, ossia sensati), la maggior parte del senior staff aveva sollevato fermi dubbi sulle probabilità che la Grecia riuscisse a ripagare i prestiti, parlando, subito, dell’esigenza di un taglio del debito (il famoso “haircut”), e l’intervento nel salvataggio, infatti, dovette essere giustificato con qualche forzatura in virtù della imminente situazione di disastro della finanza mondiale (per la minuscola provincia greca, maddai).
Il salvataggio, come tutti sappiamo, era rivolto al sistema bancario europeo che possedeva il debito pubblico greco; per esso, i greci – intesi come cittadini, non come élites al potere – dovevano accettare tagli al bilancio, aumenti di tasse, e devastanti effetti sociali ed economici su un paese pressoché completamente dipendente dall’economia pubblica. Disoccupazione alle stelle, tagli alle pensioni, avvitamento recessivo, aumento del tasso di suicidi, e così via.
Del resto questa è l’austerità: una minestra riscaldata di improbabili teorie neoclassiche: e stupisce non che ce l’abbiano propinata, ma che ce la siamo bevuta senza un colpo di tosse nemmeno dal fondo della sala. Pare ci sia proprio piaciuta.
Nonostante questo il Fmi incominciava a propinare report ottimistici sugli andamenti dell’economia greca, prevedendo tassi di crescita così sballati, che alla fine “un capo economista fu costretto a chiedere pubblicamente scusa” delle panzane emesse. Poi venne il secondo salvataggio, poi Tsipras vinse le elezioni, poi si avviarono i nuovi negoziati dei mesi scorsi.
A questo punto, tuttavia, con meno pubblicità, anche per venire incontro ai citati membri non europei (che sono 150 oltre ai 19 europei), il Fondo si attestava su uno degli argomenti centrali della posizione greca, e in particolare di Varoufakis: la Grecia era in bancarotta e occorreva un taglio del debito da parte dei creditori.
La Lagarde cominciava a ventilare l’esigenza di una “ristrutturazione”, e avendo alle spalle la richiamata pressione, durante un teso incontro dei ministri finanziari a Bruxelles mentre tutti pressavano Varoufakis perché accettasse l’accordo, quest’ultimo le rivolgeva la fatidica domanda: “Può il Fmi formalmente affermare in questa sede che che alla luce di questa proposta il debito greco è sostenibile?”.
Silenzio della Lagarde, mentre l’olandese Dijssembloem, vergogna del labourismo europeo, tagliava la conversazione e, “nel quertier generale di Washington del Fmi la decisione veniva presa all’unanimità: si usciva allo scoperto con il sostenere che il debito greco era insostenibile”. Non avremmo voluto essere nella posizione della Lagarde, diciamo.
Che cosa sarebbe successo se il Fondo avesse assunto una posizione diversa nel 2010? E perché (per responsabilità di chi) allora non lo fece? Oggi i tedeschi avrebbero comperato 14 aeroporti greci a prezzi di saldo? L’austerità sarebbe divenuta l’unica opzione? L’economia di mezza Europa (la nostra mezza) sarebbe al collasso? Le organizzazioni sovranazionali sono ecosistemi complessi, pieni di spinte e controspinte tra interessi e interessi, culture e altre culture, anche tra parte politica e funzionari, e tra nazioni e nazioni.
Chi dice che l’azione di Tsipras non è stata utile, consideri che tutte queste contraddizioni nello schieramento austero, tra i diversi soggetti in campo, ossia tra Fmi e Ue, e all’interno degli stessi soggetti – come nel Fmi o persino nello schieramento governativo tedesco – sono conseguenza dello stallo potenzialmente suicida imposto dal popolo greco, stallo terminato un secondo prima del blocco, mentre ai cittadini europei si strologava di baby pensioni.
È nello spazio di queste contraddizioni politiche e culturali che si costruisce – si doveva costruire – un’alternativa al suicidio economico e politico dell’Unione europea. Non leccando le scarpette consumate della Merkel, all’incrocio tra cardo e decumano.
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