Finanza

Il mutismo di Renzi di fronte all’attacco Ue contro le nostre banche

8 Aprile 2015

Mentre Matteo Renzi continua a esercitarsi nella retorica e nello spettacolo della politica, inseguendo il Renzi Show che aspettiamo ogni venerdì da Crozza, e snocciolando piccoli numeri e centesimi di punto percentuale, la Commissione Europea arriva con un monito che implica  numeri che rischiano di mettere a soqquadro i conti pubblici per diversi anni. Rischiamo di ritrovarci con 300 miliardi di credito in meno all’economia, e le chiacchiere stanno a zero. Segno che la nostra diplomazia economica in Europa è inesistente. Segno che il Renzi Show “prende”  solo da noi.

La questione sorge da una notizia sconcertante proveniente dalla Commissione Europea secondo cui sono stati inviati a Italia, Spagna, Portogallo e Grecia richieste di chiarimento per i crediti di imposta che sono stati concessi alle banche a fronte delle perdite su crediti. La questione è che “dobbiamo decidere se si tratta di aiuto di stato, se la risposta è positiva, dobbiamo decidere se questo è giustificato o meno”, ha dichiarato un portavoce della Commissione. In questo modo un oscuro funzionario ha oscurato un Capo di Stato, facendolo sembrare un pivello mentre parla di figurine, invece che delle prospettive dell’economia. Un Capo di Stato vero, un principe di Machiavelli, avrebbe chiesto la testa del responsabile per molto meno.

Ci sono molti motivi per cui un capo di stato o di governo dovrebbe irritarsi per questa vicenda e, peraltro, più per gli aspetti di comunicazione, che rappresentano l’unico mestiere di Renzi, che per l’economia, che gli è estranea. Gli aspetti economici sono molto complessi, anche perché riguardano più regole di tipo fiscale e contabile che non leggi economiche, ma gli effetti sono chiari e facili da capire. La Commissione si sta chiedendo se 30 miliardi di capitale delle banche italiane debbano essere cancellati. Questo avrebbe un effetto moltiplicatore sui crediti. Se assumiamo che le banche italiane tengano il capitale a un livello del 10% dei crediti, 30 miliardi in meno rappresenterebbero 300 miliardi in meno di prestiti all’economia. Qualcuno potrà modificare lo scenario e raffinare il numero, gonfiandolo o restringendolo, ma la dimensione resta enorme rispetto alle cifre di cui si parla nel dibattito italiano: 18 miliardi di tasse in meno (tutte da discutere), o una crescita del PIL dello 0,7% (tutto da sperare). Il mostro dei possibili 300 miliardi di crediti fa impallidire questi numeri, e ne schiaccia anche ogni possibile beneficio che possa derivare dall’annuncio.

Un Capo di stato chiederebbe quindi innanzitutto conto del perché di questa comunicazione in questo momento. Questa scossa tellurica, che rimescola gli scenari futuri, avviene proprio mentre si cerca l’equilibrio dei conti, e una prospettiva di crescita. E’ come se uno ti smuovesse il tavolo proprio quando hai a fatica costruito un meraviglioso castello di carte (mai paragone fu più vero). E il paradosso che non potrebbe inventare neppure Crozza, che pure sui paradossi crea la sua vis comica,  è che quello che ti smuove il tavolo e ti distrugge il castello di carte è anche l’arbitro che poi lo deve valutare. Fuori di metafora, un capo di stato direbbe che se si riaprono i conti sulle banche, si riaprono anche i conti sui vincoli di finanza pubblica, perché gli scenari dell’economia dipendono dai primi quando dai secondi.

Se c’è qualcuno che pensa che si tratti solo di una procedura e di una dichiarazione, e che in fondo gli stessi estensori della Commissione hanno detto che ci vorrà molto tempo, costui non conosce le leggi dell’economia. Il danno è già stato fatto, con la dichiarazione stessa. Mettetevi nei panni di un consigliere di amministrazione di una banca per cui transita una proposta di credito a un’impresa. Ci sarà sempre capitale per sostenere questo credito? In fondo un credito non è un’attività di trading, da cui entri e esci quando vuoi. Perché non aspettare? Perché non privilegiare impegni a più breve termine e più liquidi? Questo chiedereste al vostro comitato crediti. In altri termini, l’impatto naturale di un annuncio di questo tipo è quello di indirizzare le banche verso impieghi a breve termine e magari di tipo finanziario. Le aspettative contano, nell’economia, e conta ancora di più il grado di certezza di tali aspettative. Questo Renzi, che di mestiere crea aspettative, dovrebbe saperlo meglio di ogni altro.

Un capo di stato si irriterebbe del contenuto e dei modi della dichiarazione. Sui modi, la commissione europea può aprire un approfondimento sulle regole che valgono per tutti i paesi dell’unione europea, e non per i soliti quattro. Questo dà l’idea di un intreccio tra regolamentazione e politica, che abbiamo già visto nel corso del “comprehensive assessment” della BCE. Sul contenuto, il tema degli aiuti di stato deve essere sollevato per tutti, in particolare per non mortificare lo sforzo della BCE per un sistema bancario unico europeo: ha ancora senso consentirlo per Commerzbank? E se allarghiamo lo sguardo oltre l’area euro, per quanto ancora dovrà rimanere a controllo pubblico la Royal Bank of Scotland? Ma su questo tema si è già scatenata la stampa italiana, e non c’è motivo di infierire oltre.

Un capo di stato di fronte a un fatto di questo tipo poi si guarderebbe in casa. Visto che Renzi ha la passione degli allenatori, la domanda è: chi dei nostri ha perso la marcatura di questi della Commissione? Temo che la risposta ci porti sempre nello stesso posto: al Ministero dell’Economia, che della diplomazia economica del nostro paese dovrebbe essere responsabile. E la debolezza di questa diplomazia si affianca a quella di lobbismo da parte dell’ABI, l’associazione bancaria italiana, per la quale l’iniziativa della commissione giunge come una “totale sorpresa” (come ha commentato il Direttore Generale, Giovanni Sabatini).

Invece i professori si arrabbiano. Ricordo un caso che illumina come gli aiuti di stato (quelli veri) possano avere effetti distorsivi che non ci immaginiamo. Qualche  anno fa, RBS ha chiuso un contratto derivato con la Regione Siciliana. Il motivo per cui la chiusura fu imposta fu il declassamento del rating della Regione Sicilia. Se i contribuenti di sua maestà non avessero salvato RBS, RBS non avrebbe potuto affrontare i contribuenti siciliani con il coltello dalla parte del manico. In una trattativa estenuante, chi assisteva la Regione Siciliana a un certo punto sbottò: “è inconcepibile che voi, che siete vivi solo grazie al contribuente britannico, veniate a rompere i ‘omissis’ al contribuente siciliano”. E mentre lo diceva, il professore schiumava di rabbia, perché non poteva fare altro. Anche perché la controparte aveva già visitato e avuto il sostegno dal Ministero dell’Economia. Se solo per quel giorno fosse stato un capo di stato…

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