UE
Europa ormai quasi indigesta agli italiani
Si poteva immaginarselo, visto il comportamento di chiusura dell’Eurogruppo, soprattutto quello dei paesi del Nord, nei confronti in particolare degli stati meridionali, ed il loro rifiuto all’utilizzo degli Eurobond per la crisi pandemica. Il disagio degli italiani nei confronti dell’Unione Europea è ben sintetizzato dalle parole di Giuseppe Conte, che in questi giorni tocca un gradimento vicino al 70% di giudizi positivi nei suoi confronti: “Abbiamo bisogno degli Eurobond per non far perdere competitività a tutta l’Europa. È nell’interesse reciproco che l’Europa sia all’altezza della sfida, altrimenti dobbiamo assolutamente abbandonare il sogno europeo e dire che ognuno fa per sé”.
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Ora, ciò che si poteva immaginare viene certificato anche dalle numerose indagini demoscopiche degli ultimi giorni. Gli italiani si fidano sempre meno della UE, della sua capacità di dare risposte unitarie ai problemi dei cittadini comunitari, vale a dire all’Europa come bene condiviso. Se fino a qualche mese fa l’idea di una Ita-exit, sulla falsariga della Brexit anglosassone, veniva condivisa da uno sparuto 20-25% della popolazione italiana (di fatto quasi tutti leghisti, oltre ad un po’ di pentastellati), oggi questa opinione si avvicina pericolosamente alla metà degli elettori.
Se realmente le trattative dovessero giungere ad un risultato negativo, suppongo che la voglia di andarsene supererà infine quella di rimanere all’interno della comunità europea, i cui contorni di reale comunità saranno sempre più flebili. E questo nonostante in questa occasione i problemi economici siano stati causati non da inadempienze di qualche singolo paese, ma da un’emergenza sanitaria di livello mondiale.
Corre parallelamente, e ne fa da corollario, la stessa fiducia nei confronti dell’Euro, e si incrementa decisamente, anche in questo caso, l’opinione che sia alla fine meglio ripensare di tornare alla Lira. Soltanto alla fine dello scorso anno, i favorevoli all’Euro avevano percentuali simili a quelle della permanenza nella UE, oggi appaiono inferiori al 60%, quindici punti in meno rispetto a soli tre mesi fa.
Se a questi segnali aggiungiamo la diffusa percezione che il nostro sistema sanitario, per reggere, dovrà venir implementato con elevate risorse economiche, che forzatamente faranno lievitare ancor più il debito pubblico con il conseguente sforamento dei parametri europei, il desiderio di tornare “liberi” nel nostro paese si farà pensiero comune, condiviso anche oltre i più convinti sovranisti.
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Conseguenze inaspettate di un dramma sanitario: nel momento in cui il desiderio di unità europea, di fronte a problemi comuni, pareva poter diventare prevalente, dando ragione a chi ci pensava come un unico popolo, si evidenziano al contrario tutte le cose che ci vedono separati, ognuno a pensare alla propria condizione personale, alla propria situazione economica, al piccolo staterello di appartenenza. Unità europea, addio.
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