UE
Eccellenze e silenzi: come si muovono le Regioni italiane a Bruxelles
Se tra gli stati membri il livello di competizione è alto, il numero delle regioni che fanno parte dell’Unione, 262 in tutto, potrebbe apparire come un’arena inaffrontabile anche per il lobbista più navigato. Invece, spesso le regioni riescono ad avviare collaborazioni e alleanze che agli stati membri restano precluse. Gli stati sono direttamente coinvolti nel processo legislativo con poteri di voto e talvolta di veto. Le Regioni, invece, per incidere devono far leva su strumenti di soft-power e, visto il ritardo strutturale che viene costantemente riportato dalle ricerche interne all’Unione, alcune hanno capito che la collaborazione può essere la strategia giusta per ottenere risultati.
Questa architettura costringe a cercare forme di collaborazione basate su interessi comuni. La nascita di decine di reti di regioni, sotto forma di associazioni o di gruppi informali, risponde a questa esigenza. Ce ne sono di ogni tipo: sulla formazione e il mercato del lavoro (EARLALL), sulla ricerca e l’innovazione (ERRIN), c’è la rete delle regioni ortofrutticole (AREFLH) e quella del turismo sostenibile (NECSTOUR), sulla medicina innovativa (IMI) e sui trasporti, sulla geotermia e sull’applicazione delle tecnologie aerospaziali (NEREUS). Le regioni italiane partecipano attivamente a queste reti e, in alcuni casi, le guidano. Il compito delle reti è da un lato lo scambio di esperienze, risorse e competenze specifiche. Dall’altro si configurano come gruppi di pressione per accedere a finanziamenti e influenzare la legislazione comunitaria sulle materie trattate. Per lo stesso motivo, le differenze di colore politico delle amministrazioni, così accese in Italia, perdono intensità fino a scomparire. Anche perché i tecnici e i dipendenti, a differenza del personale politico, tendono a collaborare, a scambiarsi esperienze e ad aiutarsi reciprocamente. Ma la politica «rimane importante, anzi fondamentale», spiega un funzionario che da quasi quindici anni lavora a Bruxelles con gli uffici di diverse regioni. «La politica ti dà la direzione e poi la certificazione del tuo lavoro. Se trovi un presidente che crede nell’investimento sull’Europa, motiva tutta la squadra e soprattutto garantisce un peso e un sostegno nei tavoli di discussione che nessun funzionario per quanto bravo riesce a offrire, se non altro perché non ha la forza della rappresentanza politica».
Le 19 regioni e due province autonome italiane sono tutte presenti a Bruxelles. Meglio, erano tutte presenti. Da fine 2017 l’ufficio della Basilicata è chiuso e da fine marzo anche quello della Calabria è sguarnito. L’esperto che reggeva l’ufficio con un contratto esterno ha cambiato lavoro, mentre il concorso per assumere nuovo personale si è arenato. L’affitto dell’ufficio, al terzo piano di Rond Point Schuman, accanto alla Commissione Europea, costa circa 50 mila euro l’anno. Alcune regioni, probabilmente a causa degli scandali del 2011 e 2012 e dopo alcune inchieste giornalistiche, restano molto guardinghe nel fornire informazioni. «Il miglior servizio che si può fare per gli uffici di rappresentanza delle regioni è non parlarne», conferma Davide Donati, responsabile del Piemonte. L’enfasi sui costi rimane un tasto dolente. Tanto che il governatore della Liguria, Toti, nel 2017 ha inaugurato la nuova sede, spacciando per notizia principale l’abbattimento dei costi di affitto, da 200 a 30 mila euro l’anno. Peccato che nessuno abbia trovato il tempo di rispondere alle cinque domande che abbiamo posto e quindi non sappiamo a cosa serva e cosa faccia la rappresentanza della Liguria a Bruxelles. Discorso simile vale per Lazio, Valle d’Aosta, Umbria, Marche, Sardegna, Sicilia e Molise.
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Degli staff fanno parte esperti di affari europei, ma anche personale amministrativo e tecnici. In sostanza, la presenza è ridotta all’osso, ma è un discorso comune alla maggior parte delle regioni europee. Fanno eccezione i laender tedeschi – veri e propri stati – che siedono nel Consiglio dei ministri europeo. Solo la rappresentanza della Baviera, dislocata in una sorta di castello tra il Parlamento e il Comitato delle Regioni, conta diciotto figure apicali che si occupano di politiche europee.
La funzione degli uffici regionali è molto cambiata negli ultimi quindici anni. Da semplice punto informativo, oggi il focus è centrato su posizionamento, lobbying e servizi di supporto a imprese, università e altri enti del territorio.
Un esempio di questi cambiamenti è “Casa Lombardia”, struttura creata nel 2003 in cui trovano spazio Assolombarda, Arpa, Conferenza rettori università lombarde, Consiglio regionale della Lombardia, Euromontana, FederlegnoArredo, Finlombarda, Parco Tecnologico Padano, Politecnico di Milano, Unioncamere Lombardia, Università Cattolica, la Fondazione per la Ricerca biomedica, Ferrovie Nord. Entro la fine del 2018 arriveranno anche ANCI e Conftrasporto. L’operazione Casa Lombardia consente inoltre di abbattere il novanta per cento delle spese di funzionamento della sede con ricavi di 198 mila euro l’anno su costi di circa 220 mila euro.
Tra le attività di base della delegazione lombarda c’è il mantenimento di una corposa rete di relazioni con oltre 5.000 contatti, con organismi comunitari e analoghe rappresentanze delle regioni e degli stati europei. È la rete di relazioni e la spinta della giunta regionale che ha consentito di vincere un bando da 17 milioni di euro per il programma LIFE IP GESTIRE 2020 (nell’ambito del programma LIFE+) per migliorare lo stato di conservazione di habitat e specie delle aree naturali lombarde inserite nella rete Natura 2000.
L’ufficio veneto, guidato dal direttore Marco Paolo Mantile è uno dei più attivi. Da anni ha avviato una collaborazione con l’Università di Padova l’Osservatorio Europeo sugli Aiuti di Stato. Ha implementato un servizio di Helpdesk Europrogettazione che consente di assistere gli uffici regionali e il territorio nei progetti europei e nella ricerca partner. Nel complesso, nel corso del 2017, l’Helpdesk ha fatto pervenire al territorio veneto 85 ricerche partner provenienti da soggetti europei e ha indirizzato verso le Regioni europee 32 ricerche partner di operatori veneti.
Anche la Toscana ha puntato e investito molto sull’ufficio di Bruxelles. Il direttore, Enrico Mayrhofer, ha messo insieme tutte e sette le università della regione, a cominciare dalla Scuola Normale di Pisa, per sviluppare una strategia di smart specialization con l’obiettivo di incentivare progetti di ricerca e intercettare finanziamenti. Sull’energia sta poi creando una rete informale di regioni con lo scopo di rafforzare il settore e definire le priorità di investimento. Ne fanno parte anche Emilia Romagna, Azzorre, Scozia, Nord Holland, Ile de France, una regione finlandese e la Lombardia, che non ha siti geotermici, ma produce le trivelle per le escavazioni e quindi è molto interessata a partecipare a questi lavori. Ma il vero asset della Toscana è l’agricoltura. Da un lato coordina la rete ERIAFF con 74 regioni sull’innovazione in agricoltura, dall’altro lavora sui programmi per lo sviluppo dell’agricoltura di precisione.
La Puglia, con il direttore Paolo Casalino, ha puntato invece sulle tecnologie aerospaziali, sulla formazione del personale regionale e sulle connessioni tra le università pugliesi e quelle europee. Dal 2014 guida la rete NEREUS delle regioni che utilizzano tecnologie spaziali. Tutto nasce dal distretto pugliese dell’aerospazio e la rete promuove l’utilizzo di queste tecnologie in svariati campi di applicazione dall’agricoltura di precisione al monitoraggio ambientale, dalla navigazione alle telecomunicazioni, dalla mappatura del territorio alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale.
Chi non si fa mancare nulla è l’Emilia Romagna, capace di spaziare dall’agricoltura alla meccatronica. L’ufficio è guidato dalla direttrice Lorenza Badiello impegnata nel promuovere e collegare imprese e università. Il progetto su cui lavorano in questi mesi si chiama MUNER e punta a indirizzare i fondi europei per l’innovazione nei campi dell’edilizia, della meccanica, dell’agrifood, delle industrie della salute e in quelle creative e culturali. L’Emilia fa parte della rete Vanguarde con cui 32 regioni europee cercano di modificare l’approccio della programmazione europea per lo sfruttamento delle rispettive specializzazioni innovative a sostegno del rinnovamento del tessuto industriale e della crescita economica.
Un caso di singolare è quello delle due Province Autonome, Trento e Bolzano. Dal 1995, insieme al Tirolo austriaco hanno costituito un ufficio comune, Alpeuregio pensato come piattaforma per rappresentare gli interessi degli stakeholder dei tre territori presso le istituzioni europee e vice versa.
Anche il Piemonte ha tentato un’operazione simile con le regioni francesi del Rhone Alpes e della PACA. La regione, che ha acquistato la sede, affitta alcuni locali alla regione Liguria e altri a servizi commerciali – un wine bar e ristorante con sala convegni ed esposizioni. Spazi da cui ha ricavato nel 2017 oltre 107 mila euro di canoni. Il responsabile è Davide Donati, direttore del settore affari istituzionali ed europei: «L’ufficio non raggiunge obiettivi propri», scrive Donati, «ma contribuisce al raggiungimento degli obiettivi politici e amministrativi della Regione».
L’Abruzzo lavora su un’informazione puntuale sia sui bandi diretti sia sull’agenda Europea e sulla formazione del personale e di stagisti. Molta informazione la produce pure la Campania che dedica molte risorse nell’organizzazione di eventi di divulgazione e nella formazione dei dipendenti regionali nell’europrogettazione.
Il Friuli Venezia Giulia, nonostante uno staff di sole tre persone sulle cinque in organico, di cui una è la coordinatrice Raffaella Viviani, alimenta il lavoro di otto reti regionali e ha ben presente la necessità di fare lobbying in collaborazione con gli europarlamentari regionali e con conterranei presenti nelle istituzioni europee di cui aggiorna un database. Uno dei dossier più interessanti seguiti dall’ufficio di Bruxelles è stato quello sulla Cina in occasione di una missione regionale del 2017. Trieste e il suo porto saranno uno dei punti di arrivo in Europa della nuova via della seta e il risultato è frutto anche del lavoro preparatorio svolto dall’ufficio nella capitale europea. A Bruxelles infatti hanno sede non solo le rappresentanze diplomatiche dei Paesi Terzi ma spesso, come nel caso della Cina, anche centri culturali, associazioni di promozione della cooperazione, think tank, soggetti dediti all’approfondimento di ambiti specifici. L’Ufficio di collegamento mantiene i contatti con questi soggetti che spesso fungono da facilitatori nella riuscita delle missioni. La sede è di proprietà e i costi di gestione sono in parte coperti dai ricavi degli affitti dei locali alla Carinzia (euro 49.713,00) e al Cantone di Sarajevo (euro 10.010,00).
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