UE
E se le dimissioni di Cameron funzionassero da monito per i leader europei?
Le ragioni economiche nella storia dell’Unione Europea hanno sempre prevalso su quelle politiche e sociali. A partire dalla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, passando per il mercato unico e l’Euro.
La cittadinanza Europea resta una chimera, un’ utopia su cui si è investito sempre troppo poco. Le politiche d’integrazione mirate a rafforzare il senso di appartenenza all’Unione appaiono oggi troppo deboli. Cosa ha significato in questi anni essere cittadini europei nella vita di tutti i giorni? Il senso di appartenenza non può essere l’obiettivo ma il risultato di politiche efficaci, prima di tutto sociali e poi economiche.
Va bene investire sui giovani, va bene puntare sulla formazione, ma queste sono politiche i cui effetti, forse, saranno visibili solo nel lungo periodo. Oggi, dopo la vittoria del leave nel referendum britannico, l’Europa si sveglia spaesata con un forte hangover post festa Erasmus.
Tornano a galla tutti i problemi e tutte le lacune dell’Unione che periodicamente ci si trova ad affrontare, senza mai andare oltre la speculazione intellettuale e senza mai adottare misure effettive. Come in tutti i momenti di crisi, ogni decisione adottata dai governi nazionali indebolisce l’Europa per rafforzare il potere dei singoli Stati, come in un gioco a somma zero, dove il vantaggio di un singolo va a scapito degli altri “giocatori”.
L’Europa paga oggi l’assenza di una vera politica comune, l’aver lasciato spazio alle forze centrifughe all’interno dell’Unione, il non aver saputo rispondere alla crisi economica con misure che andassero oltre le leve della politica monetaria, unico strumento effettivo di cui dispone.
Oggi è facile prendersela con l’Europa, un capro espiatorio utile ai governi per deresponsabilizzarsi quando le cose vanno male. Facile dire che è colpa dell’Europa, facile mostrarsi europeisti a giorni alterni, facile chiudere le frontiere, facile raccattare consensi parlando alla pancia dei cittadini, pensando che la testa sia messa lì solo per dividere le orecchie.
Il contrappasso di Cameron è che oggi paga l’aver vinto le elezioni strizzando l’occhio agli anti europeisti, promettendo un referendum che ha finito per essere la sua Waterloo, ma i panni del Duca di Wellington li veste Farage, mentre al quasi ex inquilino del 10 di Downing Street non resta che il ruolo dello sconfitto Napoleone.
Cosa possono imparare i leader europei moderati dalla debacle di Cameron? Il malcontento dei cittadini va ascoltato e capito. Non va ignorato, ne tantomeno cavalcato. Questo è un compito da lasciare ai Farage, ai Le Pen, ai Salvini e ai Grillo.
Se vogliamo uscire da questo gioco a somma zero è necessaria una cooperazione efficace che possa fornire risposte vere, a livello nazionale prima, ed europeo poi. Bisogna dare ai cittadini una prospettiva concreta di dove vuole andare l’Unione e di cosa può significare essere cittadini Europei nella vita di tutti i giorni, non solo a livello economico ma soprattutto politico e sociale.
La sfida è dura e difficile, ma se i leader degli Stati membri avranno il coraggio di affrontarla, potrebbero stupirsi nello scoprire che i cittadini hanno una testa per pensare.
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