UE
E se la Merkel stesse pensando di fare “ciaone” all’Eurozona?
“Se l’Italia ritiene che l’euro sia un ostacolo alla sua crescita, sembra preferibile che il Paese lasci l’euro.”
Non sono parole di Salvini e nemmeno di Di Battista ma di un europeista convinto: Clemens Fuest, presidente dell’Istituto Ifo di Monaco, uno dei super economisti vicinissimi al governo della Merkel e alla Commissione Europea dei falchi dell’austerity. Fuest, in un’intervista di qualche settimana fa al Corriere della Sera, ha ufficialmente sdoganato il dibattito pubblico sulla possibilità di uscire dalla moneta unica.
In molti si saranno accorti che oggi più che mai l’euro è al centro della discussione politica europea e sembra che adesso la possibilità di rompere l’eurozona non sia più tabù come fino a poco tempo fa.
Recentemente Romano Prodi, altro grande padre dell’unione monetaria, ha avanzato la possibilità di un clamoroso quanto suggestivo piano segreto della Germania per uscire dall’euro, provocando un’eco mediatica notevole, tanto da richiedere l’intervento di mister euro in persona, il governatore della BCE Mario Draghi.
Il capo dell’Eurotower ha spiegato a inizio gennaio che i costi dell’uscita dall’euro per l’Italia sarebbero molto alti: si parla di 360–380 miliardi di euro. Ma da cosa dipendono questi costi? E soprattutto, perché la Germania dovrebbe pensare di abbandonare la moneta unica nonostante sia il Paese che in questi anni ne ha beneficiato di più?
Per quanto concerne i costi dell’uscita dall’eurozona, la situazione è molto lineare. In pochi sanno che il cosiddetto Quantitative Easing messo in atto da Draghi e prorogato fino a dicembre 2017, prevede che la BCE acquisti ingenti quantità di titoli di Stato dei paesi in difficoltà, in particolare il nostro. Tuttavia, tecnicamente, non è direttamente la BCE ad acquistarli, bensì la Banca d’Italia per conto della BCE. Ovviamente in caso di uscita dell’Italia dall’Euro, Draghi chiederebbe indietro quei soldi prestati, identificati dall’indice economico target 2. Secondo l’economista Marcello Minenna, docente associato alla Bocconi e responsabile dell’ufficio Analisi Quantitative e Innovazione Finanziaria presso la CONSOB, questo meccanismo sarebbe servito per vendere, di fatto, garanzie da parte della Banca d’Italia contro l’uscita dalla moneta unica, cosa recentemente ammessa dallo stesso Draghi.
Ma vediamo di rispondere invece alla seconda domanda che ci siamo posti: perchè la Germania dovrebbe pensare di tornare al Marco?
Sempre secondo le parole di Fuest al Corriere, la Germania non si fiderebbe più dell’economia stagnante dell’Italia ma soprattutto dei bruschi stop alle riforme avvenuti dopo il referendum del 4 dicembre e le conseguenti dimissioni di Matteo Renzi, per non parlare della crisi profonda delle banche.
La Merkel è sempre più convinta che l’economia italiana non sia più un peso sostenibile. Economia che, da quando è entrato in vigore l’euro, è diminuita di un quarto perdendo il trenta per cento della produzione industriale. La BCE dal canto suo ignora le denunce tedesche e continua a comprare titoli di stato italiani ma nel frattempo il nostro Paese non cresce e il debito pubblico aumenta.
Le esportazioni sono minori delle importazioni, un problema per un Paese principalmente esportatore come il nostro; mentre l’export tedesco è in continuo aumento rispetto all’import, di più del 6 per cento secondo gli esperti, in violazione delle norme europee che prevederebbero sanzioni per i paesi che esportano troppo fuori dall’Europa, proprio quello che fa la Germania.
A questo punto quale sarebbe concretamente il piano della Merkel? Secondo molti economisti la Germania si farebbe capofila di un nuovo super Euro che tenga unite solo le economie dei paesi in surplus, cioè quelli del Nord Europa, alfieri dell’austerity. E i paesi permanentemente in deficit, cioè i paesi mediterranei? Beh a loro tanti saluti e un in bocca al lupo per tutto.
Lo scenario sarebbe a questo punto più che apocalittico: Francia, Spagna, Italia, Grecia e Portogallo che hanno seguito fino adesso alla lettera le ricette europee (a dir la verità la Francia meno delle altre), che hanno inseguito il sogno di “guadagnare di più lavorando di meno” per dirla con Prodi, ma che adesso potrebbero essere sedotte e abbandonate.
C’è da dire che non si tratterebbe comunque di un piano rapido perché di certo tutto sarebbe rimandato a dopo le elezioni tedesche del prossimo autunno in cui la Merkel, per la prima volta da tanto tempo, si troverà a fare battaglia vera proprio, guarda un po’, contro i no-euro tedeschi: Alternative fur Deutschland di Frauke Petry.
L’audio completo per Europhonica:
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