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«Debito illegale»: le conclusioni della Commissione per la verità sul debito

8 Luglio 2015

Non c’è nulla da fare, pare che tutto il mondo sia inevitabilmente legato e avviluppato attorno al destino della Grecia, alla sorte del suo popolo, alle mosse del suo governo e soprattutto alla questione del suo debito pubblico.

Il governo di Alexis Tsipras dopo la vittoria dell’OXI al referendum si vede inevitabilmente deciso nell’intento di ridiscutere la questione del debito su parametri diversi, che comprendano iniziative atte a rilanciare il tessuto sociale e produttivo per permettere al paese di crescere, e quindi di stabilizzarsi. Al momento le trattative sono in stallo, e pare che ci sia una certa rigidità da entrambe le parti. Rimbalzano voci su presunte reazioni negative dei mercati asiatici, e questo anche agli occhi di un profano dell’economia come il sottoscritto dà l’immagine di un sistema finanziario che si appresta ad una serie di smottamenti degni della tettonica a placche.

Su queste pagine avevamo già accennato alla questione dei BRICS, e avevamo già discusso sul  percorso “borderline” del debito pubblico greco, intanto i giorni si riempiono di analisi contrastanti, giudizi scaglianti, diatribe, visioni storiche, parallelismi filosofici, memorie corte, lingue lunghe, talk show televisivi, approfondimenti e reportage giornalistici con citazioni di economisti, esperti, facce fresche, santoni mummificati, e quant’altro.

In Grecia ogni giorno si ripete la stessa cosa: Ethnos, Kathimerini, Imerissia e altri danzano ogni giorno tra i tornanti della vicenda, con il vantaggio rispetto agli altri di essere direttamente a contatto con la realtà -evitando ad esempio la stucchevole e fantasiosa retorica dei pensionati in coda ai bancomat – ma con la certezza di partecipare comunque allo stesso vortice di disinformazione che rimbalza un po’ ovunque nell’eurozona. Basti pensare che ieri Ethnos riportava la notizia (non confermata) dei 7 miliardi di aiuti chiesti all’Europa da Tsipras (Ansa). Questo può condurre a far riflettere su un contesto in cui quotidiani greci riportano notizie sulla Grecia da agenzie di stampa italiane che a loro volta riportano fonti europee: un processo inverso, malsano.

Fortunatamente in Grecia come dappertutto esistono realtà più professionali. Lo scorso 4 aprile il parlamento ellenico ha istituito una speciale commissione chiamata Commissione per la verità sul debito pubblico, con lo scopo di “sensibilizzare la popolazione – sia a livello nazionale che internazionale – in merito alle problematiche relative al debito greco, e di formulare argomenti e opzioni relativi alla cancellazione del debito.”

Il progetto è nato per iniziativa dell’avvocatessa Zoi Konstantopoulou, 39 anni, presidente del parlamento e membro di Syriza, che si è avvalsa della collaborazione del professor Eric Toussaint, storico e analista politico già portavoce del Comitato per la cancellazione del debito del Terzo Mondo e di quella della europarlamentare Sofia Sakorafa, ex atleta olimpica nel lancio del giavellotto.

A proposito di giavellotti -ne volano parecchi e contundenti, di questi tempi-, particolarmente efficace quello lanciato pochi giorni fa dallo stesso professor Toussaint:

«All’inizio del 2010 -dichiara in un’intervista rilasciata a Joshua Massarenti di Vita- la Grecia è stata vittima di attacchi speculativi dei mercati finanziari atti ad imporre tassi di interesse assolutamente spropositati in cambio di finanziamenti per ripagare il debito greco. La Grecia era sul punto di interrompere i pagamenti perché incapace di rifinanziare il debito a tassi ragionevoli. La Troika è intervenuta con un piano di aggiustamento strutturale sotto forma di  “Memorandum”.

Si trattava di concedere nuovi crediti alla Grecia a condizione che saldasse i conti con i propri creditori. Ora, questi creditori erano soprattutto banche private europee, in ordine di importanza francesi, tedesche, italiane, belghe…

Questi crediti erano ovviamente accompagnati da misure di austerità che hanno avuto effetti catastrofici sulla vita dei greci e sulle attività economiche del paese. Nel 2012, la Troika ha organizzato una ristrutturazione del debito greco soltanto sulla parte contratta con creditori privati, e cioè da un lato banche private degli Stati dell’Unione Europea che si erano fortemente disimpegnate rispetto alla Grecia ma che conservavano ancora crediti nei confronti del paese, e dall’altro altri tipi di creditori come i fondi pensione dei lavoratori greci. Questa ristrutturazione comportava una riduzione del debito greco di circa 50-60% nei confronti dei creditori privati.

La stessa Troika aveva concesso prestiti alla Grecia dal 2010 e si era rifiutata di ridurre i crediti di cui era in possesso. L’operazione è stata presentata come un grande successo dai principali media, dai governi occidentali, dallo stesso governo greco, dalla Commissione europea e dal FMI. Si è voluto far credere all’opinione pubblica internazionale, e ai greci, che i creditori privati avevano compiuto sforzi immensi tenendo conto della situazione drammatica in cui la Grecia si era ritrovata. Ma la verità è un’altra. Questa operazione non è andata in nessun modo a beneficio del paese in generale, e ancora meno della sua popolazione.

Dopo un calo momentaneo del debito nel corso del 2012 e all’inizio del 2013, il debito greco è di nuovo aumentato, sorpassando il livello raggiunto nel 2010-2011. Le condizioni imposte dalla Troika hanno provocato un crollo drammatico delle attività economiche in Grecia e il PIL è sceso del 25% tra il 2010 e il 2014. Inoltre, le condizioni di vita della popolazione hanno subito un impatto fortemente negativo. Si sono registrate violazioni crescenti dei diritti economici e sociali e dei diritti collettivi, precarietà del sistema pensionistico, una drastica riduzione dei servizi nella sanità pubblica e nel sistema educativo, un crollo del potere di acquisto… »

Se questa è la visione di un analista esterno che da pochi mesi -circa quattro- sta partecipando attivamente a una commissione d’inchiesta parlamentare, è legittimo pensare quale sia stata la direzione presa dopo aver analizzato i dati a disposizione. Per carità, il lavoro è molto lungo e siamo ancora lontani dalla chiusura del fascicolo, tuttavia già la relazione preliminare -che trovate qui in versione integrale- redatta dopo una serie di sedute pubbliche e private sotto la supervisione del coordinatore scientifico e dei numerosi ricercatori e membri del comitato, sembra confermare una mappatura problematica generale nelle operazioni che hanno generato e alimentato il debito pubblico in Grecia:

In primo luogo si analizza l’evoluzione del debito pubblico precedente alla Troika, a partire dal 1980. Molto spesso si dice che la Grecia avesse una situazione già compromessa, in realtà l’analisi si conclude con la constatazione che l’aumento del debito non fu dovuto -come dicono molti- dall’eccessiva spesa pubblica ma dal peso cospicuo dei tassi d’interesse molto elevati uniti agli ingenti investimenti militarileggasi scandalo Siemens, Daimler e affini – a trasferimenti illeciti di capitali all’estero, alla ricapitalizzazione delle banche private da parte dello Statoleggasi scandalo Proton Bank– e a una più generale destabilizzazione della zona euro con conseguenti inefficienze di gestione.

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Si evince poi come nel 2009 il governo di George Papandreou abbia contribuito a presentare una sostanziale crisi bancaria come una crisi del debito sovrano, concetto più volte espresso da Varoufakis e ripetuto da Tsipras poche ore fa: il primo prestito europeo d’emergenza del 2010 era destinato a salvare banche private. D’altronde è risaputo che la stessa famiglia Papandreou fosse titolare di conti svizzeri, coinvolta anche nel recente scandalo Falciani, in merito ai correntisti HSBC

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Andando oltre, si analizza il sistema debitorio greco e le procedure messe a punto per la supposta salvezza, a partire dal maggio del 2010. Queste procedure solitamente creano una notevole quantità di nuovi debiti paralleli, come spiega Toussaint:

«Secondo i termini definiti dal Fondo Monetario internazionale e il Club di Parigi, una ristrutturazione di debito sovrano implica nella stragrande maggioranza dei casi uno scambio tra debiti e nuovi debiti o, in misura minore, liquidità. In genere, la ristrutturazione del debito passa attraverso negoziati tra paesi debitori e varie categorie di creditori. Questa ristrutturazione avviene sotto due forme principali: uno scaglionamento del debito che predeve un calo dei tassi di interesse per diminuire il servizio del debito oppure attraverso un’estensione del calendario dei rimborsi. Questa opzione può essere combinata a una riduzione del debito, ovvero una diminuzione di stock del debito attraverso l’abbandono dei crediti dovuti. Le ristrutturazioni di debiti sovrani avvengono in situazioni di crisi per rispondere a un default o al rischio di un default di pagamento da parte del paese debitore. Quando il Club di Parigi, l’FMI oppure la Troika intervengono per ristrutturare un debito, lo fanno con lo scopo di ristabilire la solvibilità di un paese debitore rendendo il debito sostenibile sul piano dei pagamenti. Molto spesso, in cambio di una ristrutturazione, i creditori impongono sanzioni che sono contrarie agli interessi del paese indebitato e soprattutto del suo popolo.»

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Insomma, pare proprio legittimo pensare che, salvo smentite, il Re abbia cominciato a perdere le vesti.

L’analisi preliminare della Commissione non si ferma però alla denuncia formale ed economica, spostandosi sull’impatto sociale che le misure di austerity e i cosiddetti piani di salvataggio hanno avuto sulla Grecia. Nell’ultima parte del resoconto è chiaro come le condizioni imposte dai creditori, oltre a comportare uno stagnamento del debito nella pseudo-realtà economica abbiano di fatto comportato l’inizio di una gravissima crisi umanitaria violando si fatto diritti umani che ogni stato dovrebbe rispettare, previsti anche nell’ordinamento europeo. A conti fatti le direttive imposte dalla Troika hanno influito su un rapido peggioramento delle condizioni di vita dei cittadini, rimanendo così del tutto incompatibili con tutta quella fondamentale area che include giustizia sociale, coesione sociale e diritti umani. Nel rapporto si esaminano le violazioni in materia di diritto al lavoro, di educazione, di sicurezza sociale, di assistenza sanitaria, di manifestazione di espressione -si denunciano infatti le varie cariche delle forze dell’ordine ai tempi delle grandi proteste del 2011, aggravate dalle numerose azioni violente di Alba Dorata-, di protezione delle minoranze -giovani sotto i 25 anni esclusi dal mondo produttivo, migranti individuati come responsabili- e di molte altre correlazioni che hanno contribuito a portare la società greca sull’orlo del baratro.

Inquietante tra l’altro come molti di questi problemi -fortunatamente per noi non a questo stadio, o meglio non ancora- siano simili a quelli che spesso siamo abituati a notare dalle nostre parti. Per intenderci, se non avessimo inzuppato mezza gamba nella stessa melma che ha sommerso la Grecia, saremmo forse qui a chiederci quanto siano esagerati questi dati, e forse ce lo chiediamo comunque, proprio perché da queste parti manca l’esatta misura di ciò che è accaduto. Il periodo “lacrime & sangue” del governo Monti pare essersi volatilizzato nel tempo e nella memoria, basterebbe soltanto ritornare con la mente a quei tempi per poter capire cosa possa essere successo in Grecia.

Si affronta anche il tema della sovranità nazionale, e dei Memorandum europei che avrebbero di fatto scavalcato la Costituzione della Grecia, togliendole la maggior parte dei suoi diritti sovrani, ripristinati parzialmente dal referendum del 5 luglio: è infatti qui da cogliere il senso più nobile di quella iniziativa, presentata criminosamente come un semplice e screditante “Euro sì/Euro no”.

Dall’analisi che riguarda il Capitolo 7 della relazione, si hanno le seguenti conclusioni:

– Delegare, ossia imporre azioni al Ministro delle Finanze di un paese sovrano è incostituzionale;

– Gli accordi formulati dai creditori per i prestiti sono incostituzionali;

– C’è stata una violazione della procedura di ratifica secondo le norme della Costituzione greca: è stato infatti deciso di applicare il diritto inglese operando su uno stato fuori dai confini britannici, questo appunto per arginare ostacoli legislativi e rendere più fluide le manovre.

 

Se quindi si mescolano sapientemente malafede, irragionevolezza e violazione di diritti umani, resta evidente capire come sia difficile biasimare le conclusioni del fascicolo preliminare d’inchiesta secondo cui “il debito greco è illegale, inaccettabile e non sostenibile, e offre una legittimazione economica, giuridica e politica alla richiesta di sospendere i pagamenti e cancellare il debito”, come scrive Panagiotis Sotiris su unfollow.com.gr.

Emergono dunque più aspetti da questo rapporto preliminare, ora restano le conseguenze politiche che questi resoconti potranno generare nell’estenuante percorso verso la cancellazione del debito, o verso la sua ristrutturazione. Principalmente ciò che si può intuire è come in un rapporto tra creditori e debitori un elemento fondamentale sia costituito dall’approccio del creditore stesso. Questo può forse spiegare perché l’Italia non sia al punto della Grecia nonostante abbia tutti i numeri per poter teoricamente vivere una situazione simile. La situazione del debitore dipende anche dall’accanimento del creditore. E no, non sempre i creditori si sono mostrati così rigidi. C’è l’esempio della Polonia del 1991 che si vide ridurre del 50% il debito, ma c’è un precedente ancor più chiarificatore. Dispiace sempre tornare alla conferenza del 1953 in cui fu discusso il debito tedesco, ma è l’esempio più calzante per descrivere come si possano attuare condizioni favorevoli per far fronte a una situazione di emergenza: come dice Toussaint,

«la Germania poteva rimborsare la maggior parte del proprio debito con la propria moneta. Ora, all’epoca il deutschmark non aveva pressoché nessun valore a livello internazionale. Questa moneta non era né una moneta di riserva, né una moneta forte. E la Germania ha saputo sfruttare al meglio l’opportunità che le è stata concessa. E’ un fenomeno più unico che raro perché di solito i creditori non accettano che un paese rimborsi i suoi debiti con una moneta debole. In genere, pretendono rimborsi in dollari, euro, pound oppurre yen, tutte monete forti. Secondo, i creditori si sono impegnati ad acquistare prodotti tedeschi per consentire all’economia del Paese di trovare sbocchi di mercato importanti, accumulare valute straniere ed equilibrare la sua bilancia dei pagamenti. Inoltre, i creditori avevano accettato il fatto che i tribunali tedeschi fossero competenti in caso di litigio con la Germania. Infine, il servizio del debito non superava il 5% dei guadagni ottenuti dal paese con le esportazioni. Lo stesso discorso vale per il tasso d’interesse del debito, anche lì la soglia era stata fissata al 5% e in alcune circostanze poteva essere rivista al ribasso. Tutte queste condizioni hanno consentito alla Germania di ricostruirsi molto rapidamente. E’ molto importante sottolineare che l’accordo di Londra riguardava soltanto la Germania dell’Ovest. E se i creditori le hanno concesso così tanto, è perché in un contesto di guerra fredda volevano assolutamente stabilizzarla di fronte alla Germania dell’Est e al blocco sovietico. Oggi la Grecia, la Spagna, il Portogallo o Cipro non possono beneficiare dello stesso trattamento di favore. Non ci sono le condizioni. Colpa della composizione e dell’orientamento delle istanze europee, dei governi dei paesi più forti dell’UE, della dirigenza del FMI e del contesto storico attuale».

 

 

 

 

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