UE
Brexit, voice and loyalty
A una settimana dal voto su Brexit, la gran parte delle analisi si concentra sulle conseguenze della “sorprendente” scelta dei britannici di dire addio all’Unione Europea; ben più raro è trovare chi si occupi delle cause, malgrado proprio il comprenderle sia la strada migliore per evitare che la “sorpresa” si ripeta nel futuro in altri Paesi.
Le spiegazioni abbozzate “a caldo” sull’esito del referendum voluto da Cameron sono state in gran parte superficiali e “contingenti”: si sono stigmatizzati i vecchi inglesi reazionari e nostalgici dell’Impero, contrapponendoli ai giovani cosmopoliti che hanno votato “Remain” (solo in pochi, in realtà: la stragrande maggioranza ha scelto l’astensione). Da destra si sono lodate la riaffermazione della sovranità nazionale e la reazione all’immigrazione; da sinistra si è invece puntato il dito contro l’austerità (tesi piuttosto forzata, visto che il Regno Unito non è nell’eurozona e quindi non deve sottostare ai relativi vincoli di finanza pubblica).
Queste analisi, giuste o sbagliate che siano, si fermano alla superficie del fenomeno, cioè individuano il “fattore scatenante” che ha fatto propendere tanti cittadini britannici per l’opzione “Leave”. Ma, ai miei occhi, è molto più interessante provare a capire che cosa può avere spinto a ciò la maggioranza di loro (tra l’altro con un’affluenza di tutto rispetto), formulando un’ipotesi generale su cosa può indurre un popolo, per varie ragioni insoddisfatto e risentito contro le istituzioni europee, a decidere di andarsene sbattendo la porta. Da qui si può tentare di escogitare una strategia di prevenzione di altre “uscite” future, stante che la “strategia del terrore” (abbondantemente utilizzata dal governo inglese e dall’establishment economico) non ha funzionato.
In un suo famoso scritto (“Exit, voice and loyalty“), l’economista Hirschman teorizzò che, di fronte al deterioramento dell’offerta da parte di un ente (ad esempio quella di un prodotto da parte di un’azienda, il funzionamento di un partito o addirittura di uno Stato) gli utenti (clienti, iscritti, cittadini) hanno tre possibilità.
La prima, “exit” (“defezione”), consiste nell’andarsene: questa è la scelta normale in una situazione “di mercato”, nella quale cioè sono disponibili più alternative. L’abbandono da parte degli utenti indurrà l’ente a migliorare la qualità della propria offerta, o ne causerà la sostituzione con un nuovo attore più capace: “exit” è quindi la risposta più efficace in questa situazione.
La seconda, “voice”, consiste invece nella “protesta”: i consumatori si lamentano, gli iscritti chiedono un cambiamento ai vertici del partito, gli elettori votano contro il governo. Questo è il comportamento più probabile quando, per un qualsiasi insieme di ragioni, l'”exit” risulta difficile o impraticabile; così come, all’opposto, l'”exit” diventa più probabile quando la “voice”, la protesta, si rivela inutile o impossibile.
La terza opzione, “loyalty” (“lealtà”), significa infine l’accettazione dell’esistente, il rifiuto di andarsene motivato dalla “fedeltà”: essa riduce la probabilità di una futura “exit” e accresce quella di “voice”, cioè rende più appetibile provare a ottenere un cambiamento piuttosto che “fare fagotto”.
In base a questa analisi, l’uscita del Regno Unito dall’UE (“Brexit”) è stata favorita dalla mancanza di “loyalty” (cioè dallo scarso senso di appartenenza dei cittadini britannici all’Europa) e dall’impossibilità dell’opzione “voice”, cioè di far sentire le proprie obiezioni ai vertici delle istituzioni comunitarie (ad esempio sul tema cruciale dell’immigrazione); il rimedio in grado di prevenire ulteriori “exit” consiste allora immediatamente nell’accrescere il senso di un destino comune tra i popoli del Continente e nel “democratizzare” l’Unione, in modo che i problemi e le difficoltà dei suoi cittadini possano prevalere sulle preoccupazioni finanziarie e sugli egoismi nazionali.
L’UE può insomma salvarsi solo se cessa di essere una palazzina abitata da condòmini litigiosi e inizia a somigliare un po’ di più a una famiglia, alla quale si “sente” di appartenere e nella quale si viene ascoltati e aiutati. Per riuscirci, non sarebbe male ricominciare da dove il cammino si è interrotto: l’elaborazione di una Costituzione Europea che ci permetta di condividere i valori fondamentali del nostro essere europei e di rinnovare le nostre istituzioni comuni, per renderle più vicine e attente a noi cittadini.
Può sembrare utopia; ma, se non si imbocca questa strada, l’utopia sarà sperare che l’Unione non si disgreghi, forse anche in un tempo molto breve
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