UE

Brexit tra vecchio e nuovo

27 Giugno 2016

L’ampiezza e la profondità dei commenti seguiti alla decisione popolare referendaria testimoniano della grande capacità d’impatto del referendum medesimo su un arco di decisioni e di comportamenti conseguenti non solo in Gran Bretagna e non solo sulle borse (europee o extra-europee). Una vera e propria “alluvione” di commenti a testimonianza del fatto che la decisione dello scorso 23 giugno ha già prodotto non solo i prevedibili effetti “tellurici” finanziari e, quindi, deve essere valutata in un contesto molto ampio e non solo economico-finanziario.

Pur senza alcuna pretesa di completezza, appare pertanto necessario individuare i profili essenziali di questo “terremoto” al fine non solo di cercare di comprendere le molteplici ragioni della Brexit, ma anche e soprattutto di individuare le linee di fondo alla stregua delle quali finiranno con l’essere giudicate le reazioni italiane, europee e intercontinentali alle quali assisteremo a partire da lunedì prossimo.

Quattro appaiono ad una prima (anche se non sommaria) lettura:

  • la globalizzazione rea Commonwealth ed Europa;
  • il rapporto tra Inghilterra e Gran Bretagna;
  • la questione generazionale tra vecchi e giovani;
  • il rapporto tra popolo ed establishment.

Si tratta di quattro dimensioni di un referendum che non può essere compreso del tutto soltanto alla luce di uno dei fattori essenziali delle decisione referendaria, sebbene tutti appaiano presenti nelle molteplici valutazioni apparse sino ad ora a commento della decisione medesima.

La prima questione appare per un verso lontana dai nostri occhi e per altro verso essenziale per le comprensione del voto. Con il termine “Commonwealth” si tocca un aspetto essenziale della identità britannica. Mutevole infatti nel tempo (almeno da Cromwell in poi) l’identità britannica si è costantemente richiamata proprio alla naturale  estensione dell’Inghilterra al di là dei propri confini insulari originari, conservando comunque una dimensione tendenzialmente globalizzante dell’identità medesima.Sia che si tratti del carattere imperiale del Commonwealth cromwelliano originario; sia che si tratti di quello coloniale dei secoli successivi; sia infine che si tratti del cosiddetto Commonwealth delle Nazioni dei tempi più recenti, siamo sempre in presenza della naturale apertura dell’orizzonte originario alla dimensione  per così dire meta insulare dell’identità inglese/britannica. L’equilibrio tra Commonwealth e Europa, pertanto, tende verso il primo perché consolidato da più secoli laddove la seconda appare o un processo ancora in via di costruzione o persino un antagonista del primo. Chi dunque vuol richiamarsi quasi esclusivamente al passato n on ha bisogno di essere o apparire anti-europeo perché basta richiamarsi al Commonwealth anche per apparire nuovo: nella parola Commonwealth, infatti, vi è una sorta di equilibrio tra vecchio e nuovo che la parola europa non riesce ancora oggi ad esprimere.

Nel voto referendario, dunque, questo equilibrio andava trovato più sul piano culturale che su quello prevalentemente emotivo come invece è avvenuto.

La seconda questione è anche essa produttrice di un equilibrio. Si tratta in questo caso più di un equilibrio storico-istituzionale che identitario-emotivo. All’originaria Inghilterra, infatti, si sono aggiunte nel tempo la Scozia e l’Irlanda del Nord, con la questione di Gibilterra a complicare ancor più le cose. Il passaggio dall’Inghilterra alla Gran Bretagna, infatti, ha avuto momenti e fatti molto diversi tra di loro ma complessivamente tali da far comprendere che la dimensione europea finiva con diventare decisiva nel voto referendario, come dimostrano abbondantemente i dati elettorali che hanno visto il prevalere della scelta europeistica in modo massiccio in tutte e tre  queste aree. E non sorprende pertanto che (anche se in modi diversi) il risultato finale del referendum apre complesse questioni istituzionali in ciascuna di queste aree.

Da questo punto di vista, pertanto, è come se l’Inghilterra mostri una prevalenza per la parte originaria della Gran Bretagna, con conseguenze molto rilevanti sia sul processo di separazione dall’Europa sia sulla gestione per così dire domestica del referendum stesso.

Quanto al terzo punto ( la questione generazionale) molto spazio viene dato. al fatto che la generazione degli infraquarantacinquenni ha votato in senso filo europeo a differenza dei più anziani che hanno fatto prevalere il voto  per così dire pro-Brexit. Occorre a tal riguardo aver presente che quarant’anni fa (per la precisione nel 1975) la Gran Bretagna votò a favore del processo di integrazione europeo.

Fu decisivo il fatto del sostanziale fallimento della prospettiva dell’Efta rispetto alla prospettiva dell’allora Mercato comune europeo? Fu decisiva la Guerra Fredda che all’epoca vedeva il Patto di Varsavia contrastare la Comunità europea nel contesto Nato del quale la Gran Bretagna faceva parte fin dall’inizio? Fu decisiva la percezione che il quasi neonato Commonwealth delle Nazioni non avesse né il sapore del vecchio Commonwealth coloniale dell’ottocento rispetto ad un’Europa che sembrava destinata a grandi prospettive anche politiche? Evidentemente un po’ l’una; un po’ l’altra e un po’ l’altra ancora. I più anziani erano i giovani di allora e trovarono un equilibrio complessivamente accettabile tra la vecchia identità commonwealthiana da un lato  e la giovane prospettiva europea dall’altro. Oggi invece il divide generazionale non è riuscito a trovare un equilibrio accettabile tra le aspettative dell’ormai ampia e nuova generazione erasmus e la vecchia e forse europeisticamente delusa generazione ultra quarantacinquenne che si è quasi protetta con i ricordi  della vecchia identità britannica.

Non siamo pertanto in presenza di una semplice questione generazionale ed ancor meno in un contesto quasi di invidia dei più grandi rispetto ai più giovani :siamo infatti in presenza di un fenomeno molto più complesso, culturale ed identitario ad un tempo sul quale occorre saper andare oltre un dato anagrafico.

Il quarto e per ora ultimo aspetto concerne un punto che accomuna l’esito referendario britannico ad aspetti presenti in molti altri Paesi e non solo europei (basti pensare a quanto sta emergendo negli Stati Uniti). Siamo infatti in presenza della progressiva caratterizzazione della democrazia rappresentativa in senso sempre più caratterizzato dal primato complessivo dell’establishment rispetto al popolo genericamente inteso. L’esperienza concreta della democrazia ha infatti finito con il coincidere con la natura rappresentativa della democrazia medesima quanto meno nei secoli a noi più vicini. Si è pertanto finito con l’espandere il concetto stesso di rappresentanza  nel senso della necessità del possesso di doti personali (la durata) o di gruppo (gli interessi) che si sono via via ampliati a scapito degli originari e tendenzialmente onnicomprensivi poteri del popolo. Abbiamo di conseguenza finito con il definire “populisti” tutti i richiami al popolo pur continuando ad affermare che la sovranità spetti al popolo e non ovviamente all’establishment.

Da un lato abbiamo una sorta di ideologia della sovranità popolare della quale  il referendum appare talvolta una invocazione  quasi ritualistica; dall’altro abbiamo una contrapposizione tra popolo ed establishment che tende a ridursi ad antagonismo finanziario (si pensi in particolare al movimento Occupy Wall Street americano) contrapponendo quasi la generica sensibilità popolare alla pur necessaria competenza professionale di questa o quella parte dell’establishment.

La stagione attuale della globalizzazione opera nel senso di un’ulteriore divaricazione del popolo, che opera sempre nell’ambito degli Stati originari, rispetto a parti (e non solo finanziarie) dell’establishment che operano sempre più nel nuovo orizzonte della globalizzazione.

Viviamo pertanto in una dimensione di separazione crescente tra popolo ed establishment che mette a prove quasi drammatiche la compatibilità stessa dell’esperienza rappresentativa della democrazia con la dimensione popolare della democrazia medesima. Questa appare quindi l’elemento che fa del referendum britannico un tassello importante di una vicenda che va molto oltre l’insieme delle isole britanniche. Occorre lavorare ad un nuovo equilibrio tra popolo ed establishment e non solo in Gran Bretagna.

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