UE
Berlino chiede ancora riforme, ma la Grecia ne ha fatte più della Germania
«La Grecia deve attuare grandi riforme strutturali in ogni caso, che sia membro dell’eurozona o meno, per diventare competitiva». Solo pochi giorni fa il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ripeteva per l’ennesima volta il mantra delle riforme in Grecia. Tema che sarà sul tavolo, peraltro, questo mercoledì all’eurogruppo straordinario a Bruxelles sulla crisi greca. Come se in questi anni l’Ellade non avesse fatto nulla e fossimo ancora a carissimo amico. In realtà la Grecia, insieme a vari altri paesi del Sud, di riforme ne ha fatte eccome, anzi in certi settori è più avanzata, più “flessibile” della stessa Germania. Un dato per tutti, pubblicato nell’ultimo rapporto Ocse: quanto a indice di riforme realizzate la Grecia è nientemeno che al primissimo posto (0,92), seguita da Irlanda, Portogallo, Spagna, Regno Unito e, finalmente, Italia. E la Germania? Al terzultimo posto, peggio fanno solo Belgio e Olanda (anche se naturalmente si potrebbe obiettare che la Germania la grande riforma del mercato del lavoro l’ha fatto a inizio degli anni Duemila con Gerhard Schröder).
Ancora più interessante è però un rapporto realizzato dall’Istituto per l’Economia tedesca (Iw) di Colonia, uno dei cinque grandi istituti di ricerca economica che preparano ogni anno il rapporto sull’economia tedesca per conto del governo federale. E l’Iw, peraltro, è noto per essere vicino al mondo industriale tedesco – dunque non proprio un centro di focosi sindacalisti e ultra-sinistra. Ebbene, l’Istituto afferma senza mezzi termini che quelli che in Germania vengono chiamati semplicemente «stati in crisi» (ci siamo anche noi), negli ultimi anni hanno registrati quelli che, almeno nell’ottica dell’Iw (poi naturalmente ognuno la vedrà come vuole) sono «grandi progressi». Un esempio? Sul fronte del mercato del lavoro (includendo anche una minore protezione dai licenziamenti), la Grecia risulta di gran lunga meno rigida della Germania: l’IW calcola un indice che va dallo 0 (molto flessibile) a 6 (molto rigido), e in questa scala la Grecia è scesa da 2,93 a 2,44 tra il 2008 e il 2014, mentre la Germania è rimasta ancorata al 3,09, il valore più alto di tutta l’eurozona e sopra la media dei paesi della moneta unica, che è a 2,57. Per la cronaca, l’Italia registra un indice del 2,87, la Francia del 2,67. La più flessibile in assoluto è l’Irlanda con un indice del 2.
In generale la Grecia, scrive ancora il rapporto dell’Istituto di Colonia, ha visto grossi progressi sul fronte della flessibilità dei negoziati salariali e della liberalizzazione del mercato industriale e dei servizi. Un esempio tra i tanti: tra il 2008 e il 2014 la Grecia ha liberalizzato tre quarti delle professioni prima fortemente regolamentate e contingentate, come ad esempio i servizi di taxi. In Germania in servizi sono ancora in massima parte esclusi dalla concorrenza di altri paesi Ue e governati dalla vetusta tradizione germanica dei titoli di “mastro” – come più volte la Commissione Europea ha lamentato. La Grecia segna inoltre un miglioramento plateale della semplificazione burocratica per facilitare la fondazione di nuove imprese: da un indice di circa 60 (su un massimo di 100) nel 2008 è passata a oltre 90 nel 2015. Crollati anche i salari – un dato in sé certo non positivo ma che, su basi freddamente numeriche ed economiche, migliora la competitività – con un calo di quasi l’8% solo tra il 2012 e il 2013, dopo una contrazione del 6% e di poco più del 4% su base annua nei precedenti due anni. In Germania tra il 2012 e il 2013 i salari in Germania sono cresciuti di circa l’1%, dopo un aumento di quasi il 4% tra il 2011 e il 2012. Complessivamente, il rapporto IW ricorda che la Grecia nella classifica “Doing business” della Banca Mondiale è passata dal 109° posto nel 2009 al 61° nel 2014, un balzo clamoroso di 48 posizioni. Nello stesso periodo l’Italia è passata dal 78° al 56° posto, la Spagna dal 62° al 33°, il Portogallo dal 48° al 25°. Tradotto: nessun altro paese dell’euro è riuscito a scalare questa classifica in modo altrettanto impressionante dell’Ellade.
Secondo gli economisti di Colonia, tutto questo avrà, anzi sta già avendo un impatto sulla crescita: nel 2014 il pil della Grecia è aumentato dell’1%, sopra la media dell’eurozona (0,8%), per il 2015 secondo gli ultimi pronostici della Commissione Europea aumenterà del 2,5% contro l’1,3% della media eurozona. Se le previsioni sono giuste, argomenta l’Iw, «soprattutto la Grecia e la Spagna e, in minor misura, il Portogallo, ridurranno il divario di pil procapite con la Germania a partire dal 2014». Quanto basta perché l’Iw lanci un monito ad Atene: «per questo bisogna sottolineare con forza – si legge – che le riforme devono essere attuate con decisione e questo percorso deve esser proseguito». Certo, bisognerà convincere i greci, visto oltretutto che queste riforme prendono tempo, e, soprattutto, affinché «possano portare risultati realmente percepibili – recita il documento – e durevoli, occorrerà una ripresa sufficientemente forte. Solo allora, insegna l’esperienza, le riforme dispiegheranno l’effetto pieno. Altrimenti la strategia del governo tedesco di utilizzare le riforme come principale cura contro la crisi dell’euro rischierà di fallire». Per evitare il peggio, dicono gli economisti di Colonia, nel caso della Grecia «si potrebbero ridurre l’impatto sociale dei tagli purché il paese continui le riforme». Potrebbe essere il percorso per un’intesa tra Atene e i suoi creditori. Sempre che Berlino ci stia.
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