UE
Aspirapolvere VS Bazooka, questo è il dilemma che va oltre la Brexit
“Mio padre ha combattuto i tedeschi non per farci dare ordini da loro 70 anni dopo”. Sta nella risposta di questa signora inglese il nocciolo vero della complessa partita in gioco con la Brexit.
Ed in effetti, se l’intero progetto europeo finisce per identificarsi con le desiderata di uno solo dei Paesi membri, significa che abbiamo un problema, che l’Europa, come progetto, ha un problema.
C’è voluto l’ex Governatore di Bankitalia Antonio Fazio a riportare al centro della discussione il ruolo che la Germania ha avuto e ha tutt’ora nelle dinamiche economiche nel vecchio continente. Fazio, ripreso da Libero in un articolo dell’ottimo Franco Bechis, stigmatizza senza mezzi termini il tema dei temi: il surplus tedesco, indicato come il killer dell’euro.
Se ne parla molto sul web ma poco o niente sui giornali o nei salotti tv. Forse perché materia ostica. Eppure serve ribadire il concetto perché “that is the question”: aspirapolvere contro Bazooka, chi la spunterà?
A giudicare dal significato intrinseco di queste parole non può che vincere il bazooka. Purtroppo non è così. Lo vado dicendo da almeno un anno. Il Quantitive Easing di Draghi non serve a nulla, quanto meno non per l’obiettivo principale per cui, così ci hanno detto, è stato armato, ossia riportare l’inflazione al 2%. E non serve per una moltitudine di motivi, il più macroscopico dei quali è l’aspirapolvere di cui sopra.
Il bazooka di Draghi spara soldi, l’aspirapolvere della Merkel aspira tutto, annullandone l’effetto.
Come si può pensare di scaldare i prezzi (in soldoni con più domanda interna in ciascun Paese) se in Europa ci sono alcuni Stati, Germania in testa, che esportano centinaia di miliardi di euro di inflazione, creando così deflazione?
La Germania esporta molto più di quello che importa e lo fa sì verso gli altri Paesi europei ma, si badi, molto di più verso i Paesi non europei. In sostanza il surplus tedesco, in assoluta violazione dei trattati, da molti anni ormai viaggia ben al di sopra della soglia del 6% del Pil imposta dagli accordi. E per fare questo la Germania ha implementato politiche di austerità salariale molto marcate con l’obiettivo di mantenere stitica la domanda interna, di abbassare il costo per unità prodotto, di vendere sui mercati mondiali prodotti di qualità a bassi prezzi, con ricadute in termini di sostanziale piena occupazione. Non solo. E poi riuscita, forte del suo ruolo di locomotiva, ad imporre facendo pressing stretto su Bruxelles altrettanta austerità sui bilanci pubblici degli altri Paesi europei confinanti. Austerità che ha acuito le recessioni in corso, creando disoccupazione, riduzione dei salari e falcidiando la domanda.
L’insieme di queste pratiche ha permesso alla Merkel di affrancare le proprie esportazioni dell’area europea (ed esserne così meno dipendente) a vantaggio dell’export worldwide.
Queste politiche, in atto da anni, hanno creato degli squilibri di tale gravità che Berlino si meriterebbe non una ammonizione bensì un rosso diretto. Eppure, al di là di un blando richiamo, nessuno si è permesso di ammonire la Germania con la stessa decisione e veemenza verbale usate, ad esempio, dal ministro Schäuble contro Italia, Grecia o Spagna per altre questioni.
Per dirla ancora più chiaramente, il progetto era questo: la Bce taglia i tassi, stampa moneta e tra aste di liquidità e acquisto di bond corre in aiuto delle banche che, avendo più risorse, dovrebbero erogare più credito a imprese e famiglie, al fine di sostenere la domanda interna e generare inflazione e Pil. L’ultimo passaggio, quello forse più importante, come si è visto non ha funzionato e gli utilizzatori finali della moneta, cioè noi, questo flusso di capitali non lo hanno visto neanche col binocolo. Non solo, tutta quella moneta stampata con l’obiettivo di creare inflazione ha visto risucchiato il suo potenziale effetto da uno tsunami di dimensioni eccezionali rappresentato dal surplus tedesco che permette così alla Germania di ottenere, dal combinato disposto di tutti questi elementi, il massimo vantaggio.
Tutto questo è aberrante e non v’è chi non veda che in campo c’è una sola squadra che gioca una partita senza arbitro né rivali.
L’unica cosa saggia da fare sarebbe (ma bisognava farlo anni fa) implementare un grande piano Marshall europeo, un piano di investimenti pubblici-europei-comunitari di dimensioni bibliche. Al netto degli annunci fatti da Juncker il cui piano da 300 mld è fuori dai radar. Faccio sommessamente notare che Obama in 8 anni di mandato ha implementato periodicamente investimenti infrastrutturali per centinaia di miliardi di dollari, l’ultimo dei quali ammonta a 302 miliardi per l’esattezza per il triennio 2015-2018. A conferma del fatto che non basta avere i soldi nel portafoglio per far ripartire l’economia, i soldi vanno spesi e bene.
Tornando alla nostra signora inglese mi domando: perché stare in una Europa che sembra parlare solo tedesco? Per lo stesso motivo per cui 70 anni fa suo padre combattè sul campo. L’Europa di pace è stata una conquista di tutti, non va lasciata nelle mani di uno solo.
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