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Angela Merkel, la zarina d’Europa che i tedeschi chiamano Mutti (mamma…)

20 Dicembre 2015

La sfinge d’Europa è una signora dagli occhi chiari ammogliata ma senza figli, che tiene un ritratto della zarina Caterina la Grande sulla scrivania, parla bene il russo ed è considerata la donna più potente del mondo. Il Time le ha dedicato una copertina pochi giorni fa, qualcuno le vorrebbe dare pure il Nobel per la Pace.

Lei si chiama Angela Dorothea Merkel (anche se il suo vero cognome sarebbe Kasner), ma come ogni personaggio troppo odiato o venerato, anche lei ha molti nomi: un tempo per la gerontocrazia della CDU era la “fanciulla dell’est” e la pupilla del “gigante nero” Helmut Kohl; poi si è trasformata, almeno agli occhi dei suoi concittadini, in “Mutti” (mamma), la cancelliera rassicurante, attenta al compromesso, che con piglio maternalista tiene la Große Koalition in piedi e la Germania fuori dalla crisi; infine, ci sono i tanti nomignoli spregiativi affibbiatile da greci, spagnoli e altri popoli dell’Europa meridionale, che vedono in “Frau Austerity” (per usare uno degli alias più gentili) la vera responsabile delle riforme lacrime-e-sangue imposte dalla troika a trazione liberista.

In ogni caso, cercare di capire la Merkel è importante, anzi cruciale. Era dal 1945, dai tempi di Churchill, Stalin e Hitler tanto per intenderci, che non si vedeva in giro un leader europeo così influente sul serio (a parte Vladimir Putin, sempre che si voglia considerare la Russia europea). Certo, politici come Kohl, Margaret Thatcher o Charles de Gaulle hanno forgiato i destini delle rispettive nazioni (e nel caso del Regno Unito e della Francia, pure quello delle colonie), ma non sono mai stati così decisivi a livello continentale.

In un’Europa con la Francia ombra di se stessa, il Regno Unito sempre più insulare e l’Italia ancora in mezzo al guado, la Merkel è la gigantessa che sta compiendo un’impresa riuscita, in quasi un secolo e mezzo di storia, solo a Otto von Bismarck: fare della Germania l’arbitro economico e politico d’Europa, e della sua immediata periferia (e infatti è Berlino ad avere l’ultima parola sulla crisi ucraina, sull’emergenza-profughi, sui rapporti con la Turchia e la Bielorussia; dice la sua persino nella gestione del dossier iraniano).

Come il “cancelliere di ferro”, prussiano che non amò mai troppo i “venditori di vino” della Renania, pure la Merkel viene dall’est. Ma a differenza di Bismarck, lei sta mietendo le sue vittorie senza sparare un colpo. Niente Sedan o Sadowa, nessuna guerra alla Danimarca. Le armi della Merkel non sono né i granatieri della Pomerania né lo stato maggiore prussiano, ma la potenza dell’economia tedesca e la possibilità, sempre nell’aria, di liberare i mastini dell’austerity (ne sa qualcosa Mario Draghi, di nuovo sotto il tiro della stampa tedesca e del baldo Jens Weidmann).

Quando lei parla (e da vera zarina non parla mai troppo), gli altri stanno zitti e ascoltano con attenzione, da Bruxelles a Mosca, passando per Francoforte, Parigi, Roma ed Atene. Persino a Washington e Pechino le sue parole non passano mai inosservate… Per questo motivo è importante sapere chi è la Merkel, e conoscere la sua storia. Michael Braun, da anni corrispondente tedesco in Italia, ha scritto per i tipi di Laterza un interessantissimo saggio che vale la pena di essere letto. Il titolo è appunto “Mutti – Angela Merkel spiegata agli italiani”. Ecco alcuni estratti della lunga intervista a Bauer.

 

Braun, questo libro cade a fagiolo. Il 22 novembre, cioè meno di un mese fa, la Merkel ha potuto festeggiare i dieci anni di cancellierato; qualche giorno fa la rivista Time la scelta come “persona dell’anno”. Mamma sì, dunque, ma di ferro…

Vede, il titolo nasce dal mio desiderio di raccontare agli italiani Angela Merkel sotto un altro punto di visto, quello appunto tedesco. In Germania la cancelliera non ha fama di essere una persona arcigna, dura, ossessionata dal rigore, ma come una presenza moderatrice, quasi una mamma della nazione… Una persona che cerca di smussare gli angoli, di evitare i conflitti e di non andare allo scontro. Mutti (mamma) è un nomignolo che le hanno affibbiato all’inizio i detrattori e gli avversari all’interno del suo stesso partito, la CDU. Insomma, quasi un modo per dire “la Mutti deve stare a casa e preparare il pranzo ai figli, non alla cancelleria a governare la Germania”. Ma alla fine questo nomignolo, coniato per danneggiarla, ha subito una trasformazione in positivo. Conferma l’idea, assai rassicurante, di una cancelliera mite e pacata, e trasmette agli elettori la sensazione di trovarsi in buone mani… Tra l’altro “In buone mani” era lo slogan della CDU per la rielezione della Merkel due anni fa…

Può far specie ai lettori italiani scoprire che la CDU, almeno nei suoi vecchi ranghi, è un partito storicamente maschilista, che vuole la donna tutta “casa, chiesa e culla”.

Sì, è vero, lo è stato per decenni, inclusa tutta l’era Kohl. Bisogna dire però che grazie alla Merkel c’è stato un vero svecchiamento della CDU, e un’apertura forte per quanto riguarda i rapporti tra i sessi. Insomma, il partito si è trasformato in una forza politica votabile pure da una ragazza del XXI secolo, che vuole fare carriera e affermarsi, e magari anche diventare madre. Su questo aspetto la Merkel aveva una linea diversa da quella della vecchia CDU, ma silenziosamente è riuscita a spostare il partito su posizioni più liberali. A un certo punto nel libro cito un vecchio deputato della CDU a cui lei, appena eletta capo del partito, pone un dubbio: “Sono abbastanza conservatrice per dirigere questo partito?”; e quello risponde: “Conservatori lo siamo già per conto nostro, tu fai in modo che le nostre figlie tornino a votarci”. In effetti questo anziano deputato cattolico aveva capito perfettamente il dilemma della CDU in quegli anni (gli inizi del secolo)… a essere così conservatori il partito davvero rischiava di alienarsi per sempre un elettorato urbano, giovane e femminile, e quindi per la CDU era strategico eleggere un leader come Angela Merkel.

Le devo dire: a me più che materna la signora sembra matrigna; da un lato è tenacemente aggrappata al potere, dall’altro mostra grandi capacità opportunistiche, e anche di colpire obliquamente l’avversario.

Infatti materna lo è molto relativamente. Non dimentichiamo che lei non ha figli, e che sulla scrivania tiene un quadro di Caterina la Grande, la zarina russa. È questo il suo modello…

Può raccontare ai nostri elettori questo dettaglio?

Vede, Caterina di Russia era una personalità forte dalle idee illuministe, pronte a rottamare suo marito lo zar e governare per anni su posizioni sì innovative, ma in un contesto davvero molto feudale e conservatore come la Russia del XVIII secolo. In ogni caso la zarino non andò alla guerra con i grandi feudatari, ci si adattò, e questo è un elemento essenziale della Merkel, cioè la capacità di adattarsi. Quanto alla sua osservazione, è vero: non si capisce mai bene quali siano le sue idee, e infatti non sappiamo come mai, tra il 1989 e il 1990, optò per la CDU. Lei stessa ha fornito una spiegazione molto scarna a riguardo, raccontando le sue primissime settimane in politica quando, con il muro appena caduto, iniziò a guardarsi intorno, e finì a una riunione all’aperto dell’allora neonato partito socialdemocratico della DDR. Ma quello che vide non le piacque: tutti si davano del tu, cantavano vecchie canzoni operaie…

Non escludo del tutto che la sua scelta sia stata dettata anche da elementi istintivi, dal fatto che non le piaceva troppo l’atmosfera, l’habitat… In ogni caso, all’inizio si iscrisse a un piccolo gruppo politico, Risveglio democratico, più borghese nei modi, con un orientamento politico non ancora ben definito. Un gruppo che non era né a destra né a sinistra, ma avanti, e in effetti proprio questo potrebbe essere il motto politico della Merkel. È davvero difficile darle un’etichetta ideologica precisa, categorizzare il suo modo di governare. Lei non ha una concezione del potere feudale o personalistica. Alla Merkel non interessa arricchirsi, non le interessano le insegne del potere, ad esempio il palazzo o il macchinone. Non le piacciono gli orpelli, non vuole essere celebrata. A lei interessa il potere e basta. Detenerlo, usarlo per il bene del suo paese (secondo i suoi criteri). Credo sia un’idea molto prussiana.

In effetti in questo senso potrebbe sembrare una figura materna. La madre vecchio stampo che non vuole nulla per sé, che fa solo il bene dei figli, e che ha il dovere di decidere perché lei sa cosa è bene per la famiglia… Tuttavia mi sembra sia stato Wolfgang Schäuble, altro boss della CDU, ad aver detto: “Quello che vuole lei è il potere”. E un’altra cosa: a me la Merkel sembra un personaggio incline non solo a cambiare idea, ma anche a rimandare le sue decisioni…

Eh sì, può sembrare una sorta di Capitan Tentenna, ma talvolta questo suo atteggiamento titubante risponde a una logica precisa. Lo racconto, ad esempio, nella parte del libro sulla crisi greca, quando la Merkel ha tentennato per mesi: questa indecisione non ha nuociuto affatto alla Germania, casomai alla Grecia, perché ha consentito a Berlino di dettare punto per punto ad Atene tutte le condizioni per il cosiddetto “aiuto alla Grecia”… in realtà si è trattato di un aiuto molto relativo, è stato soprattutto un aiuto all’euro per evitare il crollo del sistema finanziario e bancario. È stato un aiuto alle banche svizzere, francesi e tedesche che avevano investito in titoli greci. Un aiuto che tiene la Grecia a galla, ma secondo i modi, i tempi e i dettami definiti tra Berlino, Francoforte e Bruxelles. In questo caso, insomma, il suo tentennamento aveva una logica…

D’altra parte la Merkel spesso tentenna per capire anche da che parte tira il vento. Infatti è una persona attentissima all’opinione pubblica tedesca. Può avere un’opinione e cambiarla nell’arco di una giornata. Nel libro cito il caso di Fukushima: fino al giorno della tragedia lei era una nuclearista convinta; ma dopo la catastrofe in Giappone, ha capito subito che in Germania la questione era chiusa, perché a quel punto il 90% dei tedeschi non ne voleva più sapere niente, e in pochissimi giorni lei ha deciso di abbandonare il nucleare. E dire che solo poche settimane prima aveva chiesto una Germania che si affidasse di più al nucleare, una Germania che costruisse nuove centrali nucleare ecc… Non ha avuto problemi a buttare alle ortiche quest’idea, e lo ha fatto nel giro di una mattinata.

Anche in questo mi ricorda Bismarck, che cercava sempre di capire dove soffiava il vento. Era lui a ripetere che “uno statista deve solo attendere e ascoltare finché non sente i passi di Dio che risuonano in mezzo agli eventi; a quel punto deve balzare in piedi e attaccarsi all’orlo della sua veste”.

Già.

Nel suo libro, Braun, lei ricorda ai lettori italiani un fatto interessante: quando il muro di Berlino stava per cadere la Merkel non era neanche tra i manifestanti, ma quando ha capito che la DDR è finita, ha preso la sua decisione…

Sì, certo. Nel libro io cito due momenti di quelle settimane cruciali. Il primo è il 4 novembre del 1989, pochi giorni prima della caduta del muro. Berlino est vede la manifestazione più imponente della sua storia, circa un milione di persone che si riunisce ad Alexander Platz… ci sono star, intellettuali, gente come Christa Wolf o Heiner Müller, ma non la Merkel. Quel giorno lei si trovava all’ovest, era andata a trovare il suo compagno Sauer (allora non erano ancora sposati), che aveva uno staff di ricerca nella Germania ovest. Il governo della DDR aveva concesso a entrambi un visto, quindi ne possiamo desumere che non erano considerati oppositori, persone di cui diffidare. Cinque giorni dopo lei è di nuovo a Berlino est, crolla il muro, si fa la storia, e lei passa la serata alla sauna… soltanto dopo si unisce alle migliaia di berlinesi dell’est che si facevano la passeggiata a ovest. La Merkel era lì quasi per caso.

In realtà fino al 1989 si era sempre tenuta lontana dalla politica, inclusa quella pro-regime. Faceva parte della Freie Deutsche Jugend (FDJ), la gioventù della DDR, ma anche lì senza grande impegno. Non si iscrisse neanche al partito di stato, alla SED… Però non faceva nemmeno parte dei circoli di opposizione: non dico i gruppi organizzati, non frequentava neanche quell’ambiente che si incontrava più o meno clandestinamente per discutere sullo stato del regime e così via. Lei faceva la scienziata, le interessava la fisica e basta.

Insomma si faceva gli affari suoi.

Un po’ sì, lei stessa si racconta così. Si era adagiata su quella situazione senza avere velleità di opposizione né niente.

Quando in Germania est si tennero le prime elezioni libere il piccolo partito di cui faceva parte, Risveglio Democratico, crollò. Questo però non azzoppò la sua carriera politica, dato che divenne subito la cocca di Lothar de Maizière, primo (e anche ultimo) primo ministro democraticamente eletto della DDR. Ricevette poi un po’ di supporto da Günther Krause, altro politico dell’est, e infine divenne la pupilla di Kohl. Evidentemente riusciva a colpire il suo interlocutore…

Sì, certo. Tutti quelli che hanno avuto a che fare con la Merkel dicono che tecnicamente è una molto brava, una che studia i dossier e arriva sempre ben preparata. Ha un’intelligenza acuta, puntuale. Questo l’ha senz’altro molto aiutata nella sua ascesa.

Tutti dicono che da giovane era molto ambiziosa, che aveva questo obiettivo di fare carriera, tanta carriera…

Non so se nei primi anni Novanta aspirasse già a diventare cancelliera. Senz’altro lei non si è mai preclusa nulla. Certo, vedendo una ragazza di 35 anni che entra in politica priva di ogni esperienza, e che vuole diventare parlamentare, si potrebbe pensare a una persona con aspirazioni un po’ megalomani, ma è quanto riuscì a fare lei nel 1990: entrare, appunto, in parlamento! Credo che non si sia mai preclusa la possibilità di diventare cancelliera, di certo l’ambizione c’era tutta, e anche l’autostima, la fiducia nelle proprie capacità…

La sua è una carriera che beneficia molto degli errori altrui, di gente che deve dimettersi per uno scandalo o uno sbaglio…

Senz’altro, ma questo in politica è più la regola che l’eccezione. La sua parabola dimostra tutta la freddezza necessaria non solo per sopravvivere, ma anche per andare avanti. E sì, lei è un tipo molto freddo, che non si lascia andare a sentimentalismi di sorta. Va ricordato per esempio che nel 1999, quando scoppiò lo scandalo dei finanziamenti illeciti alla CDU, fu lei a decidere di scrivere la famosa lettera aperta in cui si chiedeva al partito di disfarsi di Kohl, presidente onorario del partito. E lei scrisse, letteralmente, “dobbiamo lasciare la casa del padre”. Insomma, la Merkel fu il Bruto della situazione, ma il partito le fu molto grato di questo, dal momento che nessun altro aveva avuto il coraggio di compiere questo passo. Certo, fu pure una mossa rischiosa: proprio lei accusata di non correre mai alcun rischio, in quel momento rischiò, e senza alcun sentimentalismo; decise che il vecchio Kohl era finito, e che dunque era meglio farla finita con Kohl.

Lasciare la casa del padre significò anche allontanarsi dalla tradizione sociale del vecchio capitalismo renano per approdare a un liberismo più deregolato e spinto.

Quando, nel 2005, venne eletta cancelliera per la prima volta, la Merkel aveva posizionato la CDU su una traiettoria neoliberista. Si trattò però di una scelta infelice, vinse le elezioni per un pelo, non ebbe quel grande successo che qualche mese prima avevano previsto tutti i sondaggi. I tedeschi non apprezzarono quel neoliberismo spinto, e lei imparò subito quella lezione. Da allora in Germania la “Angela di ferro” non esiste più. Esiste in Europa, è vero, ma quella è un’arena in cui nessuno la deve votare, e dunque è molto più facile essere duri, arcigni e rigorosi quando si parla dei bilanci degli altri paesi.

In Germania, invece, lei si presenta come una persona che, per esempio, dialoga molto pure con il sindacato. Qualche giorno fa ne parlava Maurizio Landini… era andato al congresso dei metalmeccanici tedeschi, e l’ospite d’onore era Angela Merkel! Dopo aver ascoltato il suo discorso, Landini ha detto alla stampa: “in Italia la Merkel è a sinistra di Renzi” [RIDE].

I politici devono differenziarsi, in qualche modo: quando al potere c’era Gerhard Schröder, lei sostenne persino l’intervento militare angloamericano in Iraq.

Sì, era una liberista e atlantista spinta. Ha compiuto anche delle azioni viste in modo molto critico non solo dai suoi avversari politici. Poco prima dell’invasione dell’Iraq nel 2003 lei andò a Washington e rilasciò a un giornale americano un’intervista in cui disse: “Schröder non parla per tutti i tedeschi”. Insomma, praticamente prese le distanze dal capo del governo tedesco e dichiarò la sua lealtà all’America di George W. Bush. Si tratta di un atteggiamento che poi ha messo da parte, questa era l’Angela Merkel prima della sua trasformazione in Mutti: l’Angela Merkel polarizzante, che prendeva posizioni decisamente di centro-destra, sia in politica estera sia in politica economica. Ma furono le elezioni del 2005, quasi perse, a farle cambiare idea, e a farle capire che in Germania non paga essere polarizzatori. Da allora è diventata la grande moderatrice, la “mamma” che rassicura gli elettori invece di dividerli.

Probabilmente la sua lunga coabitazione con la SPD ha contribuito a farle cambiare idea. Se fosse rimasta così oltranzista, il governo sarebbe crollato da lì a poco.

Io direi piuttosto che le faceva comodo, in quel momento, governare con la SPD, perché le permetteva di intraprendere questo voltafaccia senza farlo apparire come tale. Ha potuto dire ai suoi elettori che si comportava così a causa dei suoi partner di coalizione. Guardi cosa è successo nel 2009, quando ha vinto di nuovo le elezioni con una coalizione di centrodestra tra le CDU e i liberali. Lei era a capo della coalizione che aveva sempre sognato, una grande alleanza organica di centrodestra. Invece accadde l’opposto, non diede ressa ai liberali che chiedevano meno tasse per i più abbienti e così via, e continuò il percorso moderato che aveva intrapreso negli anni precedenti con la SPD. Nel 2013 vince di nuovo le elezioni, ma questa volta deve governare con la SPD. Per lei questo non è un problema, perché in fondo lei non è né di destra né di sinistra. Lei è merkeliana, post-ideologica, un personaggio che si preoccupa più di rimanere al potere che di avere un’ideologia forte da trasformare in realtà.

In patria sarà pure orientata al compromesso (d’altra parte era proprio Kohl a dire che “la Germania è il paese del centro”), in Europa però la Merkel fa la liberista.

Sì lo è, è liberista e rigorista, ma anche in questo caso agisce come “mamma dei tedeschi”. Lei appare come quella che difende gli interessi dei contribuenti tedeschi, e questa sua difesa delle tasche dei concittadini l’ha resa davvero popolare come leader della nazione. Grazie e proprio a causa della crisi dell’euro gli elettori hanno iniziato a percepirla come una paladina del vero interesse nazionale.

Un’ultima domanda, in quest’intervista-fiume per la quale chiedo venia: la signora Merkel è un leader ecumenico, un po’ come Matteo Renzi; si assomigliano dunque?

Beh, sono molto diversi tra loro: Renzi si pone come il leader giovane e giovanile ma che è tecnicamente all’altezza, all’opposto della Merkel, però nei contenuti spesso e volentieri i due sembrano convergere. Anche lei è una grande rottamatrice, tanto per cominciare, anche se lo ha fatto nel silenzio più assoluto e non se ne sarebbe mai vantata. Poi sono entrambi politici che non hanno alcun problema ad attingere alle idee del campo opposto, lui venendo da una forza di centrosinistra e l’altra di centrodestra, ma in questo senso sono ambedue post-ideologici. Alcuni li giudicano pragmatici, altri opportunistici, ognuno può farsi la sua idea. Ma a mio avviso, Renzi non avrebbe alcun problema a stare nel governo con la Merkel e la Merkel non avrebbe difficoltà a iscriversi al PD di Renzi.

Braun, grazie.

 

Per leggere l’intervista nella sua interezza, cliccare qui.

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