Spagna

Catalogna, punto zero

20 Maggio 2018

Da lunedì 14 maggio la Catalogna, dopo quasi 5 mesi di stallo e 7 di commissariamento, è tornata ad avere un Presidente in carica.
Tuttavia, sono molte le incognite che riguardano la Comunità Autonoma, il suo futuro e, soprattutto, l’elezione di lunedì scorso lascia intendere che siamo ben lungi da una risoluzione del conflitto istituzionale che si è generato lo scorso autunno.
Andiamo con ordine.

1- Il nuovo President è Quim Torra Pla, deputato regionale del PDeCAT, lo stesso partito di Carles Puigdemont. In passato il signor Torra ha ricoperto diversi incarichi nelle istituzioni culturali catalane tra cui quello di direttore del Born Centre Cultural, un vecchio mercato riconvertito in spazio espositivo e centro nevralgico delle celebrazioni del tricentenario dal 1714, l’annus horribili del catalanismo, a partire dal quale tutta la retorica indipendentista fa riferimento. Travisando la storia, visto che hanno trasformato quella che è stata una guerra di successione (al trono di Spagna) tra Asburgo e Borbone in una guerra di secessione. Ciononostante, il nuovo President è balzato agli onori della cronaca per una serie di tweet e articoli dal sapore xenofobo e ultranazionalista, duri verso il resto degli spagnoli e verso la lingua castigliana (se ne parla qui, e qui). Inoltre nel suo discorso di presentazione alla Camera catalana ha omaggiato il catalanismo degli anni ’30, in particolare quello estremista e filo fascista di Estat Català (per intenderci, Lluis Companys e Francesc Macià, esponenti di ERC di allora e veri e propri eroi nazionali, osteggiarono duramente questa formazione). Insomma, il profilo del nuovo President è quello di un ultra nazionalista catalano, xenofobo, conservatore e affiliato a un partito neo-liberista che, da sempre, fa gli interessi della borghesia (soprattutto rurale) catalana.

2- La candidatura e l’elezione di Quim Torra Pla arrivano dopo un lungo iter, in parte descritto su queste pagine in altre occasioni. È curioso però soffermarsi su come gli altri partiti del blocco indipendentista abbiano accettato a mani basse questo profilo, netto e contundente, deciso a tavolino dallo stesso Puigdemont a Berlino. Da una parte ERC, una formazione sulla carta socialdemocratica che in passato governò con successo la regione con il Partito Socialista, ha deciso di votare a favore dell’elezione senza consultare la base – peraltro prassi non contemplata da chi non fa altro che appellarsi alla democrazia – e senza un accordo preciso di governo (ricordiamo che PDeCAT ed ERC, al contrario della precedente legislatura, formalmente non erano coalizzate). Dall’altra la CUP, una formazione antisistema e anticapitalista che ha deciso di astenersi e quindi agevolare l’elezione di Torra in seconda votazione – quando è necessaria una maggioranza semplice, e non assoluta, dei presenti in aula. Salvo poi dichiararsi, la stessa CUP, all’opposizione e propensa ad esercitare una funzione di controllo, pronta a staccare la spina al governo qualora non sia intrapresa la via dell’indipendenza. Quindi, in buona sostanza, due partiti sedicenti di sinistra votano o permettono la formazione di un governo con a capo un President chiaramente di destra, xenofobo e ultranazionalista.
Del resto, però, per lo meno per quanto riguarda ERC, lo stupore deve essere moderato: non era forse Oriol Junqueras, presidente del partito, a scrivere anni fa che i catalani hanno un patrimonio genetico comune con francesi e italiani e solo in minor misura con il resto degli spagnoli?

3- Veniamo al discorso di candidatura letto lo scorso sabato 12 maggio quando si celebrò la prima votazione terminata con una fumata nera. Qui Torra, oltre a porsi nel solco del fascismo catalano anni ’30, ha anche esibito una retorica puramente nazionalista e chiusa, rivolgendo il suo discorso non all’insieme del Parlamento e della società catalana, ma solo a una sua parte, quella che lo sostiene. Il programma di governo è assente, rimandando a quanto già detto da Turull (dirigente dello stesso partito di Torra, candidato alla Presidenza qualche mese fa) durante l’ultima sessione plenaria per l’elezione del President. Si è insistito sui politici in prigione (parlando ancora di “presos políticos”) e quelli latitanti (definendoli, ancora, come “exiliados”), sulla leggittimità di Puigdemont come President, sul fatto che sarà una legislatura a tempo e che recupera il mandato del referendum (illegale, ma non visto come tale dagli indipendentisti) dell’1 ottobre.

4- Il ruolo di Puigdemont è, in questa elezione, centrale. Continua ad essere lui a muovere i fili della politica catalana, con le opposizioni che assistono impotenti. Non è un mistero che sarà lui a governare de facto anche se de iure sarà Torra. Anzi, nelle stesse ore in cui si dibatteva la candidatura di Torra, Puigdemont rilasciava un’intervista a La Stampa affermando che in ottobre si sarebbero convocate elezioni anticipate, un’altra volta con carattere plebiscitario. Come giustamente scritto su La Vanguardia qualche giorno dopo (edizione cartacea), si è persa nella politica catalana anche la forma. Che un ex President latitante all’estero decida e dichiari quando una legislatura debba finire è qualcosa che non si è mai visto.

In sintesi, in Europa è sul punto di nascere un governo regionale guidato da un uomo di destra, ultranazionalista e xenofobo. Come se non bastasse chiaramente teleguidato da un ex President latitante e nel bel mezzo di una crisi di sistema, quello spagnolo, che lascia all’orizzonte enorme incertezza.
La Catalogna è, quindi, senza usare giri di parole, al punto zero. Con la differenza che ora si conoscono bene le conseguenze di eventuali forzature o violazioni della Costituzione. Come ricordano in molti, l’art. 155 della Carta non è più un tabù, ma un pericoloso precedente. E, infatti, tra ieri e oggi si è appreso che, probabilmente, rimarrà in parte vigente.
Come ben scrisse lo scorso autunno Eduardo Mendoza in un pamphlet intitolato Qué está pasando en Cataluña, chi storicamente detiene il potere nella regione fa parte di una società chiusa, rurale, nazionalista che mal sopporta le ingerenze e le ondate migratorie, ma che non ha potuto far a meno di aprirsi per riuscire a industrializzarsi e urbanizzarsi. Ha ripetutamente usato e deformato la Storia a proprio vantaggio, riuscendo a costruire narrazioni compiacenti e accattivanti che ne garantissero lo status quo. Semplificando al massimo, gli ultimi 40 anni di apertura e di fioritura della città di Barcellona, sarebbero in ultima istanza un’eccezione. In particolare, come segnala Steven Forti in un articolo comparso su Limes (10/2017), la capitale catalana, simbolo fino a oggi del progresso e dell’internazionalizzazione della Catalogna, sarebbe in realtà una spina nel fianco di una parte consistente dell’indipendentismo. Esattamente quella che rappresenta l’attuale President Quim Torra Pla.

 

(Foto di copertina: interno del Parlament de Catalunya. Fonte: wikipedia.org)

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