Spagna
Alle origini della questione catalana (o quasi)
Tra il mese di settembre e ottobre dello scorso anno, e poi di nuovo poco prima di Natale, l’indipendenza della Catalogna è stato un argomento che ha tenuto banco nelle pagine di cronaca internazionale di molti Paesi, Italia inclusa. Tuttavia, per quanto la nostra percezione sia quella di un fenomeno relativamente recente (difficilmente chi ne scrive va oltre il 2006, anno in cui venne approvato l’ultimo Statuto d’Autonomia), in realtà in Spagna la questione territoriale è all’ordine del giorno da più di un secolo. È, infatti, con lo smembramento dell’Impero e la perdita delle ultime colonie nel 1898 (Cuba e Filippine) che dalla Catalogna e dai Paesi Baschi le spinte secessioniste sono cresciute fino a oltrepassare il confine di un malessere fisiologico della periferia nei confronti del centro (Madrid).
Nel 1921, José Ortega y Gasset si chiede “¿para qué vivimos juntos?”, perché viviamo insieme? Il riferimento è ai popoli iberici che abitano la Penisola e la domanda giunge all’interno di un’ampia riflessione che passa in rassegna i mali principali della Spagna da Felipe II (XVI sec.) in avanti. Secondo il filosofo, è da far risalire ad allora la frattura, o la lenta disgregazione, della nazione spagnola. La domanda e la generale riflessione di Ortega si inserisce in uno dei suoi testi più significativi, España invertebrada.
Nel 1932, lo stesso Ortega, ora deputato della II Repubblica, arringa in Parlamento contro la cecità dello Statuto d’Autonomia catalano in discussione alla camera. Non che il filosofo fosse contrario all’autonomia regionale, anzi, egli è stato uno dei primi, proprio in España invertebrada, a riconoscere che la Penisola iberica non è un tutto omogeneo, ma un insieme diverso di genti con un progetto di convivenza comune. Ortega era contrario a quello Statuto perché si voleva creare, nelle intenzioni dei suoi promotori, Lluis Companys e Francesc Macià, uno Stato nello Stato, mettere il castigliano in posizione subordinata al catalano, ridurre la presenza del centro a mera comparsa nella periferia. In sostanza: intraprendere una via indipendente e unilaterale, ma continuando a stare dentro.
Alla fine degli anni ’70, dopo la morte di Francisco Franco, Francisco Ayala dà alle stampe una serie di attente riflessioni sullo stato del Paese e sulla democrazia in costruzione, intitolate España, a la fecha. Ayala era stato studente di Ortega e l’eredità orteguiana si evidenzia nei temi e nel metodo. La questione dei nazionalismi era, dopo la morte di Franco e nella fase costituente, un tema scottante. E Ayala andò a recuperare il particularismo di Ortega auspicando che tanto dal centro come dalla periferia si rispettasse una mutua collaborazione e riconoscimento. Incredibilmente, in quella fase i padri costituenti non commisero gli errori fatti in passato (e che poi si sarebbero commessi in futuro) e diedero vita allo Stato delle Autonomie. Progetto ambizioso che per anni è stato più che semplice lettera scritta, incontrando una prassi quasi sorprendente. Ma già dai primi anni ’80 alcune avvisaglie di un ritorno al particular iniziarono a sentirsi, soprattutto dalle parti di Barcellona e Bilbao (e in questo caso non mi riferisco tanto a ETA). Tuttavia, erano state incanalate nell’abitudine, da parte dei partiti nazionalisti più potenti, di appoggiare e garantire la maggioranza in Parlamento ai governi centrali di Madrid a cambio di concessioni in materia di autogoverno.
Nel 1994, José Luis Abellán, che questi sentori li aveva ben percepiti, riprende il testo di Ortega y Gasset per avvertire dell’inizio di una nuova involuzione. Lo fa dalle colonne del quotidiano El País e, al pari di Ortega, punta il dito con ugual severità contro lo Stato centrale e contro le aspirazioni nazionaliste catalane e basche. In particolare pone l’accento su un principio che Ortega sviluppa in España invertebrada, che sarebbe all’origine di tutti i mali della Spagna e che già Ayala, come accennato, aveva tirato in ballo: il particolarismo. Nel momento in cui le parti che costituiscono il tutto smettono di agire nell’interesse proprio e del tutto, e agiscono solo nel proprio interesse, ecco che il tutto inizia a sfaldarsi. E il tutto sarebbe la Spagna, in questo caso, di cui Stato centrale e Comunità Autonome sono le parti.
Come si può ben vedere, la questione territoriale è argomento di discussione da molto tempo in Spagna. E conosce i momenti di maggiore scontro proprio quando il Paese attraversa un momento di crisi o particolarmente delicato: il 1898, la II Repubblica, la Transizione e, infine, la crisi economica che stiamo ancora vivendo. Il vero dramma, infatti, è che non si sia mai veramente risolta e questo nonostante i padri costituenti dell’attuale regime democratico avessero posto le basi per farlo. Hanno trionfato ancora una volta i particolarismi, le ripicche, il guardare unicamente al proprio orticello. Un’abitudine che Ortega nel 1921 attribuiva anche ai singoli gruppi di potere (politica, esercito, borghesia, ecc.) e non solo ai nazionalismi locali. La cosa peggiore è che, a livello istituzionale, nessuno sembra essere consapevole della gravità della situazione in cui oggi si trova non solo la Catalogna, ma l’intera Spagna. Con un Governo in piena crisi di credibilità, travolto dai casi di corruzione, un’opposizione inefficace e la più ricca delle sue regioni che non riesce a costituire il governo locale perché bloccata dai veti incrociati della lotta pro/anti indipendenza, viene da pensare che la Spagna prospera ed efficiente che avevamo conosciuto tra il 1992 e il 2010 sia stata solo un pia, seppur bella, illusione.
Foto di copertina: manifestazione indipendentista [wikipedia.org]
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