Russia

Uccidere la stecca del coro. Anna Politkovskaja, dieci anni fa

7 Ottobre 2016

Mosca, 7 ottobre 2006 tardo pomeriggio. Una donna sta caricando le borse della spesa che ha appena fatto al super vicino casa. Sta per entrare nell’ascensore quando un uomo le si avvicina. Quella donna non entrerà mai nell’ascensore. Rimane lì a terra, quattro colpi di pistola l’hanno uccisa. Uno alla testa. Il suo nome è Anna Politkovskaja.

Il 7 ottobre – quando si dice il caso – è il giorno del compleanno di Vladimir Putin.

Dieci anni dopo che cosa sappiamo? E, soprattutto: rimane una memoria di quel 7 ottobre 2006? La domanda è legittima non solo a Mosca o più in generale nel vasto territorio della Federazione russa  ma anche qui, in quest’altra parte d’Europa.

Forse è bene ritornare sul fatto, perché, appunto, non mi sembra che nemmeno qui, in quest’altra parte d’Europa, abbiamo tutti noi molta memoria. A dieci anni di distanza oggi quella memoria è più imbarazzante di quanto allora non accadde.

Rileggere i giornali di allora da un segno di quel tempo, ma per certi aspetti anche del nostro.

Il 10 ottobre 2006, Anna Politkovskaja è stata uccisa tre giorni prima, Vladimir Putin, in quel momento Presidente della Federazione russa, prende pubblicamente la parola e promette un’inchiesta e un’indagine approfondite. E’ interessante sottolineare in quale occasione e in quale luogo egli renda quella dichiarazione. La scena avviene a Dresda – non a Mosca  – al termine di un colloquio con il cancelliere tedesco, Angela Merkel. In quell’occasione Putin condanna “l’orribile assassinio” (così dice) della giornalista che aveva indagato sulle atrocità in Cecenia.

Quella dichiarazione, che coincideva con lo svolgimento dei funerali della Politkovskaya a cui nessun rappresentane del governo e delle istituzioni si fa vivo, ha infatti anche un valore “commerciale”: la possibilità di un accordo sulla questione del gas russo (una delle risorse di lungo periodo su cui la Russia scommette per il suo rilancio industriale e finanziario). Anche per questo quella esternazione appare poco credibile. Infatti: avviene sotto l’ondata di uno stupore internazionale per il suo silenzio ed  è resa “lontano” da casa sua, a uso e consumo della “politica estera”. Non parla alla propria opinione pubblica.

Tutto questo rispecchiava già allora una condizione politica della Russia che non  sembra così mutata oggi e su cui è bene riflettere.

L’assassinio della Politkovskaya non fu l’unico; si collocava in una lunga serie di uccisioni che avevano colpito vari settori della società civile russa a partire dalla metà degli anni ’90, per di più con una prevalenza impressionante  di giornalisti.

La convinzione di Anna Politkovskaya era che ciò che stava accadendo in Cecenia aveva una stretta relazione con la qualità della democrazia politica russa, soprattutto con la libertà d’informazione. Almeno da tre punti di vista questa valutazione è vera a maggior ragione dopo il suo assassinio.

1) I tragici fatti di Breslan (200 morti tra membri del gruppo terroristico e ostaggi) nel settembre 2004, soprattutto il modo di gestire l’emergenza nei giorni del sequestro e poi di controllare l’informazione sulla sua tragica conclusione, erano stati indicati da Anna Politkovskaya come l’evento che simbolicamente aveva rappresentato un salto di qualità nella progressiva restrizione della libertà di informazione.

2) Il controllo dell’opinione pubblica attraverso il sistema televisivo. I due network televisivi fondamentali (ORT e RTR) strettamente controllati dal governo centrale, o da amici di Putin.

3) L’uccisione di Anna Politkovskaya avviene in un contesto in cui altre morti sono state significative. Una soprattutto: quella del vice governatore della Banca centrale Andrei Andreyevich Kozlov, avvenuta il 14 settembre 2006, tre settimane prima di quella di Anna Politkovskaja. Kozlov è l’uomo che ha tentato di costruire un sistema finanziario trasparente nella Federazione russa.

Dal 2004, dopo la strage di Breslan si apre una riforma del potere reale senza controllo da parte dell’opinione pubblica. Non è detto che i mandanti dell’assassinio di Kozlov e quelli di Anna Politkovskaya siano gli stessi, ma il messaggio che allora hanno inviato è identico.

Lo si può riassumere in questo modo: la società va governata senza discutere il potere reale e senza criticare il centro del potere. E la stampa è tollerata solo se non fa il proprio mestiere. Da allora che cosa è cambiato?

Per completezza di cronaca va anche ricordato che il 9 giugno 2014 un tribunale di Mosca ha sentenziato le pene per i cinque uomini già giudicati colpevoli dell’omicidio di Anna Politkovskaja. Per la precisione: ergastolo per Rustam Makhmudov, colui che ha sparato, e suo zio Lom-Ali Gaitukayev, l’organizzatore. Gli altri tre, riconosciuti come partecipanti e co-organizzatori dell’omicidio, sono stati condannati rispettivamente a dodici e quattordici anni di carcere, mentre l’ex-dirigente della polizia di Mosca, Serghiei Khadzhikurbanov ha ricevuto una pena pari a vent’anni.

La vicenda giudiziaria si chiude lì. Resta aperta la questione politica allora come ora.

 

P. S. Mosca, Cimitero Troekurov, ulica Rjabinovaja, letteralmente via del sorbo selvatico. La tomba della Politkovskaja si trova quasi al limite del cimitero, nella settima sezione, in compagnia di militari, politici, uomini di scienza e di arte. Accanto all’immagine della donna dagli occhi tristi troneggia un giornale in cemento perforato da cinque colpi. Quattro ricordano la scena materiale del delitto e la vittima concreta. Il quinto allude alla libertà di stampa, la vittima concettuale di quel 7 ottobre 2006.

 

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