Russia

La pace astratta

17 Aprile 2022

Tra l’esportare la democrazia e l’assecondare il putinismo con il culo degli altri per amor della pace astratta, in fondo, non è che ci sia poi questo grosso scarto concettuale.

Entrambi gli approcci poggiano su fondamenta squisitamente etnocentriche. Secondo cui è giusto che individui partecipi di strutture sociali, politiche e culturali assai distanti dalle Nostre si pieghino alla Nostra visione delle cose perché noi sappiamo, di default, cos’è meglio per loro.

L’occidentale si disturba nel pensare a luoghi dell’universo non guidati da principi democratici, non impomatati dall’Illuminismo, in cui esistono persino cose superate come la guerra. Si sente responsabile di tutto il male e di tutto il bene geograficamente raccoglibili. Colonizza, decolonizza, moralizza, destabilizza, fa autocritica. L’importante è che non dismetta mai il proprio protagonismo, che continui a sentirsi centro degli eventi, che persista nel sentirsi demiurgo di un’idea di progresso storico da introdurre, ove richiesto, finanche a suppostate nel fondoschiena del reale.

L’occidentale, quando si sente buono, cioè quando critica l’Occidente da occidentale, per non venire meno alla propria bontà, decide di sorvolare a occhi chiusi sulle coscienze rifondate di chi è in prima linea nelle macellerie belliche, di schierarsi per la pace astratta da appiccicare su una guerra astratta, perché la guerra astratta è l’unica guerra di cui ha esperienza. Decide per l’astratto.

Non importa se tra due parti in conflitto esiste una cristallina disparità in termini di forza negoziale e volontà di dialogo, ciò che conta è che si arrivi all’immediata cessazione delle ostilità, anche se la stessa potrà contare sull’aspettativa di vita di un arcobaleno, perché l’occidentale buono ha contezza di ciò che è giusto a prescindere e ritiene che la pace a cazzo, cioè non costruita su un tentativo di bilanciamento delle forze in campo, sia l’opzione migliore: “questa è una guerra per procura di Biden”, si ripete; gli ucraini – che non paiono essere dei grandi appassionati dell’esistenza poiché resistono a oltranza – sono solo marionette mosse dalla fruttuosa astuzia bellica americana; se non fossero plagiati, non vedrebbero l’ora di sperimentare l’irresistibile piacevolezza del putinismo; ecc.

L’occidentale buono, in questo delicato frangente geopolitico, per offrire consistenza alla propria bontà e alla propria destrezza di giudizio, ha persino colto l’occasione per elaborare un modello d’intellettualità futuribile partendo dall’idea di complessità programmata. Modello in base al quale la complessità, più che apparire come la struttura non curvabile del fluire dei fenomeni in attesa di cauta decifrazione, si manifesta in quanto arma segreta da attivare nel dibattito pubblico per distrarre dalla pochezza argomentativa di ciò che si proferisce.

Tale idea di complessità trova la sua massima espressione teorica nella dottrina complessista. Che si sostanzia in una sapiente vivisezione delle parole sconvenienti da praticare con il bisturi della mistificazione, accompagnata, come accennato, da una sapiente siliconatura trasfigurativa delle banalità.

Tanti gli esempi: la resistenza non si può definire resistenza, come se il concetto di resistenza non fosse semanticamente elastico o fosse ascrivibile unicamente a un preciso passaggio storico; l’invasione non si può definire invasione perché a definirla tale si fa dell’atlantismo acritico; Putin non si può definire un criminale di guerra per ragioni di par condicio geopolitica; le stragi di civili vanno condannate ambiguamente, con inquietanti punte di negazionismo, perché condannarle apertamente significa farsi manipolare dalla propaganda; ecc.

Una logochirurgia mistificatoria che rappresenta, per l’occidentale buono, l’ultima chance per far luccicare la propria bontà al cospetto dello sguardo spietato del corso storico: ponendosi come teoria istituzionale della complessità essa conferisce lo status di “complesso” alle più rudimentali stronzate pacifondaie in circolazione nella speranza di provocare l’illusione ottica della profondità di pensiero.

Meglio sotto una dittatura che sotto le bombe, ama ripetersi l’occidentale buono. Senza aver sperimentato né l’una né le altre. E quando è in vena si permette persino il lusso di alludere a inconfessabili nostalgie sovietiche pur di stigmatizzare la dottrina bellica americana, senza imbattersi in alcun brivido di disagio.

Come se Putin avesse qualcosa da spartire con l’URSS. Come se l’URSS non fosse stata un orrore totalitario da cui prendere sempre e comunque le distanze, distanze siderali.

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