Russia
2017: L’anno della Russia
L’importanza russa ai tavoli della politica internazionale è in ascesa. Solo qualche tempo fa, dopo l’annessione della Penisola di Crimea alla Federazione Russa nel marzo del 2014, le sanzioni internazionali sembravano poter indebolire lo strapotere putiniano…
Poi però le cose sono andate in maniera opposta. A settembre il volto di Putin è finito sul settimanale Time, Forbes ha inserito il presidente russo in prima posizione nella classifica delle persone più influenti del pianeta, è stato eletto il più filo-russo tra i possibili inquilini della Casa Bianca, l’Ucraina dell’est è stata progressivamente dimenticata dai media e la risoluzione del conflitto militare più importante per gli equilibri geopolitici globali, quello Siriano, è in mano ad un triumvirato composto oltre che da Turchia e Iran proprio dalla Federazione Russa. La politica interventista russa in Medio Oriente è divisa tra i giudizi di una narrazione atlantica, in cui si parla di genocidio ed errori strategici, e una “filorussa”, in cui si sottolinea la progressiva ritirata dal suolo siriano delle bandiere nere del califfato. Da una parte quella che sembra essere una vittoria sempre più prossima sui seguaci del califfo dall’altra gli effetti, atroci, di tale successo.
Alla domanda posta in conferenza stampa al Presidente del Consiglio Gentiloni su come cambieranno i rapporti tra Stati Uniti e Italia con il nuovo inquilino della Casa Bianca il primo ministro ha risposto che non cambierà nulla, ma forse l’Italia potrà dare un contributo nel miglioramento dei rapporti tra l’occidente e la Russia.
Nonostante l’economia russa non stia vivendo i suoi giorni più prosperi, il potere politico di Mosca non è in discussione. E a questa risalita dell’influenza politica della federazione guidata da Vladimir Putin si aggiunge un sensibile aumento del suo soft power: ci sono le trasferte moscovite sempre più frequenti di esponenti politici europei, quasi sempre appartenenti a partiti populisti come Lega Nord, Movimento 5 Stelle e Front National. Ma anche la mai sopita nostalgia dell’Unione Sovietica, espressa dallo stesso Putin, che oggi cresce fino a vedere il 56% dei cittadini russi rimpiangere l’URSS – un fatto che suona minaccioso a molte orecchie in Europa orientale.
In occidente il conflitto siriano ha sdoganato definitivamente la narrazione politica pro-russa secondo cui il supporto militare a favore dei lealisti di Bashar al-Assad sta portando a successi sul campo di battaglia e mettendo una toppa su un problema, quello mediorientale, dovuto agli errori statunitensi che dal 1991 sono proseguiti fino ad oggi, con lo spazio lasciato all’espansione del Daesh. L’idea di un Putin che rattoppa gli errori di Obama per molti è convincente. Per esempio il dialogo tra Russia e Iran, in questa prospettiva, sarebbe la prova provata dell’adeguatezza del Cremlino nell’occuparsi di questioni globali ricoprendo il ruolo di leader un tempo ricoperto da Washington.
Già con la guerra in Ucraina le due narrazioni si sono discostate in modo evidente con un occidente arrabbiato per un’aggressione militare simile a un’invasione e una visione russa, opposta, che vedeva quella della Crimea come una liberazione dal giogo ucraino di popolazioni russofone e politicamente oppresse.
Oggi le due narrazioni hanno un respiro globale e viaggiano parallele, ma il vento che tira è sicuramente favorevole ai filorussi. Giornalisti come Sebastiano Caputo contribuiscono alla crescita e alla diffusione quotidiana della narrazione pro-russa. Ad esempio, sotto la nuova copertina di Left dedicata ai caschi bianchi, definiti “persone dell’anno” in quanto “civili che aiutano civili” si è scatenato il disappunto dei lettori che hanno sottolineato come proprio sui caschi bianchi pesi il sospetto di collaborazione con il fronte di al-Nusra, cioè l’ala siriana e libanese dei fondamentalisti islamici di Al-Qaeda. La strategia di fondo della narrazione filorussa è riassumibile in una costante accusa di ipocrisia rivolta agli avversari politici.
I Putiniani sottolineano la vicinanza dei sauditi, sospetti burattinai del Daesh, agli Stati Uniti e così fanno coi caschi bianchi in Siria e così via. La linea retorica non è troppo diversa da quella dell’Alt-right occidentale: meglio gente che dice le cose come stanno, dove con “dire le cose come stanno” si intende, almeno nel caso siriano, che i lealisti sono meglio dei ribelli. Anche osservando la recente decisione di Obama di espellere trentacinque diplomatici russi si ha la sensazione che Putin abbia, comunicativamente, il coltello dalla parte del manico. Nella dichiarazione in risposta alla decisione “in stile guerra fredda” del presidente uscente le dichiarazioni provenienti dal Cremlino sono suonate piuttosto serene. Putin dice, in sostanza, che aspetta con fiducia l’amministrazione Trump.
Se è vero, come scrive Ana Swanson, che la globalizzazione è un evento ciclico e che il mondo di oggi somiglia molto a quello precedente al primo scontro mondiale è vero anche che questo scenario isolazionista indebolirà l’occidente e farà dell’est un protagonista.
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