Europa
La notte di Atene, dove l’Europa rinasce o muore per sempre
È un’idea nata su un’isola del Mediterraneo, questa Europa, dalle menti illuminate di alcuni intellettuali e politici relegati al confino dal nazionalismo fascista. E proprio nel mezzo del Mediterraneo, ad Atene, nella “piccola” e “povera” Grecia, l’Europa politica, economica e monetaria ha incontrato il suo crocevia più importante, ha visto allo specchio i suoi peggiori fantasmi, si è scoperta sul baratro del fallimento, ha misurato la portata degli errori degli stati membri e quelli dell’Unione. È successo negli anni scorsi, quando i conti insostenibili e falsati della Grecia sono andati a sbattere contro la rigidità dell’Europa politica e monetaria a trazione tedesca: alla mancanza di un’autocritica sufficiente da parte di un paese, si contrapponeva la mancanza di flessibilità e pragmatismo dei tedeschi, troppo attenti alla difesa di un’Europa costruita attorno ai propri interessi per comprendere che, alla lunga, rischiano di soffocare tutti quanti stanno attorno a loro. E succede, tanto più, oggi.
Oggi, col trionfo di Syriza, il partito di sinistra guidato da Alexis Tsipras che spera addirittura di guadagnare la maggioranza assoluta dei seggi, la Grecia diventa capitale di un processo politico ed economico sicuramente storico: da qui può nascere un’Europa nuova, più unita o, al contrario, da qui può iniziare la fine del sogno federale che animò Spinelli, Rossi, Colorni a Ventotene, e tanti altri dopo. Infatti, al di là di molte uscite elettoralistiche e di diversi aspetti problematicamente demagogici del programma di Tsipras e dell’immagine del partito e del suo leader, è piuttosto chiara la funzione che lo stesso Tsipras svolgerà negli assetti europei, e il ruolo di catalizzatore che molti, in Europa, attribuiscono al leader ellenico. Sì, perché fa in effetti una certa impressione vedere, a casa nostra e non solo, politici che stanno caratterizzando la loro azione e identità politica con movenze (o almeno aspirazioni) apertamente liberaldemocratiche, guardare con simpatia ad Syiriza che, invece, ha un programma radicalmente espanasivo fondato sulla spesa pubblica e sulla promessa di non mantenere gli impegni con le controparti. Non parliamo, per capirci, di un leader che chiede di rivedere di qualche punto decimale i patti, ma di un politico che, sostanzialmente, chiede che quei patti siano stracciati per scriverne daccapo di nuovi.
Ora, il fatto che molti in Europa, con l’esclusione granitica della sola Germania o della parte di essa che detta la linea, guardano con tanta attenzione a queste elezioni greche e con la palese speranza che fosse proprio Tsipras a vincere ben al di là del merito della sua proposta politica, testimonia in maniera forte che un cambio di passo rispetto all’Europa a trazione tedesca è atteso ad ogni latitudine. Che il tempo per decidere che il futuro del continente non può essere scritto, una volta per sempre, nei trattati e nei rapporti di forza cristallizzati: e che bisogna riparlarne, insieme, imparando a rispettare anche quelli che non hanno “fatto i compiti” abbastanza bene finora, perché anche loro, come dimostra proprio la Grecia, possono diventare controparti scomode e, sostanzialmente, forti.
Un’ultima nota, per tornare da Atene a Roma. La vittoria di Syriza deve servire per costruire un’Europa più plurale, aperta, fondata sul lavoro che genera crescita e su una solidarietà fra popoli che fa di essi un solo popolo federato. Non può, non deve servire, a giustificare la mancanza d’impegno nel rendere sostenibile la finanza pubblica nazionale e nel mettere ordine in situazioni contabili, politiche e di distribuzione delle risorse grandemente sbilanciati e nel medio periodo non più sostenibili. Dobbiamo, insomma, negoziare con i tedeschi per un’Europa più equilibrata come se non ci fossero debolezze errori e lacune nazionali; ma al contempo dobbiamo combattere i disordini, la spesa pubblica inutile e le troppe tasse su chi lavora e produce che servono per mantenerla, le clientele e le corruzioni di casa nostra, come se non fosse l’Europa a chiedercelo, ma la premura per il nostro futuro. Che è poi la verità: ad Atene, come a Roma.
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