Europa

Grecia, Spagna, Uk: tutti i “referendum” sull’Europa del 2015

1 Gennaio 2015

Grecia, Spagna, Inghilterra, ma anche Polonia, Portogallo e Finlandia. Il 2015 inizia con un’agenda elettorale fitta che grava sull’Europa. Il tema dell’Ue è al centro di quasi tutte le campagne elettorali, a causa della crisi economica che ha alimentato le pulsioni anti-euro; ed è talvolta diventato il primo punto nel programma di molti partiti, condizionando le posizioni di quelli più moderati, come è in parte avvenuto con i Tories in Inghilterra.

Il primo appuntamento, non solo in senso temporale, è quello in Grecia. Il 25 gennaio bisogna votare il nuovo Parlamento. La crisi è stata innescata dalla mancata elezione del presidente della Repubblica: anche dopo la terza votazione non è stato raggiunto il quorum necessario per indicare l’erede di Karolos Papoulias e la Costituzione prevede il ritorno alle urne. La campagna elettorale – in questo clima di incertezza – si gioca quasi esclusivamente sull’economia. La recessione ha impoverito il Paese, facendolo diventare un paradigma negativo in Europa. Il voto rischia di trasformarsi in una sorta di referendum sull’euro. Il primo ministro, Antonis Samaras, ha già agitato lo spauracchio dei mercati e del possibile default. La strategia di comunicazione è insomma già delineata.

I sondaggi danno in testa Syriza, il partito di sinistra guidato da Alexis Tsipras. Con un consenso intorno al 30%, il vantaggio è di circa 5 punti percentuali sui conservatori di Nea Dimokratia, capeggiati dal premier Samaras. Le questioni sul tavolo sono numerose, a cominciare dalla disoccupazione quasi al 27%. La Commissione europea, nelle stime di novembre 2014, ha indicato un aumento del Pil pari allo 0,6% per l’anno che sta finendo. Ma la speranza di tirarsi fuori dalla recessione non significa che la crisi sia totalmente alle spalle. Il debito è superiore ai 300 miliardi di euro e l’80% è nella mani della troika, formata da Banca Centrale europea, Fondo monetario internazionale e Unione europea. Ma bisognerà saldare questo debito, che Tsipras vorrebbe rinegoziare, altrimenti torna lo spettro del default.

Inoltre, aumenta il timore di uno stallo politico, perché l’eventuale vittoria di Tsipras non garantirebbe una maggioranza in Parlamento. La legge elettorale proporzionale costringe a uno schema di alleanze. Syriza dovrebbe scendere a compromessi con altri partiti, in tempi anche molto celeri. Entro la fine di febbraio, infatti, deve siglare l’intesa con la troika per la fine, già prevista, del piano di salvataggio da 240 miliardi. Un quadro che può avere ripercussioni sulla stabilità dell’Eurozona.

Mentre in Grecia le elezioni arrivano all’improvviso, in Spagna si attendeva già il 2015 come un anno ad alta densità elettorale. Il 24 maggio sono in programma le Amministrative, un primo test fondamentale per comprendere gli equilibri politici. Si voterà a Madrid, dove il sindaco, Ana Botella (Partito popolare), moglie dell’ex premier Aznar, ha deciso di non ricandidarsi. Le elezioni nella Capitale sono una cartina di tornasole per i conservatori, indicati in sensibile calo nei sondaggi. Anche Barcellona, l’altra grande città spagnola, è attesa da una competizione interessante. Il sindaco, Xavier Trias, a capo di Convergència i Uniò (la coalizione di partiti catalani), punta alla rielezione dopo aver strappato nel 2011 la città ai socialisti. In questo caso la partita politica si sposta anche sul terreno dell’indipendentismo catalano, argomento forte dopo il referendum vietato lo scorso novembre. Le Amministrative, peraltro, servono a comprendere la reale portata del fenomeno Podemos, il partito “anti-sistema” che vede nell’eurodeputato, Pablo Iglesias, il principale punto di riferimento.

Il lungo anno elettorale in Spagna culminerà con il voto di novembre che stabilirà i nuovi equilibri parlamentari. Alcuni sondaggi danno in testa Podemos, con un potenziale 28%, davanti ai socialisti del Psoe di Pedro Sanchez e ai conservatori del Pp guidati dal premier Mariano Rajoy. Altri rilevamenti, invece, indicano il Psoe in lieve vantaggio su Podemos e popolari. L’unica certezza è che il bipartitismo spagnolo è entrato in declino, come scrive El Pais. L’economia è, comunque, una priorità. La disoccupazione è poco al di sotto del 25% mentre la crescita si attesta all’1.2%. Il rapporto deficit/Pil è al 5.6% e, secondo la Commissione europea, solo nel 2016 si avvicinerà al parametro del 3%, scendendo al 3.9%. Il tema dell’euro è un vessillo sbandierato da Podemos, molto critico verso le politiche di austerità imposte dall’Ue e dal sistema bancario.

Leader Ukip Farage

La corruzione è un altro argomento caldo. Il governo Rajoy è stato colpito dal caso Gürtel, un’inchiesta legata al malaffare tra imprenditoria e politica che ha portato al rinvio a giudizio di 43 persone. Il ministro della Sanità, Ana Matro, è stata costretta alle dimissioni dopo il coinvolgimento del marito nello scandalo di corruzione che ha toccato da vicino altri dirigenti dei popolari. In un quadro così incerto, emerge un’ulteriore questione: la tenuta dell’unità nazionale. La richiesta di indipendenza della Catalogna non è stata soffocata con il divieto imposto al referendum e la preoccupazione è quella di un effetto domino che possa coinvolgere soprattutto i Paesi Baschi, da sempre fortemente indipendentisti. Perciò nel Psoe è stato già aperto il dibattito sulla possibilità di formare una “grossa coalizione” sul modello della Germania per tutelare economia e unità statale. Ma il leader del Psoe Sanchez, in un clima di campagna elettorale, preferisce respingere l’ipotesi.

Il tema nazionalista, seppur declinato in maniera diversa, è il tratto caratterizzante delle elezioni in Inghilterra, fissate il prossimo 7 maggio. L’Ukip del nazionalista Nigel Farage ha sfondato la quota del 27% alle ultime Europee. Il sistema elettorale inglese è maggioritario e quindi è poco plausibile la conquista di una maggioranza schiacciante da parte dei nazionalisti. Tuttavia, la crescente influenza dell’estrema destra ha portato i deputati, Douglas Carswell e Mark Reckless, a passare dai Tories all’Ukip. Il primo ministro, David Cameron, ha fiutato il pericolo, spostandosi politicamente più a destra. Sull’immigrazione ha assunto una posizione dura, scontrandosi con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, sull’eventuale stop ai flussi migratori anche dai Paesi dell’Ue. Nigel Farage punta così con decisione sull’uscita immediata dall’Unione europea, mentre il premier attende il referendum del 2017 per decidere i destini di Londra in relazione all’Europa.

Anche in Inghilterra l’economia gioca un ruolo fondamentale in ottica elettorale. La crisi non è lontanamente paragonabile a quella di Grecia e Spagna. Il Pil nel 2014 è stimato a una crescita del 3.1%, la disoccupazione è in calo al 6.2% rispetto al 7.5% del 2013. Ma, nonostante le politiche di austerità, il deficit resta alto. I laburisti di Ed Miliband, quindi, criticano i tagli ai servizi sociali, rispolverando un’identità di sinistra più tradizionale e accantonando – seppur parzialmente – l’era del blairismo. Una sicurezza è rappresentata dal crollo dei LibDem di Nick Clegg, attuale alleato di governo dei Tories. Gli ultimi sondaggi danno i laburisti in testa, intorno al 35%, con un margine di qualche punto sui conservatori e l’Ukip che si avvicina al 20%. La sintesi migliore è stata proposta da Toby Helm, su The Guardian: «L’esito più probabile delle elezioni 2015 è un Parlamento appeso a un’altra coalizione». Labour e Tories, insomma, corrono il rischio di doversi sedere al tavolo per formare un esecutivo e disinnescare la minaccia nazionalista dell’Ukip.

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La miccia dell’euroscetticismo è stata accesa pure in Polonia, nonostante i buoni dati economici: il Pil è al +3% e il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 10% nel 2014. A giugno si voterà per il nuovo presidente e in autunno ci saranno le elezioni parlamentari. L’ingresso nell’euro è un argomento scottante, che ha ringalluzzito gli euroscettici, benché l’ipotesi sia stata posticipata al 2020. In ogni caso il partito nazionalista Diritto e Giustizia, guidato dall’ex premier Jaroslaw Kaczynski, ha vinto le recenti elezioni amministrative, conquistando il 31,5% dei voti, il 4% in più in confronto agli avversari di Piattaforma Civica. Il messaggio anti-Ue di Kaczynski fa tremare il partito del neo presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e dell’attuale premier Ewa Kopacz.

Il 19 aprile le urne saranno aperte anche in Finlandia con l’estrema destra che vuole bissare il fenomenale il risultato delle ultime elezioni: i Veri Finlandesi di Timo Soini sono la terza forza parlamentare con il 19%. ottenuto nel 2011. Il punto di forza è la propaganda nazionalista. I sondaggi, però, li danno in calo, intorno al 14%. I favoriti sono infatti i centristi del Kesk di Juha Sipila, dati al 26%, mentre conservatori e socialdemocratici si attestano al 16% circa. La Finlandia ha affrontato la recessione nel 2014 e nel prossimo anno dovrebbe riprendere a crescere, seppure sotto l’1%. Al fianco di questa preoccupazione, però, c’è anche lo sguardo rivolto alla politica estera: gli appetiti neo-imperialisti della Russia sono scrutati con preoccupazione da Helsinki.

Il Portogallo è uno dei Paesi che, in silenzio, è uscito dal programma di bailout, facendo tornare il segno positivo nel Pil (+0,9%). Il successo in campo economico, sotto le richieste della troika, ha però penalizzato il premier conservatore, Passos Coelho, che si avvia verso una sconfitta quasi certa alle elezioni di ottobre. I sondaggi danno in vantaggio i socialisti, che hanno scelto come leader il sindaco di Lisbona, Antonio Costa. Il centrosinistra può sfruttare la leva della crescita, anche se occorre prestare attenzione al bilancio per arrivare, nel 2016, al risultato del 2.8% del rapporto deficit Pil, come previsto dalla Commissione europea.

L’agenda elettorale dell’Europa nel 2015 può essere chiusa con il convitato di pietra di ogni elezione: la Germania. L’anno tedesco sarà relativamente tranquillo. Il voto è previsto solo ad Amburgo, a febbraio, e a Brema, a maggio. In particolare ad Amburgo la Spd vuole ripetere l’exploit di Olaf Scholz del 2011, anno terribile per la Cdu. Ma qualsiasi risultato non avrebbe grosse ripercussioni sul governo Merkel, le cui preoccupazioni sono rivolte altrove.

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