Germania
Una nuova SPD?
“Nikolaus ist GroKo-Aus”. Il giorno di San Nicola, si esce dalla Große Koalition.
Dopo la notizia a sorpresa della vittoria di Norbert Walter-Borjans e Saskia Esken al ballottaggio per la guida della SPD, questa frase veniva ripetuta spesso da molti dei loro sostenitori, contrari a continuare l’esperienza delle larghe intese con la CDU.
Il congresso SPD, infatti, si è concluso con l’ascesa di leader relativamente nuovi, in rottura con la linea degli ultimi anni. Si tratta di due esponenti sicuramente più a sinistra dei vertici precedenti, che vincono con il 53% contro Olaf Scholz e Klara Geywitz, fermi al 45% in un ballottaggio che li vedeva favoriti.
Il dato è chiaro: qualcosa, tra i socialdemocratici, è cambiato, e questo al netto del fatto che al voto ha partecipato solo il 54% degli iscritti. Per alcuni, dunque, era solo questione di tempo: il Parteitag, tenutosi dal 6 all’8 dicembre a Berlino, avrebbe sancito la caduta del governo.Eppure, l’evento nazionale non ha visto i nuovi leader socialdemocratici fare l’annuncio che alcuni (molti?) aspettavano, in alcuni casi temendolo.
Del resto, già durante la campagna congressuale Esken e Walter-Borjans (come abbiamo raccontato su Kater) hanno criticato molto la GroKo, oltre che l’attuale classe dirigente dei socialdemocratici, sostenendo la necessità di rilanciare l’agenda sociale in Germania, ma non si sono mai espressi chiaramente sulla volontà di rompere il patto di governo, lasciandosi aperta l’ipotesi di continuare a governare alzando il tiro. Acqua sul fuoco era stata gettata dopo il ballottaggio anche da figure famose per la loro contrarietà al governo con la CDU, come Kevin Kühnert.
Il congresso che incorona Walter-Borjans ed Esken come leader della SPD che verrà, dunque, si muove tutto su due direttrici parallele, che i nuovi leader dovranno saper tenere insieme: da una parte rinnovare temi e proposte di un partito che da anni è in crisi, dall’altra rimanere al Governo, cercando però ora di guidarne l’azione.
Sul fronte del rinnovamento della proposta politica, infatti, i 3 giorni di Berlino sono stati densi di discussioni e programmi. Sotto il claim “in die neue Zeit” (nel tempo nuovo), il partito si è ad esempio scoperto d’accordo sul lasciarsi alle spalle Hartz IV, la quarta parte del piano Hartz, un insieme di proposte per rilanciare il mercato del lavoro varate nel 2003 da Schröder (in piena “terza via tedesca”), ormai divenuto per molti inadatto ai tempi e anzi spesso peggiorativo delle condizioni dei disoccupati, varando una serie di riforme con un approccio più globale per un welfare che necessita di aggiornamenti. Durante l’intervento di Franziska Giffey, Ministra per la Famiglia, si parla ad esempio di Kindergrundsicherung, un piano di investimenti in scuole, asili e infrastrutture per l’infanzia, che si accompagni anche a un contributo di 250€ mensili per i primi anni di vita, a cui si aggiungerebbe un ulteriore contributo in base al reddito. Si afferma la necessità di migliorare il Mindestlohn, la legge sul salario minimo, aumentandolo a 12€ all’ora e prevedendo diritto al telelavoro e orari più flessibili, e magari associandovi un Bürgergeld, un reddito universale. Proprio su questo punto c’è molta aspettativa da parte dei Genosse, basti pensare che il deputato Hubertus Heil ha parlato della decisione di abbandonare Hartz IV come di un “grande giorno per la socialdemocrazia”.
Al tempo stesso, si parla di tassazione sulle grandi proprietà, ma anche di temi ambientali: la SPD vuole spingere affinché la Germania si dia l’obiettivo di avere il 65% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2030, si parla di strategie per la decarbonizzazione, mentre addirittura sulla Zeit (il quotidiano vicino al partito) c’è chi, come Johannes Schneider, si chiede se la socialdemocrazia, per come la conosciamo, non debba morire per far spazio a nuove forze politiche rosso-verdi, che superino i limiti odierni di SPD e Grünen.
Queste proposte divengono ora temi in base ai quali ridiscutere l’accordo di Governo con i cristiano-democratici. Walter-Borjans ed Esken, insomma, decidono di non porre fine (per ora) alle larghe intese, ma di alzare la posta, per provare a guidare la maggioranza e a incalzare la CDU, uscendo dalla dinamica che da anni li vede come un partito-stampella.
E’ ancora presto per dire se questo basterà a risollevare il partito dalla crisi che vive, ma intanto si può dire che la vittoria di Norbert Walter-Borjans e Saskia Esken lascia intendere una “svolta a sinistra” per la SPD (come sembrano suggerire le critiche di Schröder e la nomina di Kevin Kühnert come vicesegretario) e avrà una serie di conseguenze sullo scacchiere politico tedesco.
La prima – la più ovvia – è che le larghe intese ora traballano. I socialdemocratici cercano di alzare il tiro, ma la CDU, tramite Annegret Kramp-Karrenbauer, ha già fatto sapere che difficilmente accetterà un diktat.
Al tempo stesso, spostarsi a sinistra porta con sé il rischio di concedere ulteriore spazio al centro, tanto alla CDU (che in caso di rottura potrà accusarli di irresponsabilità) quanto ai Verdi (il cui segretario Habeck ha, per ora, criticato la sceltadei socialdemocratici di rimanere ambigui sulla Große Koalition).
Per i cristiano-democratici, inoltre, il cambio di passo degli alleati di governo potrebbe fornire un pretesto per rompere, qualora dovessero essere loro a volersi sfilare.
Il nuovo posizionamento, però, potrebbe permettere alla SPD in futuro, qualora fosse necessario, di farsi cardine di un’alleanza progressista alternativa alla CDU dopo il voto del 2021, dialogando con i Verdi, e forse, anche con la Linke. Chiaramente, però, per un’operazione del genere bisognerà vedere anche come evolverà il dibattito interno ai Grünen.
Le incognite sul tavolo sono molte, San Nicola non ha portato la caduta del governo come ripetevano alcuni, ma intanto il congresso SPD si chiude con una frase altrettanto iconica, detta da Walter-Borjans davanti alle telecamere: Die Große Koalition ist kein Selbstzweck, “la larghe intese non sono un fine in sé”.
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