Germania

Le elezioni tedesche, per noi, che i populisti li avremo (quasi) al 50%

24 Settembre 2017

Le elezioni tedesche consegnano alla Germania e all’Europa un quadro complicato, per il prossimo futuro politico del paese egemone nell’Unione continentale. La CDU e l’SPD, i due principali partiti della scena politica tedesca, che tali sono incontrastatamente fin dal secondo DopoGuerra, conseguono il peggior risultato della loro storia, rispettivamente con il 33% e il 20,8% dei voti. Angela Merkel sarà ancora una volta incaricata di formare un governo, e lo formerà, ma il suo ventennale primato mostra i segni del tempo, seppure dentro a un processo di logoramento così lento da risultare – nonostante tutto – una fortunata eccezione nel quadro di democrazie occidentali che consumano leadership con la rapidità (e la durata) delle campagne di marketing. Il suo partito, la CDU/CSU, pur restando ampiamente il primo, perde circa nove punti rispetto al voto precedente, ma conserva il pallino della formazione del governo. Un governo che dovrà fare a meno della Spd di Martin Schulz, a quanto dice in modo netto lo stesso leader socialdemocratico, che chiude la porta all’ennesima Grosse Koalition, dopo aver addirittura sperato qualche mese fa di poterla guidare sospinto da un grande risultato dei suoi socieldemocratici. Il risultato è stato assai diverso, i punti lasciati per strada sono circa cinque, e gli equilibri interni della sinistra storica istituzionale tedesca, evidentemente, non consentono di insistere oltre nel sostegno a un governo in cui l’egemonia democristiana, in particolare sulle tematiche del rigore di bilancio e sulla visione di Europa, non può essere contrastata né, in fondo, mitigata.

Così, se lo scenario fornito dagli Exit Poll e dalle prime dichiarazioni di Schulz sarà confermato, ci si avvia alla formazione di un governo nero-giallo-verdo, cioè formato dalla Cdu/Csu della Merkel, dai liberali dell’FPD e dai Verdi, che con poco meno del 9% dei voti migliorano leggermente la loro performance elettorale. Un governo composito, che si farà qualche fatica a formare e a far camminare, date anche le importanti distanze politiche e simboliche che dividono l’Fpd dai verdi, storicamente “a sinistra” dell’Spd. Sarà dura, ci vorrà pazienza e consapevolezza, doti che non mancano a un paese in cui nessuno pretende di sapere la sera del voto chi ha vinto, ma alla fine Angela Merkel un governo lo farà. Lo farà con una tripla opposizione, due elementi a sinistra e uno a destra. All’opposizione avrà, oltre ai vecchi alleati dell’Spd, la Linke, il partito di sinistra-sinistra che conferma, in sostanza, l’8,5% dell’ultimo voto. L’altra opposizione, quella di destra, porterà la temuta firma dell’estrema destra, quella di AfD (Alternative für Deutschland) che è attestata attorno al 13% mentre cinque anni fa non era arrivata al 5%. Un risultato eclatante, realizzato in un contesto di marcato aumento della partecipazione al voto (passiamo dal 71% al 76% circa), e in cui il tema sentito come più urgente, dall’elettorato, è quello dell’immigrazione, messa al primo posto dal 44%.

Come comprensibile e assolutamente razionale, dato il contesto e le premesse, i commentatori tedeschi si stanno già esercitando nel descrivere la fine di una storia, il disgregarsi della grande coalizione, ma anche nel sottolineare gli evidenti scricchioli cui sono sottoposte le storiche architravi della democrazia tedesca, cioè i due partiti che dopo il 1945 si sono costantemente divisi l’onere di governare. Volgendo uno sguardo al nostro paese e al nostro destino, tuttavia, si vede con ancora maggior chiarezza quanto la situazione italiana, che pure si avvia verso la campagna elettorale per le prossime elezioni, sia lontana da quella tedesca. In Germania, dove il ricordo del Nazismo e la successiva opera di denazificazione sono ancora vivi, un’affermazione dell’estrema destra attorno al 13% (meno estrema di certe destre nostrane, per molti versi) viene vissuta come un campanello d’allarme fortissimo per la tenuta delle istituzioni democratiche. Da noi, il blocco “euroscettico”, quello che in un modo o nell’altro ha costruito il suo consenso fondandolo sulla messa in discussione radicale dell’istituzione europea e in definitiva dell’ordinamento che regola la nostra comunità sociale e politica, è accreditato dai sondaggi di consensi attorno al 45%. Resta evidente che non è possibile sovrapporre il M5S, la Lega lepenista di Salvini e Fratelli d’Italia fra di loro, nè tout-court con l’AfD. E tuttavia fa impressione confrontare le difficoltà fisiologiche, per un governo di coalizione, che incontrerà Angela Merkel nel formare l’esecutivo, con la sostanziale impossibilità di formare un governo qualsiasi per chi (non) vincerà le elezioni in Italia. Dipende dal sistema elettorale ma anche, sicuramente, dalla spiccata vocazione non governativa di partiti che sfioreranno, tutti insieme, la maggioranza dei consensi.

Se l’Italia rappresenti l’eccezione o, come già in passato, l’avanguardia dei sistemi politici europei sarà il tema di studio dei prossimi anni. Speriamo che una Angela Merkel meno trionfante guardi con attenzione, di tanto in tanto, al di là delle Alpi. Dalla Baviera, storico granaio di voti per il suo partito e i suoi governi, sono poco più che due passi.

 

(Si ringrazia Andrea Mollica per la preziosa consulenza sui dati elettorali tedeschi, presenti e storici)

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