Germania
I debiti fra banche centrali secondo la BCE. L’Euro non è più irreversibile?
Con buona pace di chi auspicava che nel 2018 i saldi Target2 avrebbero cominciato a ridursi, gli ultimi dati mostrano come in realtà stiano continuando a divergere all’interno del sistema interbancario di pagamenti che elabora in tempo reale i bonifici transfrontalieri in tutta l’Unione europea. Il saldo tedesco ha raggiunto al 31 marzo 2018 la ragguardevole cifra di +923 miliardi di euro, mentre i saldi italiani e spagnoli rimangono su livelli record a -444 e -399 miliardi. Il tema resta al centro di un dibattito controverso che da adito a interpretazioni estreme e semplicistiche; l’elevata complessità tecnica delle argomentazioni non aiuta.
Eppure di saldi Target2 si deve continuare a parlare, visto che sono stati al centro dell’attenzione in 2 recenti, importanti occasioni: da un lato nelle scorse settimane un gruppo di influenti economisti tedeschi ne ha chiesto per i saldi target2 la conservazione dello status giuridico di debiti/crediti a tutti gli effetti nel caso un Paese membro dovesse ritirarsi unilateralmente dall’Unione monetaria. Dall’altra la stessa BCE attraverso le dichiarazioni del suo vice-presidente Constancio ha finalmente tratto tutte le conseguenze logiche dell’affermazione fatta da Draghi il 20 gennaio 2017 secondo cui in caso di uscita unilaterale i saldi vanno regolati in pieno ed in Euro. In quell’occasione infatti si parlò diffusamente dell’uscita di un Paese debitore (il riferimento era implicitamente rivolto all’Italia); stavolta si è chiarito finalmente cosa dovrebbe succedere in caso di uscita di un Paese creditore come la Germania. A marzo 2017 lo stesso Draghi glissò sulla questione sollevata da un’interrogazione da parte di europarlamentari olandesi, dichiarando che la BCE stessa non poteva fare ipotesi sulla fine dell’Euro data la sua irrevocabilità.
Ora pare che la BCE possa ipotizzare però. Le conseguenze di queste affermazioni ufficiali sono importanti.
Più volte (su Stati Generali qui, qui) ho sostenuto – e torno a sostenere – che se l’unione monetaria dovesse preservare la sua normale operatività a tempo indefinito, questi saldi rimarrebbero semplicemente delle pure espressioni contabili rappresentative dello squilibrio dei flussi finanziari e commerciali dell’Eurozona.
Ho definito i saldi come stratificazioni contabili di “operazioni morte” per evidenziare che sono state regolate appieno e vivono soltanto come scritture nei bilanci delle banche centrali. In molti si sono chiesti in che maniera questi saldi possano accumularsi in relazione alla normale operatività di aziende, banche ed operatori economici all’interno dell’Unione monetaria.
Per ulteriore chiarezza esplicitiamo per bene il ciclo contabile che porta alla nascita di un debito/credito Target2.
COME NASCE UN SALDO TARGET2: IMPORTAZIONI/ESPORTAZIONI DI MERCI TRA PAESI MEMBRI
L’impresa italiana Biscotti SPA importa macchinari dalla Germania prodotti dall’impresa Metall AG per 20.000 €. Biscotti SPA da dunque mandato alla propria banca (italiana) di regolare l’importo dovuto attraverso un normale bonifico transfrontaliero. La banca nazionale utilizza il sistema Target2 per regolare la transazione. Cosa succede? Come riportato in dettaglio in Figura 1, i passaggi contabili sono i seguenti: la banca italiana riduce i depositi del cliente per -20.000 € ed automaticamente riduce il proprio conto di riserva presso Banca d’Italia, conto che ogni banca italiana deve obbligatoriamente avere.
A questo punto Banca d’Italia iscrive dunque un debito T2 nei confronti di Bundesbank, la quale aumenta contestualmente il conto di riserva che la banca privata tedesca tiene aperto presso di essa; a questo punto la banca tedesca registra finalmente il bonifico a favore del cliente tedesco.
Figura 1
Quindi in definitiva, la Banca d’Italia, a fronte del debito Target2 iscritto in bilancio, va a ridurre i conti di riserva della banca italiana coinvolta nella transazione. Specularmente la Bundesbank, dopo aver registrato un credito Target2, aumenta i conti di riserva della banca beneficiaria. La transazione è dunque terminata, ma i saldi Target2 sono appena nati. Ulteriori operazioni si stratificheranno su questa appena registrata.
Appare evidente che se un Paese ha un surplus commerciale positivo con il resto dell’Eurozona, il suo saldo Target2 tenderà ad aumentare costantemente. Questo è il caso della Germania, dove 18 anni di bilancia commerciale positiva hanno contribuito in maniera determinante al raggiungimento dei valori record registrati ad inizio 2018.
Tuttavia non si esaurisce tutto in transazioni puramente commerciali. Le esportazioni ed importazioni certamente contano ma ci sono tutte le altre tipologie di transazioni finanziarie da considerare. Molte operazioni di spostamento di capitali finanziari non implicano che ci sia sotto una transazione commerciale di qualche tipo.
COME NASCE UN SALDO TARGET2: TRASFERIMENTOD I DEPOSITI BANCARI TRA PAESI MEMBRI
Nel momento in cui un cittadino italiano trasferisce i propri depositi all’estero tramite il canale bancario, il saldo Target2 registrerà il movimento di capitale, come nel caso di import/export descritto in precedenza. Contabilmente, la banca italiana riduce i depositi in Euro del cliente, riducendo contestualmente il proprio conto di riserva presso la Banca d’Italia; Banca d’Italia iscrive un debito T2 nei confronti di Bundesbank; la BuBa aumenta contestualmente il conto di riserva della banca privata tedesca; a questo punto la banca tedesca registra il nuovo deposito del cliente italiano (cfr. Figura 2).
Figura 2
Quindi si può dire in maniera molto intuitiva che ogni vota che – per qualsivoglia motivo – c’è un deflusso di moneta dall’Italia verso il resto dell’Eurozona il saldo Target2 si muove negativamente; positivamente se si registra un afflusso.
La nostra bilancia commerciale contribuisce positivamente alla determinazione del nostro saldo Target2, ma il suo peso relativo è basso, nel periodo dopo la crisi è di circa 10 volte inferiore rispetto a quello del surplus commerciale tedesco: per i numeri in chiaro su 5 differenti Paesi europei, consiglio la lettura del mio pezzo di analisi su Financial Times Alphaville.
Il nostro saldo Target2 è negativo principalmente per via del trasferimento di capitale finanziario verso l’estero: azioni, obbligazioni, fondi comuni lussemburghesi, olandesi e tedeschi. Gli italiani cioè preferiscono detenere le propria ricchezza finanziaria all’estero perché evidentemente non trovano attraenti le condizioni di investimento in Italia e (probabilmente) non si fidano a sufficienza del sistema bancario italiano.
COME LE COSE CAMBIANO IN CASO DI USCITA UNILATERALE DI UN PAESE DALL’UNIONE MONETARIA
Fin qui abbiamo descritto la prassi operativa standard. Il punto è evidenziare bene che questa interpretazione resta valida solo se si presuppone che l’Euro continuerà ad esistere indefinitamente; se ci dovesse essere un’uscita unilaterale dall’Euro di un Paese membro le cose cambierebbero forma, anche se non si sa ancora bene in quale direzione evolverebbero.
I saldi Target2 allo stato attuale non hanno una data di scadenza, dunque non sono esigibili. Questa caratteristica potrebbe solo cambiare in seguito ad una modifica – gioco forza concordata – delle caratteristiche contrattuali di questo debito.
Per molti anni il problema è rimasto soltanto teorico e limitato ad una frangia “radicale” di economisti; la BCE ha sempre sostenuto che non c’era da preoccuparsi perché l’Euro era e sarebbe restato irrevocabile. Nel frattempo la stessa BCE ha favorito al crescita dei saldi attraverso il Quantitative Easing; il denaro immesso in circolo attraverso l’acquisto di titoli di stato ha innescato degli enormi movimenti di capitali tra i Paesi dell’Eurozona che hanno ingigantito oltremodo i saldi.
Come già più volte ribadito, secondo quanto è stato delineato da Draghi lo scorso anno e ripreso coerentemente da Constancio nella sua dichiarazione di pochi giorni fa, quelle che allo stato attuale sono solo delle registrazioni contabili diventerebbero debiti/crediti reali tra autorità monetarie indipendenti. Torniamo di nuovo con un esempio standard: l’Italia decide di uscire, magari attraverso l’art.50 del Trattato di Lisbona. La Banca d’Italia si scinde dalla BCE riacquisendo una propria autonomia di bilancio.
In questo caso i saldi Target2 diventerebbero debiti e crediti reali tra autorità monetarie ben distinte, ognuna con il suo bilancio. Il debito di -443 miliardi rimarrebbe poi in capo a Banca d’Italia (non al governo), come una posta del suo passivo. Come Constancio ha sottolineato, la banca centrale dovrebbe “far fronte” a questo debito con le poste del suo attivo. L’attivo di una banca centrale è molto variegato: c’è sicuramente una parte di riserve di oro (in Banca d’Italia sono 86 miliardi), ma ci sono anche riserve valutarie in Dollari, Yen, e titoli di Stato italiani e di altre nazioni.
Cosa vuol dire “fare fronte”? Se il debito resta non esigibile perché d’altronde senza scadenza, è come se Banca d’Italia dovesse semplicemente “garantire” con le sue poste attive il passivo Target2 verso la Bundesbank e le altre banche centrali. Al di là degli aggiustamenti contabili necessari, niente di concreto dunque sembrerebbe succedere.
Il caso tedesco è del tutto speculare. Il suo credito Target2 è nei confronti di tutte le altre banche dell’Eurosistema, che lo garantirebbero attraverso le proprie poste attive di bilancio.
Dubito che però se un Paese decida di lasciare l’Unione monetaria ed il sistema Target2, la sua banca centrale non cercherà di avere accesso diretto al proprio credito ex-Target2 chiedendone l’esigibilità. Cioè vorrebbe dire che le banche centrali dei Paesi membri che restano dovrebbero ripagare il debito attraverso il contestuale trasferimento di poste dell’attivo: cioè titoli di Stato, valute straniere e – perché no? – anche oro.
L’unica, forse, remora all’esigibilità potrebbe essere la circostanza che l’uscita di un Paese dall’Euro possa determinarne anche la rottura. In questo caso infatti in quale valuta dovrebbero essere effettuati i regolamenti di questi rapporti creditori? Ipotizziamo, come tra le righe ha fatto intendere il Vice-presidente Constancio, che si dovrebbero comunque regolare avendo a riferimento l’ex-euro; il tema diverrebbe allora: quali sarebbero le rivalutazioni e le svalutazioni delle nuove valute nazionali? Se il nuovo marco ad esempio si rivalutasse del 20 o del 30% converrebbe alla Germania incassare un credito svalutato di questo ammontare dato che si tratterebbe de facto di un default sui saldi Target2? Per non affrontare poi il caso in cui invece il regolamento potesse avvenire direttamente in valute nazionali prescindendo dal vecchio euro. Se le nuove lire valessero il 30-40% in meno, un simile regolamento equivarrebbe ancora una volta, infatti, a un default sui saldi Target2.
Nel caso ulteriore in cui gli altri Paesi decidessero di non pagare a seguito della richiesta tedesca, la Bundesbank registrerebbe nuovamente dei crediti in default tra gli attivi di bilancio.
Insomma il rischio di trovarsi di fronte a sbilanci negativi potrebbe essere dietro l’angolo. Questo equivarrebbe ad operare nel regime della cosiddetta negative equity. Per una banca centrale dotata di sovranità monetaria questa circostanza in sé non è un dramma ingestibile; molte banche sudamericane hanno operato in regime di negative equity ed il loro sistema monetario continua a funzionare (più o meno) regolarmente. Anche la stessa BCE ha ammesso in un suo research paper che una condizione di negative equity non rappresenterebbe un impedimento alla normale operatività, al più potrebbe essere un problema reputazionale.
Ma per una banca centrale che punta a un ferreo controllo dell’inflazione, la reputazione è tutto; la Bundesbank accetterebbe di diventare alla stregua della banca centrale argentina?
È dunque evidente come in ogni caso nascerebbero problemi, non scevri peraltro da potenziali contenziosi.
Diventa chiara dunque per la Germania l’esigenza di negoziare una clausola di uscita dall’Euro con un grado adeguato di certezza sullo status di questi crediti e sul loro possibile default. L’articolo 50 in questa prospettiva diviene infatti inadeguato e anacronistico. È un peccato che invece di lavorare sugli Stati Uniti d’Europa, l’Euroburocrazia a trazione tedesca impieghi le sue migliori energie su come gestire la sua disgregazione.
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