Germania

Ecco perché è quasi impossibile spiegare il nostro debito a un tedesco

17 Giugno 2019

Il tassista che mi accompagna all’esagono in cemento che fa da aeroporto a Berlino mi chiede se io non sia preoccupato per il debito del mio Paese. Non vuole solo l’opinione di un italiano, no: quello che si aspetterebbe di vedere è una prospettiva sulla disperazione. Vuole sapere come io faccia a dormire la notte e, qualora riesca a dormire, come faccia io a non essere paralizzato dal panico appena mi sveglio. Sarebbe inutile nascondersi che nelle parole del tassista c’è una punta di sospetto etnico, ma c’è in qualche modo anche una sua sincera preoccupazione. Mentre costeggiamo il canale navigabile di Spandau, e quindi a Tegel non manca molto, cerco di spiegargli molto rapidamente che non deve preoccuparsi, che noi italiani sappiamo convivere con il caos e che in qualche modo una soluzione si troverà. Lui insiste: ma dovrete tagliare tutti servizi, gli ospedali, le scuole. Io gli replico che gli ospedali e le scuole italiane sono molto buoni, più volte che non si creda anche migliori che qui, e che continueranno a esserlo, ma lui, caparbiamente, mi dice che non è possibile, che dobbiamo restituire i soldi alla Germania, e che dovremo, eccetera, eccetera.

Dopo averlo reiteratamente tranquillizzato sul nostro futuro, lo saluto e mi dirigo al gate, dove, come mi succede spesso quando sono lì, mi accoglie un capannello di bavaresi che si lamenta dell’inefficienza di Berlino. Questo serve per dire che: 1. Si è sempre i sudeuropei di qualcun altro 2. Succede spesso qui che i temi pubblici vengano, nel bene e nel male, interiorizzati individualmente in una misura quasi incomprensibile, a Sud delle Alpi 3. Il debito, in particolare, per i tedeschi non è un’astrazione contabile che non si sa bene chi (la politica, le banche) in qualche modo risolverà, ma è la condizione di dovere soldi a qualcuno. E questa condizione, per una larga fatta di tedeschi, è intollerabile. Del resto, come si scriveva spesso ai tempi della crisi greca, Schuld vuol dire colpa, oltre che debito, e infatti il “padre nostro” in tedesco suona in qualche modo più interessante, e chissà se a questa cosa pensava anche il Trap quando urlava “ich habe immer die Schulde”.

I tedeschi non fanno mutui e rimangono spesso in affitto per anni, amano pagare con tanti contanti,  spendono fortune in assicurazioni per evitare ogni tipo di rischio, incoraggiano addirittura a pagare con bonifico bancario i biglietti dell’aereo pur di limitare l’uso delle carte di credito. In generale, vi è un atteggiamento molto sospettoso (a volte di vera paura) sul futuro in generale e sulla tecnologia soft in particolare, tanto quanto invece è grandissimo il loro amore per tecnologia hard (automobili, lavatrici, gru, logistica). Ora, parrebbe ben contraddittorio che in un paese in crescita e piena occupazione così tante persone abbiamo uno sguardo così cupo sull’ignoto e l’incerto. In realtà è una contraddizione molto relativa. Da un lato, vi è un meccanismo mentale sostanzialmente conservatore che implica che quanto mi ha garantito il benessere fino a ora me lo garantirà in futuro, quindi meglio non cambiare alcunché. Dall’altro, si tratta di un paese che ha una storia novecentesca molto pesante, la cui influenza è tutt’altro che finita. Ad esempio, la paura del debito e la volontà di avere i soldi lì, di vederli: Weimar e il suo fallimento, i bambini che fanno le costruzioni con le mazzette di marchi. La paura dell’ignoto, del cambiamento, della perdita di quello che San Paolo chiama il “katechon” (una specie di colla invisibile che tiene unita la baracca) è la paura di tornare in una situazione che non si sa gestire, con l’abisso nazista che si sa che è lì, perché ci è stato. E quindi non si risparmia mai abbastanza, e quindi per un tedesco medio il problema che altri abbiano debito e loro un surplus è un non problema, ed è assai difficile spiegare, e convincere difficilissimo, che le cose sono tra loro in realtà parecchio collegate.  E al contempo, e in parte in contraddizione con la fiducia illimitata dei tedeschi per le proprie istituzioni, la paura del grande fratello della Staatssicherheit, l’idea che non sia bene che qualcuno sappia come tu usi i tuoi soldi (qui la privacy è un tema molto serio).

Quindi, molto spesso, quando un giornale tedesco usa toni molto duri con il Governo italiano, lo Stato italiano e a volte gli italiani in quanto tale, può essere di una qualche utilità sapere che gli occhiali culturali dei tedeschi su questi temi sono significativamente diversi dai nostri. È il nostro “vedrai che tutto si sistema” contro l’organizzazione e manutenzione continua di ogni cosa, visto che ogni cosa, se lasciata al caso o anche solo alla non preparazione, andrà malissimo. Eppure, più passa il tempo più ho la sensazione che in realtà, per vie diverse, ci si assomigli più di quanto si voglia ammettere. Del resto, loro sono diventati un Paese perché noi lo eravamo diventati poco prima, e abbiamo condiviso la parte sbagliata della storia nella sua pagina più buia, meno di un secolo fa. E a leggere le statistiche che oggi vanno tanto di moda, noi usiamo addirittura più contante dei tedeschi, e siamo terzi al mondo, dietro proprio ai tedeschi, per riserve di oro.

Al mio tassista berlinese tutto questo probabilmente non interessa, ma penso a parti invertite non interesserebbe al mio tassista romano. In fondo, farsi un’idea di sé stessi e degli altri che risponde ad abitudini mentali consolidate è molto rassicurante.

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