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La crisi greca, spiegata in parole semplici

18 Maggio 2018

 

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Ad agosto, la Grecia dovrebbe uscire dal terzo programma di aiuti, che lì va sotto il nome di mnimónio, o memorandum. Ma da cosa, davvero, esce la Grecia? Vale la pena riguardare al tema, su cui si sono lette molte e contrastanti opinioni, con un po’ di distanza. Questo post è la traduzione, con leggero riadattamento, di un articolo comparso in tedesco qualche tempo fa, sul sito Krautreporter, a firma di Efthymis Angeloudis. L’originale fa parte di una serie di articoli che mirano a spiegare temi vari di rilevanza generale, nella maniera più semplice possibile. Angeloudis immagina qui un dialogo tra il giornalista esperto di cose greche, e un cittadino tedesco. Chi scrive ha provato ad adattarlo per un lettore italiano. Immaginiamo quindi un dialogo con uno dei tanti italiani che hanno vissuto in Germania, e che torna in Italia a godersi la pensione.

La vera riflessione che emerge tra le righe di questa lettura: l’annosa crisi greca ha cambiato, tra le altre cose, la concezione stessa di Europa nella coscienza di tutti i suoi cittadini.

 

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E quindi, la Grecia? Il paese è ancora in crisi?

Si. La peggiore crisi del debito dall’introduzione dell’euro, otto anni dopo il suo inizio, continua ad affliggere il paese.

Davvero? Otto anni sono tanti. Com’è che i greci non hanno ancora risolto la situazione?

Beh, la crisi è stata davvero profonda. Se la Germania avesse dovuto passare ciò che ha passato la Grecia, una pensione di 1200 euro sarebbe ora ridotta a 750 euro, ad esempio, ci sarebbero 14 milioni di disoccupati, negli ospedali i pazienti sarebbero costretti a portare le bende da casa. Tanto per farsi un’idea. E per l’Italia, invece, Grecia è diventata sinonimo di quanto potrebbe essere peggiore la nostra situazione. Nel 2012, per l’Italia il momento più critico della crisi dello spread, i politici si affannavano a dire: non siamo come la Grecia. Quando parliamo di Grecia, però, parliamo di un pezzo di Europa. Come tale, l’Italia (contributore netto del bilancio europeo, NdR) ha partecipato ai pagamenti che l’Europa ha fatto finora, pur se questi non dovevano passare da nostro parlamento, come invece in Germania.

Hey, un attimo. Prima di buttar via il mio tempo, vorrei sapere: ne vale la pena? Davvero si dice qui qualcosa di nuovo?

Sicuramente tu hai già letto molto sulla Grecia. Molto di questo non era necessariamente vero, o preciso. Ad esempio, che la Grecia ha meno impiegati statali della Germania. Inoltre, la crisi del debito, nonostante il “silenzio stampa” degli ultimi anni, è tutt’altro che felicemente risolta. Quest’estate (2018) scade il terzo pacchetto di aiuti dall’Europa. Questo significa che la Grecia dovrà essere in grado di finanziarsi interamente da sola sui mercati finanziari. Ce la fa? Proprio per avere queste e altre informazioni, vale la pena continuare a leggere questo articolo.

Domanda: cos’è esattamente una crisi del debito? Anche l’Italia ha un problema di debito troppo alto. Cos’ha il debito greco di così interessante?

Andiamo con ordine. Quando uno Stato non può ripagare i suoi debiti, si trova in una situazione appunto di crisi del debito. Dal 2010 la Grecia è nella situazione di non poter ripagare ciò che deve (stipendi dei suoi impiegati, scuole, ospedali, etc). Allo stesso tempo, per la Grecia è difficile vendere i suoi titoli di debito, con cui normalmente ogni stato si finanzia.

E con titoli di debito intendiamo…?

Sono i titoli di debito, che uno Stato deve “piazzare” sul mercato finanziario. L’efficienza di tali titoli si misura a seconda del bilancio dello Stato emittente, e viene valutata dalle agenzie di rating, come Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch.

E a chi si vendono questi titoli?

Banche, società assicurative, privati, ma anche, e soprattutto, altri Stati. In questa storia, questo dettaglio avrà una rilevanza fondamentale. Ma riprendiamo per un attimo il filo del discorso: nel 2010, la Grecia non era in grado ripagare i suoi debiti, né di rifinanziarsi sul mercato.

Ma questo non si risolveva normalmente con una bancarotta?

Esatto. Ma non nel caso della Grecia.

Io ancora non capisco: se uno Stato va in bancarotta, perché le banche gli fanno subito di nuovo credito?

I creditori possono ritardare il pagamento degli interessi. O tagliare una parte del debito. Oppure ancora ritardare il pagamento dell’intero debito. Sei creditori accettano una di queste modalità, allora le banche possono accordare nuovi prestiti.

E perché la Grecia non poteva essere lasciata alla sua bancarotta?

Buona domanda. Nessuno sa veramente la risposta. Sicuramente si è temuto che una bancarotta della Grecia potesse causare un effetto-domino, che avrebbe coinvolto altri Stati, in primo luogo quelli chiamati con l’arrogante acronimo P.I.I.G.S. L’Italia è la terza ‘I’.

Nel 2009 il governo greco ha mancato di riconoscere l’effettiva portata del problema, e ha quindi sprecato tempo prezioso. L’ex primo ministro Samaras rimprovera al suo predecessore George Papandreou di aver coperto il deficit con alcune modifiche al bilancio dello Stato, ritoccandolo artificialmente verso l’alto.

Ma anche il resto dell’Europa sembra aver mancato di visione. Le banche europee accordavano prestiti da anni alla Grecia, in particolare banche francesi e tedesche. Queste avrebbero perso un mare di soldi, in caso di una bancarotta. Quanti soldi esattamente è difficile stimare, dato che gli instituti di credito non sono obbligati a pubblicare il loro portafoglio di titoli di stato.

La Bank for International Settlements presume però che le banche tedesche avessero ca 23,8 miliardi di dollari, e quelle francesi 56,9 miliardi di dollari in titoli greci. E queste sono valutazioni piuttosto moderate. Se la Grecia fosse in bancarotta, queste banche, su tutte Société Générale e Deutsche Bank, avrebbero dovuto a loro volta registrare pesanti perdite. Questo i governi francese e tedesco non potevano permetterlo.

L’euro era, ed è ancora una valuta relativamente giovane. Non esiste una via definita per uno stato dell’eurozona di andare in bancarotta. La possibilità, semplicemente, non è stata prevista. Se la Grecia avesse una banca nazionale e una valuta propria, potrebbe semplicemente dichiarare bancarotta. Ma così non è.

E perché mai la Grecia ha potuto fare ciò?

Di nuovo, se la Grecia avesse ancora la dracma, allora sarebbe almeno pensabile convertire i debiti in euro nella valuta nazionale. La Grecia potrebbe stampare dracme, per ripagare questi debiti. Questo porterebbe ad una rapida diminuzione del valore della dracma, ciò che gonfierebbe i prezzi delle importazioni, da cui la nazione dipende.

Okay, ma quindi da dove è cominciato tutto?

Ci sono due maniere di vedere la questione. Alcuni credono che la crisi sia stata generata in casa, cioè quando la quota di debito ha superato la soglia del 3% del prodotto nazionale lordo, la corruzione, un apparato statale inefficiente, e spese militari sovradimensionate avrebbero portato al disastro attuale. L’altra opinione invece sottolinea che la crisi degli ultimi anni è stata una crisi dell’intero sistema euro, che ha poi colpito in maniera più pesante la Grecia, che ne è un membro debole.

Ma nessuno vorrà seriamente contestare la Grecia abbia un enorme problema di corruzione, vero?

No, assolutamente no. La prima maniera di vedere la crisi non esclude necessariamente l’altra. Particolarmente evidente è il fatto che lo Stato greco ha affidato appalti per grandi progetti (aeroporti, autostrade e sistemi di difesa) a diversi oligarchi greci o imprese tedesche, con controlli insufficienti.

Michael Christoforakos, ex country manager di Siemens, accusato in Grecia di tangenti e riciclaggio di denaro, rappresenta un caso esemplare. Dopo la sua fuga in Germania, l’alta corte di Karlsruhe ha deciso contro l’estradizione di Christoforakos in Grecia. Con la seguente motivazione: secondo il diritto tedesco, i suoi reati sarebbero prescritti.

Qui casca l’asino: se la Germania non vuole consegnare ad un altro paese (europeo) un cittadino accusato di reati gravi, non è così semplice tirare qui una riga netta tra “bene” e “male”. E ho un altro esempio: tu hai sicuramente letto o sentito che quasi metà dei Greci sono impiegati statali e che prendono soldi per non lavorare. Regolarmente sono comparsi articoli che si lamentanodelle dimensioni abnormi del settore statale in Grecia. Numeri al di sopra di 1,1 milioni di impiegati statali hanno affollato i giornali. Un conteggio del 2010 ha però riportato che questi statali erano molti meno. Si parlava di 768.000 impiegati, soprattutto in imprese pubbliche, come centrali elettriche e idriche. Di questi, 550.000 erano impiegati a Tempo determinato. Alcune statistische OCSE mostrano inoltre che la Grecia da almeno un secolo e mezzo ha la più piccola amministrazione statale rispetto ai sedici Stati EU compresi nella statistica.

Facciamo un paragone con la Germania, che ha un’amministrazione statale relativamente piccola (15,2% della popolazione attiva lavora per lo Stato). In Grecia, nonostante i pregiudizi, solo il 14,6% della popolazione attiva lavora nello Stato.

Okay, ma allora, se si propende per l’altra spiegazione, di quali debolezze della zona euro parliamo?

Debolezze nate dall’unione di economie diverse, come erano quelle della zona euro, sotto un’unica moneta.   Le banche, galvanizzate dagli alti tassi di crescita dei paesi della periferia euro (tra il 1995 e il 2000 il PIL greco cresceva 61%, quello spagnolo del 57 %, dell’Irlanda del 124%) e dalla stabilità dell’euro, facevano a gara a fare credito ai nuovi nati dell’area euro, mentre il centro soffriva di crescite strutturalmente deboli.

Denaro a buon mercato arrivava verso i paesi del sud, portando a un continuo aumento dei prezzi e, insieme alla crescita di consumi e importazioni. E chi ne ha tratto vantaggio? Su tutti, la nazione che più di ogni altra comprimeva i salari: la Germania. (Questo aspetto dell’economia tedesca lo spiega bene questo articolo del 1999).

Bisogna tuttavia aggiungere che l’economia tedesca negli ultimi 20 anni è stata in grado di modificarsi, e ri-orientarsi all’esportazione verso i paesi extraeuropei. Gli Stati “spreconi” del Sud facevano solo il 6,8% delle esportazioni tedesche. Ciononostante, i loro deficit erano profitti tedeschi. E tutto andava bene, finché una bolla è scoppiata: la cosiddetta bolla dei mutui subprime.

Oddio, veramente? Vuoi di nuovo qui e adesso…

Naa. Giusto quel che basta: quella dei mutui subprime era una crisi relativa agli immobili negli Stati Uniti. Quando la bolla scoppia, gli effetti si sentono in tutto il mondo, ma in Europa in modo particolare. La crisi finanziaria è stata un cambio di paradigma per l’intero sistema dei mercati finanziari. Tra l’altro, bisogna notare che le banche greche non sono state colpite quanto le anche tedesche, in quell’occasione. Addirittura, nel 2008, l’allora ministro greco delle finanze, Georgios Alogoskoufis, ebbe a dire: “il sistema bancario ellenico è assolutamente sicuro e solvente”.

Le banche europee smisero nel 2009 di concedere credito. Il capitalismo entrò in una nuova fase per quanto riguarda la valutazione del rischio. Obbligazioni, banche, debiti sovrani, dignità di credito; ogni rischio cominciò a essere valutato in maniera nuova. Particolarmente rischiosi cominciarono a essere considerati i titoli di debito di Stati ad alto indebitamento e nel mezzo di fasi recessive – come la Grecia.

Dài, come sei negativo…nomina per piacere tre cose che in Grecia, nonostante tutto, vanno bene.

Senza sfruttare i clichés spiaggia-tramonto-danze popolari? Impossibile.

Un esempio pratico: Vio.Me era negli anni ’90 una delle principali aziende edili in Grecia. Nel 2011 dovette dichiarare bancarotta, dopo che gli operai avevano già lavorato per un anno senza ricevere stipendio. Gli stessi operai occuparono la fabbrica, e decidettero di autoamministrarla, e riprendere la produzione. A partire dall’11.01.2018 i lavoratori sono riusciti a evitare la messa all’asta forzata della fabbrica attraverso questa occupazione.

La crisi ha inoltre colpito l’industria dei media in modo particolarmente pesante, in Grecia. Da allora, molti impiegati del settore hanno cominciato a lavorare non pagati, o pagati male. Molti giornali ed emittenti televisive hanno dovuto chiudere. E nessuno sembra voler investire in giornalismo investigativo di qualità. Nel 2015 un gruppo di giornalisti, documentaristi e fotografi decisero però di prendere il loro destino nelle loro mani, e fondare AthensLive (che i miei lettori conoscono, NdR), un giornale online in lingua inglese, attraverso un campagna di crowdfunding.

Nel 2011 nacque nelle piazze greche il movimento degli Agavaktismeni, gli indignados greci.

Tra lavoratori edili disoccupati e collaboratrici domestiche in sciopero scesero in piazza scienziati politici ed esperti di finanza, che cercavano di spiegare alla piazza le strategie dei mercato sui CDS.

Cosa significa CDS?

Credit default swaps. Non chiedere…

In quei giorni (ormai abbastanza lontani, dopo il “fallimento” dei propositi del primo governo Tsipras) si vedeva come quella piazza trasformava monologhi di disperazione individuale in un discorso aperto e politico, e come gli uomini che si raccolsero lì imparavano a parlare l’uno con l’altro. Alla fine si voto anche in quella piazza, anche se queste decisioni popolari hanno avuto ben poca presa sulla realtà, hanno mostrato ciò che alla gente in quel momento mancava in maniera lampante: una voce unica contro la follia della politica dell’austerità.

Beh, tu scrivi: “la follia della politica di austerità”. Come se la Grecia non fosse responsabile per lo stato delle sue finanze. Eppure la nazione giocava con i suoi bilanci al momento del ingresso nell’Eurozona.

Tra il 1996 e il 1999 il governo greco ha effettivamente dato numeri falsi sul deficit di bilancio, al fine di rientrare nei parametri di Maastricht, ed entrare nell’Eurozona. La banca nazionale greca pubblicò i numeri corretti nel 2004. Questi numeri erano cioè noti alla commissione europea e alla BCE già da allora. Nel 2010, quando se ne cominciò a parlare questi non erano una vera sorpresa, se non mediatica.

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I paesi europei più virtuosi la vedono diversamente.

Beh, guardiamoci ancora una volta i dati sulla crescita dell’economia greca tra il 1995 e il 2008. Secondo l’OCSE, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, il PIL greco crebbe del 61%, il volume delle esportazioni del 131,4, e quello delle importazioni del 123,1%. Bisogna qui considerare che la crescita del PIL era dovuta alla crescita degli investimenti e a una grande crescita dell’occupazione e della produttività, e non, come spesso si dice, ai consumi statali.

Le banche europee cercarono di sfruttare questa crescita, per massimizzare i loro profitti. Questo accadde attraverso trasferimenti di denaro e investimenti verso i paesi del sud, in forma di prestiti. La Grecia è responsabile per aver accettato questi prestiti. Ma cè una massima, in Germania, che dice: per ogni debitore irresponsabile, c’è un prestatore altrettanto irresponsabile..

Ok…ma, nonostante tutto, questo significa che i Greci hanno evidentemente vissuto delle loro relazioni, più che del loro lavoro.

I “Greci”, il popolo che unito avrebbe tutto vissuto alle spalle degli altri, non esiste. Così come non ci sono i “tedeschi” lavoratori che tutti insieme vogliono buttare fuori la Grecia dall’euro.  Non si può categorizzare un popolo così, a buon mercato.

Va be’, e cosa avrebbero fatto i governi greci contro l’alto indebitamento?

Accettare il piú grande prestito della storia.

Per continuare a finanziare l’alto stile di vita dei greci?

Per creare l’illusione che il paese non sia andato in bancarotta. Il gioco si chiama extend and pretend, prorogare e fingere. Un estensione dei prestiti, e una finzione che lo stato non sia veramente fallito. Così si è tenuto il paese giusto un centimetro sopra il livello dell’acqua. Ma abbastanza per permettere alle banche francesi e tedesche di eliminare i prestiti “velenosi” concessi alla Grecia.

E chi li avrebbe comprati?

Tu, io, l’Europa. Ma soprattutto la BCE.

…e poi, il mito degli alti standard di vita dei greci ci porta direttamente ad una delle parabole più potenti della crisi del debito. Nel 2008 Angela Merkel ebbe a dire, in un discorso a Stoccarda, divenuto nel frattempo famoso: “non si può vivere sempre delle proprie relazioni”.

Questa frase si tradusse nel caso della Grecia nel dogma “tagliare, tagliare, tagliare”. Ciò che però può valere per un debitore individuale insolvente, può avere per uno stato indebitato e in piena recessione delle conseguenze disastrose. Ridotte le uscite, ridotte anche le entrate. Attraverso le politiche di tagli radicali imposte dai creditori, l’economia greca no ha potuto che soccombere. Il PIL greco si è contratto del 28%. Una tale contrazione si era vista solo i tempi di guerra.

Ma la Grecia non ha poi veramente riformato il proprio stato. E lasciamo stare le privatizzazioni!

Secondo il „Lisbon Council”, un Thinktank europeo indipendente, dall’inizio della crisi la Grecia è il paese più avanti nel numero di riforme e misure di adattamento. Purtroppo, queste riforme hanno tutte la forma di tagli alle pensioni e al salario minimo, aumento delle tasse, e al tempo stesso dei pagamenti dello stato, anche nell’ambito della sanità e della formazione. Ambiti cioè che già negli anni passati erano ampiamente sottofinanziati.

Per quanto riguarda le privatizzazioni, la Grecia, attraverso un’agenzia di privatizzazione (HRADF, NdR) ha semplicemente venduto alcune delle sue imprese-chiave a prezzi stracciati. In questi modo, i porti (Pireo e Salonicco), 14 aeroporti regionali , l’impresa statale del lotto e delle scommesse OPAP e le raffinerie di petrolio Hellenuc Petroleum sono o stanno essendo venduti a privati. La domanda da porsi è: come fa una nazione in recessione ad avere introiti se cede le sue uniche imprese di stato profittevoli?

E tu come fai a sapere che queste imprese sono state svendute?

E tu come definiresti il fatto che uno vende il 33% dell’ente nazionale delle scommesse sportive, con un profitto annuale di più di 503 milioni di euro, per 652 milioni di euro? O quando si danno in concessione 14 aeroporti, tra cui quelli di Atene e Salonicco (il secondo aeroporto di Grecia per dimensioni), per 1,2 miliardi di euro, per un lasso di tempo di 40 anni?

…e un’altra cosa che non ho mai capito: perché in Grecia nessuno sa mai cosa appartiene a chi?

Ah…tu parli dell’ufficio del catasto, no? Uno dei temi preferiti della stampa tedesca, in Italia non se ne è praticamente mai parlato. Ma in Grecia, fino a poco tempo fa, non esisteva un vero registro catastale, se non nelle isole colonizzate dagli italiani all’inizio del secolo scorso, ad esempio a Rodi.

Bene, con l’intervento della Troika, la Grecia mette infine in piedi un registro catastale. Da allora, un terzo del territorio nazionale viene  inserito nel registro del nuovo ufficio catastale. Il processo dovrebbe essere concluso entro il 2020.

Ma nonostante ciò l’evasione fiscale non è stata eliminata?

L’evasione fiscale rappresenta uno dei peccati capitali del sistema politico greco. L’IVA è al momento al 24%, e la tassa per le imprese, anche quelle di piccole dimensioni, fino a 50%.

I due principali partiti di governo fino al 2012, cioè PASOK e NEA DIMOKRATIA, erano legati a doppio filo con le élites economiche greche. Quando nel 2010 Christine Lagarde, allora ministro delle finanze francese, fece avere al suo collega greco, Georgios Papakonstantinou, una lista con i nomi di 2.000 evasori fiscali…non successe nulla per almeno due anni. Papakonstantinou spiegò di aver fatto avere la lista all’allora capo dell’equivalente greco della guardia di finanza, e di aver perso l’originale. Nel 2012 la lista riappare leggermente più corta. Quando la Francia fece avere nuovamente la lista al governo greco, mancavano nella copia greca tre voci: quelle di due cugini di Papakonstantinou, e dei loro generi.

E i famosi armatori greci? Quando pagheranno anche loro finalmente il dovuto?

Da decenni i governi greci non fanno nulla per costringere la parte più significativa del sistema produttivo a pagare le tasse. Nel 1975 fu addirittura incorporata nella costituzione una esenzione fiscale per i loro profitti. Secondo uno studio di IOBE, la fondazione per la ricerca economica e industriale, il profitto annuale dell’industria navale in Grecia raggiunge qualcosa come 13 o 14 miliardi di euro (profitti netti 5,5 miliardi), mentre le entrate fiscali soltanto 25 milioni.

Questo può avere diversi motivi. Gli armatori possiedono un capitale tipicamente “mobile” – le navi. Molti di loro hanno portato – storicamente – i loro capitali in centri finanziari, Londra, New York. I circoli governativi di Atene temono che innalzando la tassazione specifica farebbe scappare definitivamente una delle ultime ancore dell’economia greca, che fa il 7% dell’economia greca.

Eh, ma come può allora la Grecia tornare a crescere?

Una domanda da filosofi. Sicuramente questo non accadrà grazie all’austerità e nuovi bail-outs. Il loro unico scopo è scambiare vecchi debiti per nuovi.

Come hanno nel frattempo sottolineato il Fondo Monetario Internazionale e una mezza dozzina di premi Nobel per l’economia, sarebbero necessari: un grosso taglio del debito, che lo renda sostenibile nel lungo termine, e, insieme, un tasso di crescita (quello previsto dal terzo pacchetto d’aiuti richiedeva l’immenso 3,5%), tale da assicurare che i cittadini non siano strangolati dal peso delle tasse, (o viceversa costretti ad evadere, NdR).

Un attimo. Ma la Grecia non aveva ottenuto un taglio del debito già nel 2012?

Ti ricordi, quando abbiamo detto che i titoli di Stato possono posseduti anche da altri Stati sovrani? In questa ristrutturazione è successo qualcosa di simile. Il cosiddetto PSI-haircut (cioè ristrutturazione del Private Sector Involvement) è stato un taglio parziale del debito.

Il debito di uno Stato sovrano si compone, nella regola, di prestiti ottenuti dal settore privato: cioè banche, assicurazioni, fondi assicurativi. Un gran parte dei debiti greci erano già tuttavia in possesso delle banche centrali dell’Eurozona, e soprattutto della BCE. Queste banche furono escluse dal haircut. I creditori privati dovettero sottoscrivere la ristrutturazione in questione “liberamente”. I loro titoli di credito furono scambiati con dei nuovi, che avevano però un valore leggermente più alto del 50% di quello effettivo dei loro prestiti. Un taglio che faceva, in totale, 106 miliardi di euro.

Di questo taglio, i governi europei ne avevano fatto una precondizione per concedere il secondo pacchetto di aiuti alla Grecia (di 130 miliardi di euro). Cosa significa questo? I creditori privati tagliano il debito, quelli pubblici accordano nuovi prestiti con condizioni migliori. Ma questo taglio del 2012 non significò, ovviamente, vera libertà per la Grecia.

Se la ristrutturazione del debito detenuto dal settore privato avesse avuto luogo nel 2010, quando i debiti erano ancora principalmente in mano a privati, questa sarebbe stata molto più efficace. Tragicamente, un taglio del debito di più del 59% era previsto già nel primo pacchetto di aiuti, ma non fu poi portato avanti dai governi europei, per ragioni politiche.

Allora si parlava tanto di Grexit, e non ancora non l’abbiamo toccato il tema. Ma la Grecia potrebbe ancora lasciare l’eurozona.

Partiamo dalla considerazione che è stato un errore pesantissimo far entrare la Grecia nell’euro: una cosa è non aver mai avuto l’Euro euro come valuta nazionale. Un’altra, invece, uscirne ora. Una Grexit avrebbe senso se la Grecia potesse svalutare massicciamente la propria valuta, per rendere più competitivi i suoi prodotti.

Se la Grecia avesse in effetti una propria valuta e una banca centrale, potrebbe ovviamente fare ciò. Ma così non è. Il ritorno alla dracma durerebbe dei mesi. E sarebbe come annunciare mesi in anticipo la svalutazione della moneta, una specie di rischio non calcolabile, visto che capitali e investitori avrebbero già lasciato il paese.

E che ruolo ha giocato qui la Germania?

È una domanda complessa. Quando parliamo di Europa, ci riferiamo ai 19 Stati membri. Ma il potere di prendere decisioni ce l’hanno gli Stati economicamente più forti, e soprattutto la Germania, non da ultimo perché questi stati contribuiscono in maniera proporzionale ai bail-outs.

Qualsiasi governo greco, che volesse trattare queste decisioni, non chiamava il Presidente della Commissione Europea, bensì la Cancelliera tedesca. Nel contesto della poca autorità e capacità decisionale della Commissione e del Parlamento Europeo, questa forse non sarebbe nemmeno la cosa peggiore, se il governo tedesco avesse il coraggio e la visione di guidare l’Europa fuori dalla crisi.
Henry Kissinger ebbe una volta a dire: “A chi telefono, se voglio parlare con l’Europa?” La Germania ha riempito questo vuoto solo in minima parte, e con incertezza. Per l’Europa questo è troppo poco.

Se vado in vacanza in Grecia, sto aiutando il paese?

Si, certo. Ma non necessariamente così come tu pensi. L’industria turistica è cruciale per la Grecia, ma i salari sono molto bassi. Più importante è invece cercare di comunicare con i Greci, provare a entrare nella realtà dell’altro. Così come si potrebbe consigliare di viaggiare in questo modo ai greci, o a qualunque cittadino europeo, nei paesi EU. E forse qui sarebbe utile far fare un Erasmus obbligatorio ai politici, vien da dire.

Come hanno reagito i greci alla crisi?

Con shock e rabbia. Per anni gli venne detto che l’economia greca era in gran forma, e al sicuro dalle conseguenze della crisi mondiale, per poi invece sentirsi dire che dalle élites politiche, che queste si sono mangiate i soldi.

Ad Atene e Salonicco tra il 2010 e il 2011 dimostravano quasi settimanalmente centinaia di migliaia di uomini contro le politiche di austerità. Quando la polizia intervenne e il movimento di protesta fu sedato, cominciò un periodo di internazionalizzazione mediatica della crisi. I greci si ritirarono nel privato, frustrati. Una forma di depressione di un’intera società.

Durante la crisi il tasso di suicidi arrivò al 30%. La disoccupazione passò dal 7,4 al 27,2%. La mortalità infantile arrivò al 43%. Il salario minimo si abbassò a 480 Euro. Dal 2008, secondi dati del governo greco, 427.000 giovani in età da lavoro hanno lasciato il paese. Su una popolazione di meno di 11 milioni di persone, questa cifra rappresenta una parte enorme della forza lavoro della Grecia.

E da allora?

Frustrazione e stagnazione. Già nell’estate del 2014 era chiaro che sarebbe stato necessario un terzo pacchetto d’aiuti. Il partito di sinistra SYRIZA fu eletto con un programma contrario alla strategia europea del memorandum. Dopo le trattative fallite dell’allora ministro delle finanze Varoufakis le banche greche furono lasciate senza liquidità, attraverso un’interruzione dei trasferimenti di denaro dalla BCE e dal Meccanismo di Stabilità Europeo.

Il governo greco decise di sottoporre a referendum una proposta della Troika (Commissione Europea, FMI, e BCE) di continuare la via delle riforme (tagli) in cambio di aiuti. Il 61,3% dei greci votò contro questa proposta. Come già accaduto ad altri governi, che cominciarono con propositi anti-austerità, anche SYRIZA fece inversione, e dovette accettare le condizioni imposte. La Grecia accettò il terzo pacchetto d’aiuti.

Nell’estate 2018 il paese dovrebbe tornare a finanziarsi sui mercati. Se davvero così sarà, non è chiaro. Atene, Bruxelles e Berlino guardano incerti al mese di agosto.

Beh, come detto, 8 anni è un sacco di tempo. Insomma, pian piano non se ne può più di questa storia.

Allora puoi capire come si sentono i Greci.

Anche nel resto d’Europas la situazione non è migliore. L’approvazione degli europei verso il processo unificazione traballa pericolosamente. Dopo la paventata Grexit, Brexit è diventata una realtà. Nel continente, partiti nazionalisti e antieuropei sono dappertutto in espansione.

Bisogna comprendere ciò che la crisi Greca ha fatto con l’Europa. La crisi ha mostrato quanto insufficienti e non democratiche siamo le istituzioni europee e i loro meccanismi. Questa perdita di fiducia nell’Europa e in una visione comune ha portato l’Unione verso l’abisso. Chi si sarebbe potuto immaginare una tale involuzione ancora dieci anni fa?

 

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(L’autore dell’articolo originale ringrazia: il redattore Rico Grimm, e Sebastian Christ. Ringrazia inoltre il professore di economia Spyros Lapatsioras, per la consulenza scientifica. Come autore della presente traduzione, ho apportato sono minimi adattamenti. La responsabilità di errori o inprecisioni in questa versione sono di mia responsabilità.)

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