La scommessa di Draghi
Le operazioni di acquisto di titoli obbligazionari sul mercato secondario da parte delle banche centrali sono un tradizionale strumento di politica monetaria, in senso espansivo: in particolare, potendosi variare l’intensità e la tempistica degli interventi sul mercato, la banca centrale è in grado di fissare il tasso di interesse a lungo termine, il quale a sua volta influenza le scelte di portafoglio del settore privato. La teoria dice che, in condizioni normali, variazioni in diminuzione dei tassi a lungo termine hanno un effetto sull’economia reale tramite un aumento dei corsi azionari e un aumento della domanda di beni di investimento, in particolare di immobili (finanziati con mutui a lungo termine).
In condizioni non normali, ossia di aspettative deflazionistiche dovute alla diminuzione permanente di una o più componenti della domanda aggregata, la diminuzione del tasso di interesse a lungo termine è inefficace: è la famosa “trappola della liquidità” keynesiana. La riflessione sulla ventennale stagnazione giapponese ha evidenziato poi l’inefficacia di una politica monetaria espansiva in presenza di un forte indebitamento di una delle componenti della domanda aggregata: se il debito pubblico e’ percepito come troppo elevato rispetto al pil, l’incremento di base monetaria che si ottiene ricomprando sul mercato secondario il debito in circolazione ha un effetto espansivo molto minore o nullo perché prevalgono aspettative di riduzione del deficit.
Se tutto ciò è ben noto, perché Draghi ha voluto sfidare la Germania riaffermando il principio che la BCE, al pari delle altre banche centrali, deve poter eseguire acquisti di titoli pubblici sul mercato secondario e che questo è uno strumento adeguato all’obiettivo di riportare l’inflazione media nell’area euro in prossimità del valore target del 2 per cento? Credo che la convinzione del Presidente della BCE, condivisa dall’IMF, sia motivata dall’evidenza che, dopo la crisi di fiducia nel debito pubblico dell’area euro, i meccanismi di trasmissione della politica monetaria all’economia reale siano rimasti gravemente danneggiati. Lo dimostrerebbe l’esperienza delle precedenti misure di creazione di base monetaria adottate, con le LTRO, peraltro temporanee e condizionate. Non è vero che finora la BCE non abbia assunto rischio di credito, dico che non è vero solo che il rischio di credito è nei confronti delle banche dell’area euro ed è peraltro totalmente condiviso (da cui la necessità per i tedeschi che la banca assuma direttamente la vigilanza prudenziale e che le crisi bancarie prevedano procedure di risoluzione che coinvolgano i privati, al fine di scongiurare qualsiasi eventualità di lending of last resort).
Il fatto è che le banche dei Paesi più indebitati hanno utilizzato la base monetaria aggiuntiva per acquistare i titoli pubblici nazionali, al fine di ottenere plusvalenze di bilancio con le quali coprire le ingenti perdite su crediti. Secondo i critici della Germania, ciò è dipeso dal fatto che ai governi come il nostro è stato impedito di ricapitalizzare direttamente le banche, come avvenuto in USA e in UK: ma sarebbe stato un serpente che si morde la coda perché la ricapitalizzazione avrebbe fatto crescere il debito nazionale a livelli insostenibili (posto, naturalmente, il tabù dell’Unione fiscale).
Secondo la corrente di pensiero Draghi/IMF, la creazione di base monetaria può dimostrarsi efficace, a condizione di “saltare” il canale bancario: diversamente che nel caso giapponese, esiste nel mondo una sufficiente liquidità in attesa di occasioni di investimento e queste ultime possono essere mobilizzate nell’area euro anche senza aumentare deficit e debiti pubblici (ad esempio, coordinando a livello centrale progetti infrastrutturali da far finanziare ai privati o potenziando istituzioni multilaterali). Naturalmente, per avere successo, è necessario che il programma di riacquisto dei titoli sia credibile rispetto all’obiettivo di ridurre o stabilizzare il tasso a lungo termine: quindi il programma è stato concepito senza scadenza e tendenzialmente illimitato: un evento davvero senza precedenti nella breve esistenza della BCE.
Senonché i tedeschi hanno imposto al programma la famosa regola del risk sharing, senza peraltro che la banca abbia potuto o voluto chiarirne i meccanismi di funzionamento. Giustamente è stato osservato che i bilanci delle banche centrali del SEBC (Sistema europeo di banche centrali) non sono gestiti autonomamente: i loro attivi, compresi i titoli pubblici acquistati a loro carico, hanno come contropartita passività della BCE. Ciò significa che le banche centrali nazionali non possono immunizzare la BCE dal rischio di credito assunto indirettamente nei confronti dei Governi a basso rating se non dando in pegno le proprie riserve auree. Ora, questo è davvero un punto importante, dal quale può dipendere il successo dell’intera operazione: ci saranno contratti in questo senso? E se le riserve non fossero sufficienti, la BCE bloccherà gli acquisti? E che succede in caso di downgrading? Esisterà un sistema di haircut, come per le anticipazioni alle banche private da parte della BCE?
Draghi, nella conferenza stampa, ha liquidato il tema del funzionamento della garanzia come “futile” e si può capire. L’idea è che il tema della ricapitalizzazione di una banca centrale a causa delle perdite in conto capitale sui titoli acquistati diventi attuale solo in prossimità del default del proprio Paese: ma in quel caso, è l’opinione della BCE, scatterebbero altri meccanismi di “solidarietà” che coinvolgerebbero tutti gli altri Governi dell’area euro, gestiti dalla Commissione. Ed infatti, se da un lato può non dispiacere a Draghi la ripetizione del principio che un Governo può fallire pur restando nell’euro, l’annuncio del programma è avvenuto prima delle elezioni greche: se la Grecia non trova l’accordo con la Troika, non potrà accedere al programma di acquisti dei suoi titoli pubblici.
Resta però lo strappo con l’establishment tedesco, il cui senso è stato trasferito per intero, e senza alcuna cautela, all’opinione pubblica tedesca: la forzatura di Draghi danneggia gli interessi tedeschi ed è quasi come una “pugnalata alle spalle”. Se il QE non dovesse funzionare, la Germania intera presenterà il conto al Presidente della BCE.
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