Medio Oriente

Vogliamo fare una guerra all’Isis? Cominciamo scegliendo meglio gli “alleati”

24 Novembre 2015

Un caccia Sukhoi 24 dell’aviazione russa è stato abbattuto dagli F-16 turchi alla frontiera con la Siria, costringendo i due piloti a lanciarsi con il paracadute. A darne per primo la notizia è stato il governo di Ankara, in tarda mattinata, che ha accusato il velivolo di essere entrato nello spazio aereo turco e di aver ignorato i ripetuti avvertimenti attraverso i quali gli era stato chiesto di allontanarsi.
Poco dopo è arrivata la conferma dell’abbattimento da parte del ministero degli Esteri russo, che però ha assicurato di poter dimostrare che il caccia era rimasto nello spazio aereo siriano per tutta la durata del volo. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peshkov, ha quindi parlato di un incidente “gravissimo”. I due piloti del bombardiere russo sono riusciti ad eiettarsi in territorio siriano prima dello schianto, ma uno dei due sarebbe morto, secondo quanto riferito da un gruppo di ribelli che ne ha anche mostrato il corpo esanime in un video. Molto incerta la sorte dell’altro, che probabilmente è caduto in mano ai ribelli turcomanni anti-Assad.

 

La gravità di quanto è successo, a qualsiasi versione si scelga di credere, rimane assoluta. Era da diversi decenni che un paese membro della Nato non abbatteva un caccia russo (o, al tempo, sovietico). Eppure, è bene ricordarlo, di sconfinamenti dello spazio aereo, in questo lasso di tempo, ne sono stati certificati a decine, da una parte e dall’altra. Ma allora perché arrivare ad un gesto tanto estremo?
D’altronde, se la Russia avesse abbattuto un caccia americano, o francese, o tedesco, o italiano, causando la morte di almeno uno dei due piloti, come avremmo preso la notizia? Chiederselo è un doveroso esercizio intellettuale, ed è anche molto utile per capire meglio cosa potrebbe succedere.
Di sicuro, a parti invertite, avremmo preteso chissà quali durissime sanzioni verso Mosca, e forse nemmeno ci saremmo limitati a quello. Tutto l’Occidente avrebbe fatto una campagna mediatica contro la barbarie di Putin e i suoi metodi dittatoriali, guerrafondai. Il mondo occidentale avrebbe immediatamente mostrato i muscoli, alzando la voce in nome della libertà, dei valori condivisi, della pace.
Tutto, ovviamente, sacrosanto. Però ad abbattere l’aereo russo è stato un paese membro della Nato. E infatti ecco che le reazioni dei paesi dell’Alleanza Atlantica, Italia compresa, stentano ad arrivare.
L’imbarazzo è evidentissimo.

 

L’unico ad insorgere è stato Vladimir Putin, con dichiarazioni che non lasciano presagire nulla di buono. “Quella della Turchia è stata una coltellata alle spalle, sferrata da chi è complice dei terroristi e li finanzia” ha detto qualche minuto fa il primo ministro russo. “Questa azione avrà delle conseguenze tragiche sui nostri rapporti.”
Conseguenze davvero difficili da prevedere, ma quello che è certo è che, senza un intervento risolutivo da parte degli Stati Uniti e dei paesi europei, la situazione potrebbe davvero sfuggire di mano. È evidente, infatti, che l’unico motivo per cui la Russia non può fare della Turchia un sol boccone è la presenza di Ankara nella Nato. Ed è proprio su questo elemento di forza che Erdogan sta giocando la sua partita sul filo del rasoio, ma che sembra veramente al limite della follia.

 

La posizione di Erdogan in tutta questa vicenda appare davvero indifendibile, e c’è da augurarsi che l’Occidente si dissoci da questo atto dissennato ed abbia il buon senso di condannare l’accaduto per quello che è: un utilizzo ingiustificato della violenza. Che oltretutto rischia di mettere seriamente a rischio il rapporto faticosamente costruito con la Russia negli ultimi anni (se non decenni).

Il comportamento della Turchia, paese da sempre a metà tra l’Europa e il Vicino Oriente (ma ben più di là che di qua, sia dal punto di vista geografico che culturale), negli ultimi mesi è stato caratterizzato da un susseguirsi di ambiguità e scelte contraddittorie in politica estera, che nascono da altrettanti interessi contrastanti (e non poco ingarbugliati). Interessi che l’hanno portata, sotto la sua facciata di paese amico e alleato (fa parte della Nato fin dal 1952), anche a finanziare più o meno direttamente l’Isis in funzione anti-curda, soprattutto attraverso l’ingente acquisto del petrolio controllato dal Califfato. Curdi che ad oggi rimangono il più serio ostacolo all’avanzata degli integralisti islamici in Medio Oriente (ben più dei nostri raid e delle nostre “bombe intelligenti”, di effetto discutibile) ma che sono da sempre nemici giurati della Turchia. E visto che sin dalla notte dei tempi “il nemico del tuo nemico è tuo amico”, non è difficile intuire il perché Erdogan continui ad essere così restio ad impegnarsi seriamente nella lotta allo Stato Islamico.

 

La questione è davvero complessa e solleva degli interrogativi e delle problematiche gigantesche. Ciò che è certo è che il caos venutosi a creare deve rappresentare un serio motivo di riflessione per l’Europa nel proseguimento della sua strategia di lotta al terrorismo, altrimenti il rischio di combinare un nuovo disastro come in Libia è concreto.

Perché ormai dovrebbe essere chiaro che decidere di fare una guerra non è una scelta che può esser presa con leggerezza e sull’onda dell’indignazione per un attentato. E se proprio la si vuole fare, bisogna anzitutto avere ben presente quali sono i nemici che si vuole combattere e quali sono gli amici su cui poter contare.
E persino questo semplice elemento, allo stato attuale delle cose, mi sembra tutt’altro che chiaro.

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