Medio Oriente

Viaggio in Italia

di
12 Aprile 2024

Manuela to Fiammetta

Fiammetta cara, sono appena tornata in Israele dopo essere stata in Italia per la prima volta da settembre.

Si può uscire da Israele e dalla guerra ma te li portisempre dentro, come una malattia grave che non ti lascia per un attimo. La guerra mi si infiltrava dentro soprattutto di prima mattina, in quel momento che non è più sonno ma non è neanche risveglio, poi la mano mi andava rapidamente al cellulare per vedere le ultime notizie da casa attraverso una, due, tre app di giornali e televisioni diverse.

E poi ricominciavo, con fatica, a vivere.

Mi succede un po’ la stessa cosa anche qui, perché la realtà è così fluida che va continuamente controllata, ma qui succede praticamente a tutti, mentre in Italia si vive la propria vita, non si vive quella del Paese.

Certo c’è chi si preoccupa della politica, dell’aumento dei prezzi, della troppa pioggia o della troppo poco pioggia, e che “non ci sono più le mezze stagioni-governo ladro”.

Ma non vedi nel viso della gente quello sguardo diverso che è apparso negli occhi di tante persone in Israele.

Temevo, prima di partire, le reazioni di coloro che avrei incontrato.

Sono nata del 1949, quattro anni dalla fine della guerra, e solo molti anni dopo, scrivendo un libro sulla storia della mia famiglia dai bei tempi a quelli delle di leggi razziali,poi sulla guerra e la fuga e, infine, la salvezza, ho capito che si trattava di sette anni di vita in bilico per i mieigenitori e per tutti gli ebrei di quei tempi e che nessun ebreo sapeva come sarebbe andata a finire.

Così come io, adesso, non so come andrà a finire questa guerra iniziata con una strage di una crudeltà e un sadismo che supera ogni immaginazione. E, di nuovo,contro gli ebrei.

Così apro il mio libro a caso (Un mondo senza noi, Piemme) e leggo a pagina 201: “una delle cose che ho imparato è che fra la speranza e la disperazione è meglio scommettere sulla speranza, perché rende molto di più. Disperarsi è bello, soddisfa masochisticamente, ma alla lunga rende poco.” Sono parole di Primo Levi, tratte da una sua conversazione con alcuni studenti di Cuneo nel 1975.

Così ho deciso di puntare sulla speranza.

Ho incontrato molti amici e conoscenti durante la mia settimana a Padova, ho incontrato negozianti che sentendomi parlare in ebraico con mia figlia mi hanno chiesto di dov’ero e quando ho risposto “veniamo da Israele” mi hanno sorriso senza aggiungere una parola.

Ho incontrato amici – non ebrei- che si son fatti ore di macchina per incontrarci per poco più di mezz’ora e un conoscente, noto professionista, che mi ha fermata per strada per dirmi sinceramente che lui non ci capisce niente e se potevo fargli il favore di spiegargli un po’ la situazione.

Ci ho provato.

Un’amica di mia sorella mi ha detto che secondo lei il mondo aveva già iniziato a dividersi a metà con il no-vaxal punto che si son messi a contare i giovani che secondo loro erano morti e continuano a morire per essere stati vaccinati e adesso hanno diviso il mondo in buoni e cattivi. ( e noi siamo i cattivi)

C’è chi mi ha detto che se si ferma tutto (cioè la guerra) adesso si rischia di tornare al punto di partenza e chi, lavorando in Piazza dove avvengono tutte le dimostrazioni, mi ha ribadito che “i ze tutti matti”, mentre un mio compagno di scuola delle medie che non incontravo da tanti anni mi ha abbracciato per strada come per dire “io sono con te”, e naturalmente mi sono un po’ commossa.

Ma forse la storia più bella è quella della signora che era diventata pro-pal dopo aver letto un bellissimo libro di Amos Oz, credendo che fosse palestinese o quella, al contrario, di un amico che si è rivolto a tutti gli studiosi israeliani che conosce e lavorano nel suo campo proponendo collaborazioni. E la più triste: quella di un amico ebreo che si è lasciato scappare che “alla fine ci casca tutto addosso anche a noi che non viviamo in Israele e non abbiamo bombardato nessuno”.

E a te, Fiammetta, come è andata in Italia e il tuo rientro in Israele?

 

Fiammetta to Manuela

Manuela cara,

io dal 7 ottobre in Italia sono stata 2 volte, e sono state due esperienze completamente diverse l’una dall’altra.

La prima è stata in occasione del Natale, dove ho trascorso la maggior parte del tempo in montagna, a Gressoney.

Era dicembre, avevano appena interrotto lo scambio degli ostaggi in cambio dei prigionieri e, per questo, era appena stato interrotto il cessate il fuoco.

Le persone mi facevamo molto domande per cercare di capire e anche per ipotizzare una possibile conclusionedel conflitto.

A dicembre c’era ancora speranza che ci sarebbe stata una fine, che si sarebbe trovato un accordo, che non si sarebbe “cronicizzato” e non avrebbe raggiunto le dimensioni di adesso, su scala sempre più allargata, con l’Iran che sembra pronto a radere al suolo Israele.

Anche se la mia parte razionale non ci crede, a volte non ci dormo la notte.

L’altro giorno ho sognato che ci avrebbero raso al suolo con l’atomica.

Nel sogno mi trovavo al mercato di Shuk ha Carmel, da sola, e sapevo perfettamente che sarei morta. Ma la cosa più terribile del sogno non era quella di morire, ma di non avere con me Udi ed Enrico.

Morire, per un israeliano, è ormai considerata un’ipotesi più che plausibile. È la solitudine, però, che fa più paura di tutto. Per questo non riesco a non pensare a tutti quei soldati che stanno perdendo la propria vita, a Gaza, da soli.

Poi penso anche ai palestinesi, sia ai terroristi che aicivili e, peggio ancora, a come, a causa della totale mancanza di prospettiva da parte di Hamas, tutta questa storia sembra non abbia avere una fine.

Però un inizio ce l’ha. È risale a ben prima del 7 ottobre 2023, ovvero al 14 maggio 1948, quando venne dichiarata l’Indipendenza dello Stato di Israele che non viene riconosciuto da allora, come il suo diritto ad esistere.

Questa a me è la cosa che fa stare più male, anche perché, la stessa fondazione dello Stato degli Ebrei è stata una conseguenza diretta della Shoah che è stata, a sua volta, una conseguenza di quelle leggi raziali che, non solo in Italia, hanno creato quel contesto che rendesse possibile l’esecuzione della “soluzione finale”.

E qui arriviamo al mio secondo soggiorno in Italia, a Pasqua, questa volta a Milano, dove invece di parlare del conflitto in Medioriente mi sono ritrovata a parlare di antisemitismo, nel 2024.

Mi sono sentita raccontare che ormai nelle università italiane è stata tolta la parola ad academici – e non – solo per il fatto di essere ebrei. Che il Bollettino della Comunità ebraica viene mandato con la copertina coperta da un foglio bianco e che sono sempre di più le famiglie ebraiche che, per scrupolo, hanno tolto la mesusa dalle loro porte.

La cosa che però mi ha più impressionato non è stata la paura dei miei amici ebrei, ma la totale indifferenza da parte di chi ebreo non è, quando vengono raccontate queste storie.

Un’indifferenza, spesso, anche da parte di chi governa:sia a destra che a sinistra, sia in parlamento che nei comuni che, invece, dovrebbero fare da garante per il rispetto di tutti i cittadini mentre, oggi come allora, gli ebrei ricevono sempre e comunque un trattamento diverso.

Citavi Amos Oz. Mi ricordo come nelle pagine di “Una storia d’amore e di tenebre” raccontava di quando i suoi genitori si sono trovati costretti a scappare dall’Europa che, sui muri del ghetto, trovavano scritto: “tornatevene in Palestina”.

E dopo che ci sono tornati e nel 1947 l’ONU ha designato i confini del loro Stato, non solo gli è stato negato ma ora viene detto ai nipoti di quei sopravvissuti alla Shoah che dovrebbero lasciare, di nuovo, questa terra perché non gli appartiene, perché “from the river to the sea” dovrebbe appartenere a qualcun altro.

Dici che in Italia facevi fatica a svegliarti la mattina.

Io, non importa dove sono, faccio fatica ad addormentarmi la sera.

Certi giorni, non so più che pesci pigliare. Perché qua ci sono i nostri vicini di casa che ci vogliono morti e in Italia, in Europa e negli Stati Uniti, semplicemente, non ci vogliono.

Forse dovremo trasferirci tutti Uganda, come aveva suggerito, già nel 1897, Theodor

Herzl?

 

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