Medio Oriente

Sempre dalla parte sbagliata

16 Novembre 2018

From: Fiammetta Martegani

To: Susan Dabbous

Susan cara,

come stai?

Come forse già saprai, a causa di un’operazione militare a Gaza dall’esito infelice e con morti da ambe le parti, Hamas per un paio di giorni ha ricominciato a lanciare razzi su Israele, causando una serie di morti e feriti tra cui perisno un palestinese, che viveva ad Ashkelon. Uno dei tanti paradossi di questa eterna guerra senza vincitori .

Ma non è di questo di cui ti voglio parlare. Perché di guerre/conflitti/attentati/espropriazioni/vendette/ripercussioni si può parlare tutti i giorni, visto che questa storia, qui, va avanti da 70 anni.

Ciò di cui vorrei parlarti è di come per me sia difficile affrontare l’argomento, ogni volta, per via delle reazioni che mi ritrovo ad affrontare, di volta in volta, a seconda di quanto l’asticella dei miei interlocutori si sposti verso il filo-israeliano o il filo-palestinese.

In entrambi i casi io mi ritrovo sempre “dalla parte sbagliata”: non sono mai abbastanza di destra o di sinistra a seconda dei miei interlocutori israeliani o non sono abbastanza filo-israeliana o filo-palestinese a seconda dei miei interlocutori internazionali che per altro, nel 90% dei casi, in questa terra, o come sarebbe meglio dire, in queste 2 terre, non ci hanno mai messo piede.

Perché da sempre, sul Medio Oriente, sono tutti esperti. E anche quando gioco l’arma del mio dottorato, con tanto di pubblicazione scientifica, proprio sulla storia e la rappresentazione del conflitto, non è mai abbastanza.

E tu, Susan cara, che tra Siria, Libano e Gerusalemme, in Medio Oriente ci hai passato parte della tua vita, come ti comporti quando devi parlare del conflitto in modo da non doverti sentire ogni volta attaccata?

From: Susan Dabbous

To: Fiammetta Martegani

Cara Fiammetta,

non esiste una ricetta per essere percepiti con neutralità da chi neutrale non è in partenza. Spesso sono gli occhi di chi vede, o nel nostro caso, di chi ci legge, a giudicare in partenza.

Io in cinque anni da corrispondente da Gerusalemme ho visto che i miei pezzi venivano ripresi e massacrati da un sito noto per le sue posizioni tardo-sioniste e conservatrici che si chiama “Informazione corretta”. Sì lo so, un titolo che è già tutto un programma. Me ne hanno dette di tutti i colori e non ho mai replicato perché sapevo perfettamente che chi si “informa” su questo sito ha già delle posizioni ideologiche così chiare da non aver nessun interesse né a leggere le mie storie, di cui magari leggevano solo il cappello introduttivo, né a vedere l’altro lato della società che si trova in Israele, da secoli, ben prima della fondazione dello Stato ebraico: il popolo palestinese. Dettagli.

Devo dire che ad un certo punto, trovavo la mia routine quasi divertente: svegliarmi la mattina, preparare il caffè, accendere il computer e leggere come prima cosa le solite critiche al mio pezzo per loro sempre troppo “pro-palestinese” del giorno prima.

C’è stato solo un commento davvero fuori luogo a cui ho voluto replicare, ma di fatto non ci sono riuscita perché il famoso sito in questione in realtà pratica la censura preventiva dei commenti.

Sono stata apostrofata una volta anche come odiatrice di Israele, e la cosa mi ha offeso tantissimo. Prima di tutto perché io non odio nessuno e in secondo luogo perché vivendo in quel paese con la mia famiglia, negli anni ho costruito rapporti e sentimenti con luoghi e persone che vanno ben al di là delle tifoserie politiche. Quindi che un signore da Milano, lui sì odiatore di professione, si possa mettere a giudicare me come persona, e non il contenuto dei miei articoli, l’ho trovato alquanto scorretto.

Ma di questi tempi non c’è niente di cui stupirsi. La nostra categoria, poi, è particolarmente esposta a questo genere di critiche, basta ricordare che pochi giorni fa un politico italiano di spicco ha definito i giornalisti “delle puttane”. Povere puttane, comunque, molte di loro sì che si dovrebbero sentire offese.

E tu, come ti sei dovuta difendere recentemente?

From: FiammettaMartegani

To: Susan Dabbous

Carissima Susan,

recentemente non è successo niente perché ormai è da anni che mi “tutelo”.

Sto attenta non solo a quello che scrivo, ma anche a quello che condivido tramite social media: non importa che si tratti di un articolo scritto da un altro giornalista, di una foto, una vignetta politica o di una mappa infografica.

“Le parole sono importanti”, diceva Nanni Moretti, con tanto di schiaffo (politicamente scorretto) alla giornalista.

E anche io credo profondamente che ogni parola, termine, “produzione discorsiva”, come direbbe Foucault, debba essere calibrata con l’ago della bilancia.

Prima di scrivere qualsiasi cosa, verifico sempre le fonti, più fonti, e soprattutto i dati e le date. Cose banali, ma la maggior parte dei “grandi esperti” sulla questione mediorientale, quelli che si permettono di parlare o postare a vanvera tra i commenti dei vari social media, spesso non hanno la più pallida idea di che cosa sia la risoluzione ONU 181 del 1947, quella che decretava la sparizione dell’allora Palestina sotto il Mandato Britannico in due stati per due popoli: uno ebraico e l’altro palestinese. Purtroppo questa spartizione dal popolo palestinese non sia mai stata accettata, con tutte le conseguenze del caso, fino ai giorni nostri.

Qanti sanno che il più grande leader per la libertà del popolo palestinese, Yasser Arafat, fosse nato e cresciuto in Egitto e con una serie di conti correnti bancari sparsi per l’Europa in cui purtroppo è finito parte del denaro pubblico destinato a costruire scuole, ospedali e infrastrutture di cui ancora oggi il popolo palestinese soffre la mancanza?

La lista delle cose da sapere e verificare su entrambi i popoli e la loro storia sarebbe infinita e, infatti, pur vivendo in Israele da 10 anni, so che che c’è ancora molto da imparare e per questo ogni volta, prima di aprir bocca, verifico quello che sto per dire e mi piacerebbe tanto poter richiedere ai miei interlocutori di fare lo stesso, magari verificando ogni volta la versione dei fatti a seconda dei due punti vista, sia quello israeliano, sia quello palestinese, cercando  anche di attingere da entrambe le culture, leggendo Amos Oz ma anche Mahmoud Darwish.

Ma dimmi, Susan, in tutti questi anni, quali sono state per te le più grandi fonti di informazione e ispirazione?

From: Susan Dabbous

To: FiammettaMartegani

Cara Fiammetta,

al di là delle fonti indirette come le agenzie: Ansa, Reuters, BBC e giornali locali come Haaretz, Times of Israel e Jerusalem Post (anche se un po’ troppo pop per i miei gusti), ricevere informazioni sul versante israeliano è facilissimo. Appena ti iscrivi al ministero della comunicazione come giornalista straniero ti danno un libretto utile con numeri di telefono di esperti e accademici, non necessariamente allineati al governo. Rispondono alle domande più varie: politica, sicurezza, ambiente, processo di pace, armi nucleari e tanto altro. Una fonte davvero importante da cui ho capito quanto interessanti e critiche possono essere le posizioni di chi ad esempio ha servito nell’esercito e crede che affamare la popolazione di Gaza non porti a nulla di buono nel lungo periodo.

Le mie fonti dirette sul versante palestinese, invece, sono state le varie chiese cristiane e la scuola di Yasmin: uno scrigno di contatti per accedere alla middle class palestinese e israeliana.

Anche nel mondo musulmano le fonti religiose, come il gran mufti di Betlemme, sono state un gran bell’aiuto. Oltre ad amici expat, che lavorano nella cooperazione, attivisti, sindacalisti, studenti, la femminista ciclista di Ramallah a cui abbiamo dedicato un post, la baby sitter dei miei bimbi che vive in città vecchia: nei periodi di accoltellamenti è stata preziosa.

Come vedi  in questa lista mancano i politici, perché non ho mai avuto un incontro diretto interessante con un politico palestinese: ne ho conosciuti pochi, devo dire, ma non ho mai sentito l’esigenza di approfondire.

A Gaza avevo la mia fonte speciale, il producer del BBC, un giornalista di talento che però, esattamente come i suoi compaesani, non poteva uscire dalla Striscia.

E per capire il conflitto da “dentro”, i grandi scrittori come David Grossman da un lato e dall’altro Susan Abulhawa, scrittrice palestinese autrice di “Ogni giorno a Jenin”, un libro epico, che ho divorato come “Cent’anni di solitudine”.

 

 

 

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