Medio Oriente

Viaggio a Qaraqosh, dentro il nulla lasciato dall’Isis

25 Febbraio 2017

QARAQOSH (Iraq).  Se non hai un fixer, il traduttore e tutto fare a cui molti giornalisti si appoggiano, a Qaraqosh ci vai in autobus. Se l’autobus quella mattina non passa puoi sempre farti dare un passaggio da un pick-up diretto verso la città. I miei compagni di viaggio, scopro lungo la strada, appartengono alla Brigata Babylon, una milizia cristiana creata nel 2014 in risposta all’avanzata dello Stato Islamico. Il ragazzo seduto di fianco a me, poco più che ventenne, mi mostra le foto di lui in passamontagna e abiti militari sul cellulare.

Qaraqosh era una città di circa 60mila abitanti a una ventina di chilometri a sud-est di Mosul nella piana di Ninive. Tutti i suoi abitanti, a maggioranza cristiana, sono scappati verso la regione curda irachena dopo l’invasione dello Stato Islamico nell’agosto del 2014. Se prima era per lo più una città sconosciuta, Qaraqosh ha occupato almeno per qualche giorno le prime pagine della maggior parte dei giornali internazionali: nell’ottobre del 2016 la città è stata liberata a seguito dell’operazione militare lanciata contro lo Stato Islamico a Mosul e nei territori circostanti. Con Qaraqosh sono state liberate altre aree e al momento lo Stato Islamico controlla solo la parte occidentale di Mosul, Hawijah, una città a maggioranza sunnita nella provincia di Kirkuk, e i territori poco popolati a sud-ovest di Sinjar. L’offensiva nella parte ovest di Mosul è iniziata proprio questa settimana.

È difficile farsi un’idea di come potesse essere la vita a Qaraqosh prima del 2014. Le insegne dei bar ora danno su una strada completamente deserta e piena di macerie dove ancora non si vedono i segni di quella volontà di ricostruire che segue ogni guerra. Le chiese di Qaraqosh, ne visito sette delle dieci presenti, portano tutte i segni del passaggio dello Stato Islamico. Gli altari, i crocifissi, e le statue sono stati per la maggior parte distrutti.

In alcuni cortili delle chiese si vedono ancora i cumuli di cenere dei libri bruciati. In altri, ci sono dei manichini usati dallo Stato Islamico per esercitarsi a sparare e molti, moltissimi bossoli di proiettile. Il ragazzo che mi accompagna posa il suo fucile sulle panche di ogni chiesa per farsi il segno della croce.

 

 

Una sola famiglia vive in città, mi dicono, e per il resto si vedono solo giovani uomini appartenenti a varie formazioni armate convenzionali e non, come le Forze Speciali SWAT (Special Weapons and Tactics), la Brigata Babylon, o l’Unità di Protezione per Ninive. La Brigata Babylon con cui finisco per condividere troppi the e un pranzo a base di di riso e verdura, è una formazione armata cristiana all’interno del più ampio spettro delle Forze di Mobilitazione Popolare, Hashd al-Shaabi. Queste ultime si sono formate nel 2014 quando Ali Al-Sistani, importante carica religiosa sciita in Iraq, ha esortato la popolazione a mobilitarsi per difendere il paese dalla minaccia dello Stato Islamico. Da quel momento, però, le varie forze si sono moltiplicate e hanno sviluppato un vasto spettro di posizioni politiche: alcune hanno forti legami con i partiti politici, altre sono vicine all’establishment Iraniano da cui ricevono training militare e supporto economico, altre sono espressione delle varie minoranze (cristiani, turcomanni, yazidi e shabak) della provincia di Ninive. Ufficialmente riconosciute quest’anno come parte dello stato, è ancora incerto cosa sarà di loro una volta che lo Stato Islamico sarà battuto.

Se le strade deserte di Qaraqosh fanno pensare a una ricostruzione ancora lontana, i ragazzi di Qaraqosh mostrano i segni di una generazione forse perduta. Cresciuti nel periodo post-2003, questi ventenni non hanno ancora potuto vedere i benefici di quel cambiamento dall’autoritarismo di Saddam Hussein che i loro genitori invece conoscono e raccontano. Parlano dei caffè di Ainkawa, quartiere cristiano di Erbil, mi fanno vedere video su Facebook, come tutti i ventenni credo, ma lo fanno con il peso del fucile sulla spalla. La loro scelta di combattere è sicuramente patriottica, ma è anche una reazione alla mancanza di alternative, un lavoro soprattutto, in un paese dove la disoccupazione è alle stelle. Nemmeno il drastico calo del prezzo del petrolio negli ultimi due anni è riuscito a mettere la disastrosa situazione economica del paese al centro del dibattito politico, se non per qualche slogan.

Lo Stato Islamico, che sembra ora vicino alla sconfitta, almeno nella sua forma territoriale, ha portato alla luce tutte le contraddizioni dell’Iraq, un paese che non si è ancora riconciliato con il proprio passato e non ha trovato la propria strada verso il futuro. La politica dell’identità continua a prevalere e colma quel vuoto lasciato dall’altra politica, quella che dovrebbe governare e offrire soluzioni. Azione

(Qaraqosh, Iraq, 2017 – foto di Irene Costantini)

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